Mons. Vicente Cárcel Ortí, Cristianità n. 283-284 (1998)
Martiri del secolo XX al grido di «Viva Cristo Re!»
La festa liturgica della regalità di Cristo, istituita da Papa Pio XI (1922-1939) l’11 dicembre 1925, riporta alla memoria i martiri del secolo XX, molti dei quali morirono per quel trono divino. Le parole «Viva Cristo Re!» sigillarono definitivamente le labbra dei martiri.
1. Idea moderna della regalità di Cristo
L’idea moderna della regalità di Cristo ha le sue origini nella devozione al Sacro Cuore di Gesù, che, sebbene anteriore a santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690), acquistò con lei grande rilevanza. Ma fu il secolo XIX ad assistere al suo maggior splendore, fino al punto di essere definito il «Secolo del Sacro Cuore».
Se durante i primi decenni di quel secolo, nel clima del romanticismo, altre forme di devozione cristologica ebbero ugualmente grande successo durante il pontificato di Papa Pio IX (1846-1878) — si pensi, per esempio, a quelle alle Cinque Piaghe e al Preziosissimo Sangue —, questa devozione ricevette un notevole impulso con ripetute approvazioni pontificie, giungendo a superare tutte le altre forme di devozione. Papa Leone XIII (1878-1903) continuò sostanzialmente la linea del suo predecessore. Però questa devozione ebbe anche una dimensione politica, perché, per esempio in Francia, rimase strettamente legata alle sorti del partito cattolico monarchico; in Italia fu collegata con il temporalismo, e in altri luoghi con la regalità sociale di Cristo.
L’idea moderna di Cristo Re si era diffusa durante la seconda metà del secolo XIX nel contesto della reazione alla tendenza liberale di secolarizzare le istituzioni e la società e nel desiderio nostalgico di un ritorno alla Cristianità medioevale, allora molto diffuso fra i cattolici e fra la maggior parte degli avversari del liberalismo.
Tale idea fu elaborata dal gesuita francese Henry Ramière (1821- 1884) e diffusa in due direzioni. Una, più pessimistica, pensava che i governi liberali contemporanei fossero espressione di una punizione divina e significassero l’approssimarsi della fine dei tempi, e, perciò, fu suggerito ai cristiani di ritirarsi a vivere una vita spirituale privata. La seconda direzione, più ottimistica, sosteneva che il trionfo della Rivoluzione francese doveva essere contrastato dai cristiani con l’impegno politico verso la costruzione del «regno sociale di Cristo». Si trattò dunque, di una risposta polemica alla Rivoluzione francese, che aveva negato Dio per proclamare i diritti dell’uomo, considerato il vero re dell’universo al posto di Cristo.
Questa seconda corrente fu di stimolo per superare l’isolamento sociopolitico dei cattolici alla fine del secolo XIX e l’elaborazione della teologia politica di Cristo Re servì per giustificare l’intervento dei credenti nell’ambito temporale. Quest’idea ispirò la nascita delle opere sociali e dei movimenti politici dei cattolici europei nel secolo XIX, molti dei quali ebbero la loro base spirituale nell’Apostolato della Preghiera, una rete internazionale dei gesuiti che fu fra i principali centri diffusori della regalità di Cristo, unita alla spiritualità del Sacro Cuore di Gesù, sebbene abbia sempre sottolineato l’aspetto sociale della regalità di Cristo.
Padre Ramière ripeteva che si trattava di una «devozione collettiva e di battaglia». Egli aprì un dibattito sul significato politico del regno sociale incitando i cattolici a impegnarsi politicamente, invece di aspettare passivamente la fine dei tempi, come molti dei contro-rivoluzionari. Questa idea si diffuse poi in diversi paesi europei, in particolare in Francia, Svizzera, Italia e Spagna.
