Sandro Petrucci, Cristianità n. 298 (2000)
Il 1799 pone fine al cosiddetto Triennio Giacobino, caratterizzato dall’instaurazione, da parte degli eserciti rivoluzionari francesi, di repubbliche che, ispirate alla Rivoluzione del 1789 in Francia, attuano una riorganizzazione totale della vita politica, amministrativa, civile e culturale delle popolazioni italiane, anche con lo scopo di ricavare risorse per il mantenimento degli eserciti, delle guerre e delle casse del governo di Parigi. Di fronte a tale imposizione, fin dal 1796 si manifestano ovunque nella penisola moti di reazione popolare sostanzialmente spontanei, i quali, per sottolinearne l’unitarietà, vengono indicati con il nome complessivo d’Insorgenza. Nell’ultimo anno del Triennio questi moti sono sempre più collegati fra loro e conoscono maggiore coordinamento e unità operativa con i comandi degli eserciti coalizzati contro la Repubblica Francese: imperiale, russo, inglese e napoletano. Prendono così corpo l’Inclita Armata Aretina, espressione del movimento del Viva Maria toscano; nel Regno di Napoli l’Armata della Santa Fede, guidata dal cardinale Fabrizio Ruffo (1744-1827); la Massa Cristiana in Piemonte; infine le truppe “a massa” e “di linea” del generale Giuseppe La Hoz (1770?-1799) nelle Marche. Il 1799 è anche l’anno in cui le guide dell’Insorgenza rivelano il maggior spessore. Le cronache e le fonti tramandano il ricordo di numerosi “capi-massa” in ogni regione. Ma, al di fuori della loro ristretta area d’azione, ben poco è rimasto di loro, soprattutto per la scarsa attenzione degli storici, che, se ne hanno parlato, è stato solo per deturparne la memoria.
Appare dunque opportuna la pubblicazione dello studio Il maggiore Branda de’ Lucioni e la “Massa Cristiana”. Aspetti e figure dell’insorgenza anti-giacobina e della liberazione del Piemonte nel 1799, scritto a due mani da Marco Albera e da Oscar Sanguinetti.
Albera, torinese, è responsabile della delegazione piemontese dell’ISIN, l’Istituto per la Storia delle Insorgenze, e direttore del Centro di Documentazione Universitas Scholarium; ha pubblicato saggi su riviste e in volumi collettanei; è coautore di una raccolta di racconti — una pubblicazione fuori commercio del 1983—, Cronache di guerra cristiana. Piemonte 1792-1796.
Sanguinetti, milanese, coltiva studi di storia italiana contemporanea ed è direttore scientifico dell’ISIN; ha al suo attivo diversi saggi su riviste e in volumi collettanei ed è curatore di riedizioni di classici della storiografia sull’Insorgenza; è coautore di un’utilissima Guida Bibliografica dell’Insorgenza in Lombardia (1796-1814), edita dall’ISIN stesso; è autore del volume Le insorgenze contro-rivoluzionarie in Lombardia nel primo anno della dominazione napoleonica. 1796, edito da Cristianità.
L’opera è biografia del maggiore Branda de’ Lucioni (1740-1803), uno dei capi dell’insorgenza piemontese del 1799. Si tratta di un personaggio tuttora contornato da “un alone di leggenda” (p. 12), le cui imprese hanno lasciato un residuo, più che nella storia “colta”, “nella memoria e nell’immaginario collettivi delle popolazioni del Piemonte e non solo di quelle rurali” (ibidem). L’interesse storiografico per questo personaggio non si spiega solo con il relativo ricordo che se ne è conservato, ma discende dalla constatazione che Lucioni rappresenta un’eccezione, in quanto “[…] dimostra di avere “capito” e si è sforzato di “pensare” e di “fare” l’Insorgenza con categorie e con prospettive meno limitate” (p. 11) di quelle degli altri leader insorgenti.
