di Luís Alberto Petit Guerra *
Dopo 20 anni di estremismo ideologico (1999-2019), il Venezuela si trova ora nel mezzo della maggiore crisi umanitaria della prorpia storia repubblicana. I diritti essenziali dei cittadini venezuelani non sono infatti garantiti, a cominciare dal diritto al sostentamento e dunque alla vita, così come non sono garantiti la salute, la possibilita di avere un’abitazione e la dignità che consegue al godimento della libertà e delle tutele minime della persona. Dalle relazioni consegnate, fra altri, all’Organizzazione degli Stati Americani, all’Unione Europea, al Parlamento Europeo e alla Tribunale Penale Internazionale si evince la continua violazione dei diritti umani che il governo venezuelano pratica attraverso un regime dispotico contrario a ogni principio democratico.
La medesima ideologia che domina il governo ha dominato pure la magistratura venezuelana, sospendendo dal 2013 i concorsi per l’assegnazione dei ruoli di giudice e di pubblico ministero. Per questo i giudici e i procuratori vengono nominati provvisoriamente (cioè senza avere passato i concorsi professionali) da una Commissione giudiziaria che fa parte del Tribunale supremo di giustizia ‒ vale a dire la Corte Suprema ‒, anch’esso a propria volta nominato da un parlamento già composto da deputati al 100% fedeli al regime, visto che in assenza di garanzie elettorali l’alleanza dei partiti di opposizione non si è presentata alle elezioni. Anche i servizi preposti alla sicurezza dello Stato sono del resto designati in base a criteri politici (la chiamano «lealtà rivoluzionaria») e non attraverso concorsi pubblici.
Pertanto, giudici, procuratori e polizia vengono usati, nel complesso, per reprimere, incarcerare e punire qualsiasi tipo di manifestazione “politica” che implichi il pluralismo, con l’accusa di lesa umanità, in casi già documentati dagli organismi internazionali che hanno comportato sia migliaia di persone incarcerate ia centinaia di persone assassinate dai corpi della sicurezza di Stato e da bande di civili armati fedeli al regime, denominati colectivos.
Neppure i diplomatici sono nominati tramite concorsi pubblici, e i funzionari difendono gli interessi di una ideologia, non quelli del Paese. La forza conferita dai ricavi del commercio del petrolio ha poi permesso al regime venezuelano di acquistarsi spazi di silenzio internazionale, alleati e omertà sulla violazione sistematica e perversa dei diritti umani.
Quando il presidente, ora ex, Nicolás Maduro Moros ha vinto le elezioni del 2013 (con il 50,66% dei suffragi espressi contro il 49,07%) è entrato in carica con un mandato che, secondo quanto stabilisce l’Articolo 230 della Costituzione, è scaduto il 9 gennaio. Il nuovo presidente quindi, che avrebbe dovuto essere eletto ovviamente con consultazioni libere e democratiche, avrebbe dovuto prestare giuramento il 10 gennaio, avviando il nuovo mandato 2019-2014, in base a quanto stabilisce l’Articolo 231 sempre della Costituzione.
Il nuovo parlamento, però, cioè l’Assemblea nazionale, è stato eletto nel dicembre 2015 con elezioni libere che hanno decretato la vittoria dell’alleanza fra i partiti di opposizione, la quale ha conquistato 112 dei 167 deputati in lizza. Certo, la sua attività è stata poi boicottata dalla magistratura, che ne ha annullato le competenze non solo legislative, ma anche il controllo politico dei parlamentari (persino incarcerando dei deputati nell’esercizio delle proprie funzioni, sottoponendoli a trattamenti disumani, perseguitandoli ed esiliandone alcuni).
Ora, in seguito alle vaste proteste di piazza scatenatesi contro i suoi abusi, l’ex presidente Maduro ha convocato un’Assemblea nazionale costituente illegitima poiché aperta soltanto a membri totalmente fedeli al suo regime e preclusa ai partiti dell’opposione.