2. Pio XI e la festa liturgica di Cristo Re
L’istituzione della festa di Cristo Re era stata promossa nel 1899 dal gesuita di origine sarda Giammaria Sanna Solaro (1824-1908); poi fu ripresa da Papa san Pio X (1903- 1914) e sostenuta, soprattutto, da Marie-Marthe-Émile Tamisier (1844-1910) in numerosi congressi eucaristici, e affidata dopo la prima guerra mondiale a Georges de Noaillat, dirigente della Societé du Règne Social de Jésus-Christ. Durante tale guerra vi fu un’esaltazione «nazionalista» della devozione al Sacro Cuore di Gesù, ma vi furono anche reticenze da parte di Papa Benedetto XV (1914-1922) e un cambiamento di mentalità dopo il conflitto.
Il Sacro Cuore fu ridotto a una connotazione unicamente spirituale e devozionistica. Con Papa Pio XI diventò il simbolo di una nuova forma di nazionalismo sui generis: il nazionalismo della Nazione Santa, del Popolo di Dio, della Chiesa, rivolto a tutti gli uomini e a tutte le nazioni per dare una formazione integrale, «totale», all’individuo e alle forme pubbliche e di massa di professione di fede.
Questo nuovo orientamento della devozione al Sacro Cuore fu assunto da Papa Pio XI come base e principio assimilatore del suo magistero sociale e della sua prospettiva pastorale, con un’accentuazione della regalità. Ecco perché, per alcuni, l’istituzione della festa di Cristo Re ebbe un significato puramente politico: opposizione al laicismo, riaffermazione della legittimità e della necessità di una società ufficialmente cristiana, con la speranza di un ritorno alla Cristianità.
Papa Pio XI accolse nel suo magistero la dottrina della regalità, diffusa allora soltanto in circoli molto attivi, ma sempre molto ridotti. Nella sua prima enciclica, Ubi arcano Dei consilio, del dicembre del 1922, esplicitò il tema, formalizzandolo tre anni dopo nella bellissima enciclica Quas primas, del 1925, su due piani: dottrinale ma soprattutto liturgico. La nuova festa contribuì moltissimo ad allargare la diffusione della devozione di Cristo Re e la teologia politica degli inizi acquistò profondità di riflessione spirituale.
Cristo Re servì pure a contrastare le dottrine politiche del tempo — comunismo, nazionalsocialismo e fascismo —, perché, se Cristo è re e quindi unico fondamento della vita collettiva, s’instaurava una divaricazione definitiva con le teorie totalitarie della vita pubblica. E infatti, dopo l’avvento del nazionalsocialismo, in Germania vi furono alcuni che si ribellarono ad Adolf Hitler (1889-1945) in nome di Cristo Re. L’Azione Cattolica tedesca innalzava il monogramma di Cristo contro la svastica. E in Austria il card. Theodor Innitzer (1875-1955) proclamò, davanti a migliaia di giovani d’Azione Cattolica, radunati nella cattedrale di Vienna il 7 ottobre 1938: «Il nostro Führer è Cristo».
3. Il grido dei martiri del secolo XX
Nel Messico degli anni 1920 e 1930, dove i governi anticlericali e antireligiosi perseguitarono crudelmente i cattolici e violarono il più fondamentale diritto della persona umana, cioè la libertà religiosa, i cristeros protestarono contro lo Stato persecutore, ispirato dalla massoneria. Non vi sono dubbi sull’anticlericalismo di molti dirigenti politici messicani, che odiavano la Chiesa. Questo fatto rivela l’ambiente in cui si consumarono i martiri. La frase del noto massone presidente Plutarco Elías Calles (1877- 1945): «Ho solamente un nemico, e si chiama Gesù Cristo», dichiara la mentalità diffusa in tutta la nazione. Si trattava di un piano ben organizzato per eliminare la Chiesa cattolica dal suolo messicano, decapitandola nei suoi ministri.
L’idea di una contro-società cattolica e l’opposizione al potere trovarono una convergenza nella regalità di Cristo, che divenne una forma d’identificazione forte. La stessa denominazione di cristeros si deve alla grande devozione per l’Eucaristia e alla festa di Cristo Re, che erano particolarmente radicate nella popolazione rurale messicana.