Il racconto biografico del comandante della Massa Cristiana — con prefazione di Mauro Ronco (pp. 5-6), una premessa degli autori (pp. 9-14) e un’ampia appendice bibliografica e documentaria (pp. 121-138), corredato nel testo da numerose immagini dell’epoca — è preceduto da una sommaria ma precisa ricostruzione delle vicende: nel capitolo 1, de L’Insorgenza italiana nel suo complesso (pp. 15-31); quindi, nel capitolo 2, de L’Insorgenza italiana nel 1799 (pp. 32-34); infine, nel capitolo 3, in particolare, de L’Insorgenza del 1799 nell’Italia settentrionale (p. 35). Non mancano cenni alla guerra condotta nell’Italia Settentrionale dagli eserciti alleati — guidati dal generale Aleksandr Vasil’evic Suvorov (1729-1800) — contro la Repubblica Francese.
Di Branda de’ Lucioni si è conservata fin da subito memoria, almeno locale. Ma di lui si è trasmesso solo il cliché diffamatorio elaborato soprattutto dallo storico giacobino piemontese Carlo Botta (1766-1837), che nella sua Storia d’Italia. 1789-1814, pubblicata a Lugano nel 1834, lo dipinge come un brigante, un ladro, un violento, un furfante e un fanatico. Eppure — spiegano gli autori — “[…] di tutta questa congerie di epiteti le fonti qualificate […] non forniscono alcun elemento giustificativo. Parlano invece di devozione, magari un po’ pittoresca, ma solida; di irriducibile odio per la Rivoluzione e i suoi adepti; di tattiche di guerriglia di buon livello; di imprese audaci e di coraggio; di qualche rodomontata; magari di requisizioni un po’ troppo calcate” (p. 110): niente di più.
Di famiglia originaria del Varesotto — i dati biografici sono esposti nel capitolo 4, Branda de’ Lucioni (pp. 36-52) — Lucioni nasce nel 1740 in Boemia, dove il padre, ufficiale imperiale, è di guarnigione. A trent’anni entra a far parte della cavalleria imperiale. Pochi anni dopo sposa la contessa milanese Maria Teresa Landriani. Quando inizia l’epopea del 1799, il cinquantanovenne Lucioni figura in quiescenza, avendo lasciato il suo reggimento — gli ussari ungheresi Wurmser — dal 1793.
Le sue imprese del 1799, narrate nel capitolo 5, Le gesta della Massa Cristiana e la liberazione dell’Italia settentrionale (pp. 53-116) — “un miracolo” (p. 113), secondo parole dello stesso capo-massa —, vengono preparate nell’inverno precedente da ripetute veglie d’armi in una chiesa di Verona. La mattina del 28 aprile 1799, all’indomani della battaglia di Cassano d’Adda in cui gli Alleati sfondano il fronte francese, Lucioni, al comando di una pattuglia della cavalleria imperiale, irrompe in Milano; abbatte gli alberi della libertà e gli altri emblemi della Rivoluzione. È un gesto che ricorrerà ogni volta che con la Massa Cristiana entrerà nei paesi e nelle città conquistati. Poco dopo il maggiore, con circa venticinque commilitoni, si dirige verso il Ticino, inseguendo i francesi. Nei pressi del Ticino diffonde i primi ordini di mobilitazione, comandando di accendere fuochi lungo le rive del fiume per simulare l’arrivo delle truppe alleate e di suonare la campana a martello nei paesi. Ha così inizio l’”innesto” del leader contro-rivoluzionario sulla grande insorgenza del Piemonte, che ha conosciuto un prologo nel dicembre del 1798 quando, reagendo alle disposizioni giacobine, si sollevano le valli del Belbo e del Tanaro, e un revival nel febbraio del 1799, in particolare a Spinetta presso Marengo, nella zona di Alessandria, e ad Acqui. L’esplosione definitiva avviene nel mese di maggio, in coincidenza con il ritiro dei presídi francesi dopo la sconfitta strategica di Cassano. Il 14 del mese circa duemila contadini attaccano Asti al grido “Viva la fede e viva San Secondo”, il patrono locale. L’insorgenza da Mondovì si diffonde fino alle Alpi Marittime, alla Valle di Oneglia e al mare. A Carmagnola gl’insorti sono seimila, di cui quattrocento cadono. Da Ivrea l’insorgenza si propaga fino in Val d’Aosta, con la cosiddetta rivolta “des Socques”, ossia degli zoccoli, le calzature di pastori e di montanari: Aosta è assalita da seimila contadini. L’insorgenza piemontese — come altrove — si esprime in un gran numero di gruppi e di formazioni, cui corrisponde un nutrito insieme di capi, alcuni dei quali — secondo gli autori — meriterebbero ulteriori approfondimenti. Il maggior rilievo di Lucioni, rispetto a questi, risiede nel “mestiere” e nel notevole contributo offerto all’organizzazione dei gruppi spontanei per una più efficace operazione militare.