Quest’Assemblea illegale e incostituzionale, che (i) avrebbe dovuto essere eletta con il concorso di tutti i partiti politici ‒ i mezzi normali di cui fa uso la democrazia ‒ e che ii) avrebbe dovuto (soltanto) redigere un nuovo testo costituzionale da sottopporre al giudizio popolare, ha invece (iii) usurpato le funzioni dell’Assemblea Nazionale, legiferando su materie che non sono di propria competenza e (iv) nominando anche funzionari in altri rami del potero pubblico (Ministero pubblico e Difensore del popolo) che sono competenza esclusiva del parlamento.
È stata questa illegitima Assemblea nazionale costituente, che non è stata riconosciuta né dal parlamento venezuelano né dalla maggioranza dei Paesi e degli organismi internazionali, a promuovere le elezioni “presidenziali” indette dal Consiglio elettorale nazionale, i cui membri erano noti militanti del partito di regime. Peraltro, oltre all’abuso di competenza, le elezioni del maggio 2018 si sono svolte senza osservatori internazionali (ii) e senza la piena libertà di tutti i partiti politici.
Grazie a quelle elezioni, il cittadino Maduro ha però preteso di essere stato “rieletto” presidente della repubblica per il periodo 2019-2024, ma sia il parlamento venezuelano sia buona parte della comunità internazionale hanno rigettato queso esito. Dunque “l’insediamento” di Maduro del 10 gennaio, avvernuto di fronte alla sede del Tribunale supremo di giustizia, braccio attivo del regime, è nullo. Di conseguenza, chi da quella data esercita la presidenza nel Paese è un usurpatore.
Per ripare a questa ferita sono allora scattati alcuni meccanismi costituzionali che hanno prodotto un accordo cui non spetta solo il compito di dare risposte alla grave situazione istituzionale, ma anche ristabilire la sovranità della Costituzione nel garantire la continuità democratica, indire libere elezioni, nominare i responsabili del potere pubblico e impedire, come invece vuole Maduro, che il Venezuela esca dall’Organizzazione degli Stati Americani.
Davanti a questi fatti, e precisamente in concomitanza delle celebrazioni del 23 gennaio (data che celebra il rovesciamento del “penultimo” dittatore, Marcos Pérez Jiménez [1914-2001] nel 1958), la situazione di fame, miseria, dolore e disperazione ha portato il popolo ancora una volta nelle strade contro il regime dell’usurpatore Maduro. Senza scordare il carnet criminale dei suoi alleati (molti dei quali hanno confessato, sia negli Stati Uniti d’America sia in Europa, di essere coinvolti in un circolo enorme di corruzione), la dimostrata inefficienza di Maduro nella gestione degli affari pubblici, con un’inflazione che supera il 1.000% annuo, ha infatti lacerato moralmente, politicamente, economicamente, intellettualmente e sopratutto umanamente un Paese intero.
Per la storia del Venezuela è un fatto inedito, a fronte del quale il popolo può quindi esercitare il diritto di deporre il tiranno conferitogli dall’Articolo 350 dell Costituzione: «Il popolo del Venezuela, fedele alla propria tradizione repubblicana, nella propria lotta per l’indipendenza, per la pace e per la libertà, disconoscerà qualsiasi regime, legislazione o autorità contrari ai valori, ai princìpi e alle garanzie democratiche o che possano compromettere i diritti umani».
Non essendoci dunque nel Paese un presidente legittimamente eletto, la Costituzione stabilisce che è al presidente dell’Assemblea nazionale che spetta assumere provvisoriamente quella carica fino al ristabilimento della normalità democratica.
Non è pertanto vero che il presidente dell’Assemblea nazionale, l’On. Juan Guaidó, si sia “autoproclamato” presidente ad interim (come affermano certi mezzi di comunicazione italiani). È invece la stessa Costituzione che prevede questa facoltà, onde mantenere la continuità istituzionale legale. Ed è solo così che il Venezuela potrà superare la più grave crisi della sua storia democratica.
* Dottore in Diritto Costituzionale, Università di Siviglia, Spagna