Occorre rilevare quanto affermò il card. Eduardo Francisco Pironio, nella sua positio di fronte alla Congregazione dei Cardinali: «Questi 25 Servi di Dio non sono stati gli unici, vi furono molti altri cristiani di ogni età e condizione che diedero la vita in difesa della fede. Neppure l’eroismo fu esclusivo appannaggio del clero. Tutta la Nazione Messicana ha offerto un’eloquente e silenziosa testimonianza del sangue versato per Cristo Re; tutto il popolo cattolico messicano offrì in vari modi la propria vita e il proprio sangue per Cristo Re».
Il card. Pironio si riferiva a Cristóbal Magallanes Jara (1869-1927) e ai suoi 24 Compagni — 21 sacerdoti e 3 laici — Martiri Messicani, beatificati da Papa Giovanni Paolo II il 22 novembre 1992, che, fra il 1926 e il 1937, furono fucilati in luoghi diversi. Molti di questi, dopo aver confessato tre volte la loro fede, morirono gridando: «Viva Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!».
In Spagna, Cristo Re rappresentò per i cattolici il simbolo dell’opposizione a una repubblica laica e laicista, antireligiosa e anticlericale. Arrivata l’ora suprema, i martiri affrontarono la morte con invitta fermezza e pazienza per amore di Dio e di Gesù Cristo, il Martire dei Martiri. Infatti, gli stessi miliziani dissero che molti erano caduti con i crocifissi fra le mani gridando «Viva Cristo Re!». Fu il grido glorioso da contrapporre al «Viva il comunismo; viva la Russia!», preteso dai carnefici per salvare loro la vita prima dell’esecuzione capitale.
I claretiani di Barbastro, in provincia di Huesca — seminaristi della Congregazione dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, fondata da sant’Antonio Maria Claret y Clará (1807-1870) —, mentre erano legati e trasportati sull’autocarro verso il cimitero, cominciarono a osannare a Cristo Re e a intonare canti che esprimevano l’ideale missionario. Lo stesso fecero i giovani della Congregazione del Santissimo Redentore, cioè i passionisti di Daimiel, presso Ciudad Real. Infatti, gli stessi miliziani dissero che alcuni erano caduti con il crocifisso fra le mani gridando «Viva Cristo Re!». Simile grido fu lanciato dai fatebenefratelli — così vengono denominati i membri dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio —, autentici martiri cristiani e ospedalieri.
Le parole «Viva Cristo Re!» sigillarono definitivamente le labbra della beata Victoria Díez y Bustos de Molina (1903-1936), la maestra di Hornachuelos, presso Cordova, e di molti altri martiri spagnoli già beatificati, come le 17 suore della Dottrina Cristiana di Mislata, presso Valencia, che la notte del 20 novembre 1936, più che gli aspri ordini del plotone d’esecuzione, udirono l’amorosa voce del Padre che diceva: «Entra nella gioia del tuo Signore». La superiora morì per ultima e, raccogliendo il sentimento della comunità, lanciò il suo ultimo grido glorificando Dio e dicendo «Viva Cristo Re!».
Secondo la testimonianza dell’autista dell’autocarro che lo portava al supplizio, Ceferino Giménez Malla (1861-1936), detto el Pelé, «l’Uovo», cadde sotto i proiettili del fucile al grido di «Viva Cristo Re!» stringendo la corona del Rosario. Così morì questo gitano dalla stoffa di santo, beatificato il 4 maggio 1997.
In Germania, contro la menzogna dell’ideologia nazionalsocialista, il beato Bernhard Lichtenberg (1875- 1943), prevosto di Berlino — morto mentre era condotto in un campo di concentramento e beatificato il 23 giugno 1996 nella capitale tedesca — dichiarò coraggiosamente: «Il mio Führer è Cristo».
Il beato Karl Leisner (1915-1945), elevato agli onori degli altari lo stesso giorno, venne perseguitato perché era uno dei protagonisti del Movimento Cattolico Giovanile, che orientava le nuove generazioni verso il Cristo con la liturgia e la Bibbia. Al Cristo, la sua «passione», che l’immergeva nella profonda immolatio, chiese di esser pronto a morire «per il tuo regno». Dopo aver trascorso sei anni nel campo di sterminio di Dachau si ammalò gravemente e morì in ospedale dopo la guerra, il 12 agosto 1945, vittima delle indicibili sofferenze fisiche e morali inflittegli dalle SS e da lui eroicamente accettate come solenne testimonianza della sua profonda fede.
