
In un mondo in cui la competizione tra le nazioni è sempre più armata, il binomio, definito dallo stesso Pontefice inusuale, “Trinità-sport” ci riporta al piano originario del Creatore, che ha sì dotato gli uomini di grandi possibilità dal punto di vista fisico e intellettuale, ma per vivere da fratelli
di Michele Brambilla
Nell’omelia del Giubileo degli sportivi, che si celebra a Roma il 15 giugno, domenica della SS. Trinità, Papa Leone XIV cita la Scrittura quando afferma: «Così parla la Sapienza di Dio: “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. […] Quando egli fissava i cieli, io ero là; […] io ero con lui come artefice ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo”» (Pr 8,22.27.30-31). «Per Sant’Agostino, la Trinità e la sapienza sono intimamente legate. La sapienza divina è rivelata nella Santissima Trinità, e la sapienza ci porta sempre alla verità»: Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza perché collaborasse con tutte le sue facoltà (intellettuali, morali, fisiche) alla realizzazione del Bene.
«Il binomio Trinità-sport non è esattamente di uso comune, eppure l’accostamento non è fuori luogo. Ogni buona attività umana, infatti, porta in sé un riflesso della bellezza di Dio, e certamente lo sport è tra queste. Del resto, Dio non è statico, non è chiuso in sé. È comunione, viva relazione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che si apre all’umanità e al mondo. La teologia chiama tale realtà pericoresi, cioè “danza”: una danza d’amore reciproco», precisa infatti il Pontefice. «È da questo dinamismo divino che sgorga la vita. Noi siamo stati creati da un Dio che si compiace e gioisce nel donare l’esistenza alle sue creature, che “gioca”, come ci ha ricordato la prima Lettura (cfr Pr 8,30-31). Alcuni Padri della Chiesa parlano addirittura, arditamente, di un Deus ludens, di un Dio che si diverte (cfr S. Salonio di Ginevra, In Parabolas Salomonis expositio mystica; S. Gregorio Nazianzeno, Carmina, I, 2, 589). Ecco perché lo sport può aiutarci a incontrare Dio Trinità: perché richiede un movimento dell’io verso l’altro, certamente esteriore, ma anche e soprattutto interiore. Senza questo, si riduce a una sterile competizione di egoismi», come accade troppe volte nei rapporti umani. Molti tifosi non ci riflettono sopra, ma «pensiamo a un’espressione che, nella lingua italiana, si usa comunemente per incitare gli atleti durante le gare: gli spettatori gridano: “Dai!”. Forse non ci facciamo caso, ma è un imperativo bellissimo: è l’imperativo del verbo “dare”. E questo può farci riflettere: non si tratta solo di dare una prestazione fisica, magari straordinaria, ma di dare sé stessi, di “giocarsi”», proprio come ha fatto Gesù, che nella sua Pasqua ha consegnato tutto Se stesso per la nostra salvezza.
Sono valori che vanno al di là della competizione sportiva. Il Papa cita san Giovanni Paolo II, laddove anche lui diceva che «lo sport è gioia di vivere, gioco, festa, e come tale va valorizzato […] mediante il recupero della sua gratuità, della sua capacità di stringere vincoli di amicizia, di favorire il dialogo e l’apertura degli uni verso gli altri, […] al di sopra delle dure leggi della produzione e del consumo e di ogni altra considerazione puramente utilitaristica e edonistica della vita» (Omelia per il Giubileo degli sportivi, 12 aprile 1984).
Una lezione che, purtroppo, il mondo contemporaneo dimostra quotidianamente di non aver compreso: nell’Angelus Leone XIV continua a chiedere di «vivere l’attività sportiva, anche ai livelli agonistici, sempre con spirito di gratuità, con spirito “ludico” nel senso nobile di questo termine, perché nel gioco e nel sano divertimento la persona umana assomiglia al suo Creatore. Mi preme poi sottolineare che lo sport è una via per costruire la pace, perché è una scuola di rispetto e di lealtà, che fa crescere la cultura dell’incontro e della fratellanza. Sorelle e fratelli, vi incoraggio a praticare questo stile in modo consapevole, opponendovi ad ogni forma di violenza e di sopraffazione». Il triste elenco inizia dal Myanmar, dove «nonostante il cessate-il-fuoco, continuano i combattimenti, con danni anche alle infrastrutture civili».
Gli occhi del mondo sono in queste ore puntate sulla recrudescenza del conflitto latente tra Israele e gli ayatollah iraniani, sul quale il Santo Padre ha pronunciato parole molto dure nell’udienza giubilare del sabato mattina, ribadendo che «nessuno dovrebbe mai minacciare l’esistenza dell’altro. È dovere di tutti i Paesi sostenere la causa della pace, avviando cammini di riconciliazione e favorendo soluzioni che garantiscano sicurezza e dignità per tutti». Poiché i bombardamenti di questi giorni sono stati scatenati dai progetti dell’Iran di dotarsi di armi atomiche in chiave soprattutto antisemita e antioccidentale e da un recentissimo rapporto dell’AIEA, che ha lanciato l’allarme sull’anomalo arricchimento dell’uranio nelle centrali nucleari iraniane proprio per scopi bellici, il Papa stesso ha ricordato, sempre sabato mattina, che «l’impegno per costruire un mondo più sicuro e libero dalla minaccia nucleare va perseguito attraverso un incontro rispettoso e un dialogo sincero, per edificare una pace duratura, fondata sulla giustizia, sulla fraternità e sul bene comune».
Mentre «continuiamo a pregare per la pace in Medio Oriente, in Ucraina e nel mondo intero», nell’Angelus domenicale il Pontefice deplora che «nella notte tra il 13 e il 14 giugno, nella città di Yelwata, nell’area amministrativa locale di Gouma, nello Stato di Benue in Nigeria, si è verificato un terribile massacro, in cui circa duecento persone sono state uccise con estrema crudeltà, la maggior parte delle quali erano sfollati interni, ospitati dalla missione cattolica locale», oltre ad essergli arrivata notizia «della morte del Rev.do Luke Jumu, parroco di El Fasher, vittima di un bombardamento» in Sudan.
A proposito di martiri africani, nel pomeriggio, «nella Basilica di San Paolo fuori le mura, sarà proclamato Beato Floribert Bwana Chui, giovane martire congolese. È stato ucciso a ventisei anni perché, in quanto cristiano, si opponeva all’ingiustizia e difendeva i piccoli e i poveri. La sua testimonianza dia coraggio e speranza ai giovani della Repubblica Democratica del Congo e di tutta l’Africa».
Lunedì, 16 giugno 2025