Superato il Ticino, Lucioni, con il titolo di “maggiore dell’Armata Imperiale Austriaca, e comandante dell’Ordinata Massa Cristiana” (p. 86), solleva il Novarese e il Vercellese, entra in Novara e in Ivrea. Il 5 maggio pone il suo quartier generale a Chivasso, nei pressi di Torino, da dove coordina migliaia di contadini in armi, i quali, guidati da uno dei suoi luogotenenti, allargano le loro operazioni al Canavese e iniziano il blocco della capitale. Il maggiore imperiale invia ordini di mobilitazione e di organizzazione dei corpi della Massa Cristiana, ma anche disposizioni politiche, sulla restaurazione delle magistrature tradizionali ed economiche, perfino sul calmiere da applicare ai prezzi dei generi alimentari. Nel mese di maggio la Massa Cristiana “[…] rimane coraggiosamente — e un po’ temerariamente — a presidiare da sola il teatro delle operazioni, costituito dalle terre piemontesi più a ridosso di Torino” (p. 88), in attesa degli Alleati austro-russi, che giungono a Torino il 24-25 maggio: inizia l’assedio vero e proprio, che si conclude pochi giorni dopo. La Massa Cristiana, all’indomani della presa di Torino, è dirottata verso l’Albese e il Cuneese a incalzare i francesi in ritirata in direzione della Riviera Ligure. Dopo il suo scioglimento, nei pressi di Torino il 29 giugno, la Massa Cristiana si sfalda in gruppi minori e più localistici. Lucioni segue Suvorov in marcia verso la Svizzera e partecipa alle operazioni militari contro i francesi che si svolgono fra Bellinzona e Mollis, nei pressi di Zurigo e del Liechtenstein. Nei mesi successivi alla sconfitta di Marengo, nell’Alessandrino, del 14 giugno 1800, Lucioni segue le armate imperiali che riparano in Veneto. Non riesce a vedere le nuove vaste insorgenze che si verificano in Italia fra il 1808 e il 1809 perché muore a Vicenza il 22 agosto 1803.
Non tutti gli aspetti dell’impresa rapida e quasi convulsa di Lucioni nel 1799 sono affrontati nello studio di Albera e di Sanguinetti. In particolare non è sufficientemente chiaro con quale mandato e con quale ruolo il maggiore Lucioni operi e, come in altre regioni, non è noto come i capi e i gruppi dell’Insorgenza, da tempo attivi, si coordinino con i comandi degli eserciti coalizzati: solo lo studio della documentazione in futuro permetterà di fornire le risposte. Invece, il volume mette in luce l’inedito legame personale — forse non solo militare, ma anche umano — fra Branda de’ Lucioni e il feldmaresciallo Suvorov, che “fieramente avverso alla Rivoluzione dell’Ottantanove” (p. 55), anche lui in età non più verde, accetta di guidare l’esercito austro-russo.