Nella Jugoslavia comunista, il beato Alojzije Viktor Stepinac (1898-1960) fu araldo di Cristo Re. Ordinato sacerdote il 26 ottobre 1930, il giorno di Cristo Re, questa festività fu celebrata da Stepinac, anche quando era arcivescovo di Zagabria, nel modo più solenne. E proprio in quelle occasioni pronunciò le sue più note omelie e discorsi, in particolare quello dell’anno 1943. Di quel coraggioso discorso, pronunciato nella festa di Cristo Re, riportiamo soltanto il pensiero più rilevante: «Abbiamo sempre sottolineato nella vita pubblica i princìpi della legge eterna di Dio indipendentemente dal fatto che si tratti di croati, serbi, ebrei, zingari, cattolici, musulmani, ortodossi o chiunque altro».
4. In nome di Cristo Re si potè resistere ai totalitarismi del secolo XX
Non sbagliò la Chiesa nel vedere come essenzialmente anticattolica la politica massonica dei governi messicani, della seconda repubblica spagnola e dei totalitarismi di tipo comunista e nazionalsocialista, come non aveva sbagliato nel secolo XVIII nel valutare negativamente la Rivoluzione francese. Certamente, la scristianizzazione delle società tradizionalmente cattoliche era un fenomeno lento e in atto da tempo: ma ciò non deve far dimenticare la volontà esplicita dei rivoluzionari di attaccare a fondo la Chiesa cattolica, mentre protestanti ed ebrei erano rispettati nelle loro attività religiose e manifestazioni di culto.
Basta pensare alla sequenza di misure legislative contro il clero e, infine, alla persecuzione violenta contro le persone — preti e religiosi deportati, uccisi, costretti all’esilio, nella Francia rivoluzionaria, e l’olocausto di migliaia di sacerdoti e di fedeli cristiani nella Spagna repubblicana — e contro le cose, con la distruzione di un numero impressionante di opere d’arte nei due paesi. Per non parlare poi dei fatti accaduti nei paesi sottoposti al totalitarismo nazionalsocialista e ai regimi comunisti, fino ai nostri giorni.
Non furono punte estremistiche, come confermò in Francia il mantenimento della politica anticattolica da parte dei termidoriani dopo la caduta di Maximilien de Robespierre (1758-1794) e in Spagna, dopo la testimonianza del ministro del governo repubblicano Manuel de Irujo y Ollo (1891-1981) nel gennaio del 1937. Negli ultimi anni si è fatta una profonda revisione storiografica della Rivoluzione francese e bisogna farla anche di quelle messicana e spagnola perché non si può ridurre tutto a una sorta di spiacevole equivoco, le colpe del quale, tranne qualche insignificante sfumatura «poco cortese» da parte laicista, sarebbero tutte della Chiesa. Bisogna dire che in Messico si perseguitava in nome di princìpi massonici e in Spagna socialismo marxista, comunismo e anarchismo furono alla base della persecuzione contro la Chiesa. Questa era già iniziata due anni prima dello scoppio della guerra civile, cioè nel 1934, durante la Rivoluzione delle Asturie. L’insurrezione militare del 1936 fu provocata anche, in parte, dalla persecuzione contro la Chiesa, quindi fu una causa della medesima. Insomma, bisogna dire che in Spagna si fu prima ammazzati per Cristo Re, e poi ci si difese, legittimamente, in suo nome.
In punto di morte le vittime lanciarono un grido di fede comune in bocca ai martiri delle persecuzioni del secolo XX: «Viva Cristo Re!». La stragrande maggioranza dei martiri del nostro secolo fu uccisa in nome del regno divino. Gli spagnoli e i messicani, soprattutto, morirono invocando la regalità di Gesù e lanciando il noto grido.
Fu l’espressione del loro coraggioso atteggiamento, della loro professione di fede certa, senza riserve, nel seguire Cristo nella sua immolazione. Per il suo trono divino morirono anche molti martiri del nazionalsocialismo e del comunismo.
Monsignor Vicente Cárcel Ortí