Il 12 maggio vedrà il concludersi della via crucis di una precisa, massiccia volontà popolare che, sollecitata nel gennaio 1971 dalla richiesta di referendum abrogativo della legge divorzista liberal-socialista Fortuna-Baslini, si è concretizzata nel giugno dello stesso anno con la presentazione di 1.370.140 firme di elettori – risultato di una raccolta che ha avuto aspetti autenticamente epici -, e da allora ha lottato contro una opposta volontà elusiva, variamente mascherata e manovrata da centri di potere in apparenza contrastanti.
L’avversione alla volontà popolare antidivorzista si è espressa a livello politico con lo scioglimento anticipato delle Camere; con la metodica falsificazione dei dati oggettivi da parte degli organi di stampa “indipendenti”; con il tentativo di tacitare la voce degli antidivorzisti, negando loro persino l’uso della pubblicità a pagamento; con l’inquinamento ideologico del problema della indissolubilità matrimoniale ad opera dei partiti politici, ecc.
Una tale avversione all’indissolubilità matrimoniale, e quindi alla stabilità familiare, si è curata e si cura principalmente di privilegiare e di reclamizzare anche i più insignificanti atteggiamenti equivoci e ambigui di ambienti cattolici – atteggiamenti equivoci e ambigui che purtroppo non mancano anche da parte di alcuni esponenti della Gerarchia -, con l’intento di far credere che il tema della indissolubilità e del divorzio costituisce materia opinabile, a proposito della quale è lecito ai cattolici agire sulla base di considerazioni individuali comunque formate.
A questo proposito è necessario ribadire che – a norma della più comune e indiscussa dottrina cattolica – l’indissolubilità matrimoniale è materia grave che tocca la morale e i costumi, e che ha un riflesso tutt’altro che secondario sul bene comune.
Che il matrimonio poi sia indissolubile si ricava dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione, dal Magistero ordinario pontificio, dalla dottrina dei Concili, dagli argomenti della filosofia naturale, ed è stato ribadito dall’Episcopato italiano nella notificazione del 21 febbraio 1974; quindi la coscienza del cristiano è sufficientemente illuminata, in modo inequivoco, perché possa mancare la piena avvertenza.
Infine, la possibilità di restaurare il bene della indissolubilità giuridica attraverso il legittimo strumento costituito dal referendum rende ogni e qualsiasi manifestazione di volontà contraria – come ad esempio l’astensione o il voto favorevole al mantenimento della legge divorzista – un deliberato consentimento al male costituito dal divorzio.
Quanto detto permette di concludere che: chiunque vota per il mantenimento del divorzio o si astiene – trattandosi di materia grave, su cui l’autorità ha inequivocabilmente illuminato la coscienza dei fedeli, facendoli pienamente avvertiti della retta dottrina in proposito -, e non sfrutta la possibilità di liberare la società dalla “piaga del divorzio“, si sottrae a un dovere grave e quindi commette un peccato mortale.
Inoltre, coloro che in questi mesi – vittime di confusione dottrinale e incoscienti strumenti dei nemici della Chiesa – fanno l’apologia di un comportamento immorale, disonesto e colpevole, denunciano obiettiva collusione con i nemici del nome cristiano e si qualificano come “guide cieche” e “falsi profeti“, che tentano di dividere il popolo cattolico dalla verità una e di introdurre artifici dialettici in ciò che richiede soltanto ragionevole assenso.
La chiarezza della dottrina naturale e cattolica sul punto della indissolubilità matrimoniale è però tale da respingere qualsiasi manovra diversiva e dà a chiunque la coscienza certa del da farsi, oltre le confusioni che persino membri della Gerarchia o personaggi cosiddetti “autorevoli” possono diffondere.
Una dottrina che dice sì alla famiglia dalla Genesi alla recentissima notificazione dell’Episcopato italiano, indica in modo perentorio un comportamento che si deve tradurre in un sì anche il 12 maggio.