Fra le pagine più interessanti del libro vi sono quelle dedicate all’organizzazione e alla pratica bellica della Massa Cristiana, descritte soprattutto nel paragrafo La guerriglia della Massa Cristiana (pp. 99-111) del capitolo 5 e nel capitolo 6, La Massa Cristiana: un bilancio storico (pp. 117-120). Il termine “massa” non ha al tempo di Lucioni il significato attuale di somma d’individui: anzi, gli autori sottolineano che il reclutamento di gruppi armati non avveniva allora su base individuale, ma rifletteva il carattere “organico” — di ceto e di corporazione — proprio della società di antico regime, per cui l’arruolamento coinvolgeva le comunità: “[…] il contadino combatte all’interno della trama delle solidarietà parentali e di villaggio, con i simboli, le abitudini e i rapporti interpersonali di essa” (p. 101). La mobilitazione di milizie territoriali a fianco dell’esercito regolare, inoltre, era prassi comune anche negli Stati di antico regime, in particolari circostanze belliche: la mobilitazione piemontese del 1799 non fa eccezione e serve a integrare nello sforzo bellico complessivo il movimento di rivolte spontanee già in atto. Il reclutamento della Massa Cristiana avveniva tramite la diffusione di proclami e di bandi ufficiali, che indicavano modalità e tempi di organizzazione, era segnalato dal suono della campana a martello, e le magistrature locali erano investite dei compiti di scelta e di approvvigionamento degli uomini. Oltre che al reclutamento, i bandi di Lucioni servivano per dare istruzioni alla Massa Cristiana per la guerriglia e per evitare la frammentazione dei gruppi, che sarà spesso fatale all’Insorgenza. Come in altre parti d’Italia, l’esercito della Massa Cristiana si articola anche gerarchicamente, per cui agli ordini del maggiore Lucioni figurano alcuni luogotenenti, spesso nobili legittimisti con qualche esperienza militare. Organizzare i gruppi già sorti spontaneamente significa anche impedire le violenze gratuite. Come altri “capi-massa”, Lucioni è investito anche del compito di porre un argine alle tendenze violente e anarcoidi delle “masse” e di favorire il ritorno all’ordine e la pacificazione. Gli autori concludono, dunque, che l’azione di Lucioni ha come suo maggior frutto quello di aver reso “la rivolta davvero corale, omogenea e manovriera” (p. 118). All’indomani dell’impresa del 1799, Lucioni chiede di poter formare una nuova armata cristiana, sotto la protezione del Pontefice e dell’imperatore e da lui comandata, “colla sempre havuta Divina Assistenza veramente miracolosa” (p. 114), ma la proposta non troverà ascolto presso le autorità imperiali.
Il primo pregio dell’opera di Albera e Sanguinetti è di offrire un’immagine obbiettiva di un comandante dell’Insorgenza, attraverso uno studio documentato ed esposto con un linguaggio chiaro; inoltre, di mettere a fuoco alcuni aspetti sociologici dell’Insorgenza ancora trascurati, in particolare le modalità di mobilitazione e di organizzazione, nonché le relazioni fra gl’insorgenti e i comandi degli eserciti austro-russi. Il volume, attraverso il suo “taglio” scientifico, costituisce un accostamento nuovo al problema e indica la via migliore per lo sviluppo della conoscenza di una pagina non secondaria della biografia italiana. L’opera si oppone anche alle interpretazioni, più o meno recenti, che riducono l’Insorgenza a fattori socio-economici o ne escludono una lettura unitaria, riconducendola e spiegandola solo in ambito localistico. L’Insorgenza viene viceversa collocata in un contesto europeo, mentre viene verificata sul campo della documentazione e dell’analisi — e quindi non assunta come un a priori — l’esistenza di un insieme unitario di motivazioni alla sua base. La componente religiosa del fenomeno infatti non è un elemento marginale o sovra-strutturale, ma piuttosto, se non l’occasione o la motivazione esplicita delle singole rivolte, di certo ne è lo sfondo onnipresente e l’humus, che alimenta l’orizzonte umano e culturale in cui operano gl’insorgenti.
Sandro Petrucci