Corrado Gnerre, Cristianità n. 161 (1988)
Massimo Introvigne, I Testimoni di Geova. Le origini, la storia, la dottrina, Elle Di Ci, Leumann (TO) 1988, pp. 40, L. 750
Nato a Roma nel 1955, Massimo Introvigne ha studiato filosofia alla Pontificia Università Gregoriana e giurisprudenza all’Università di Torino. Collaboratore della cattedra di filosofia del diritto di questa università, coltiva studi di tipo filosofico-giuridico e filosofico-morale, di cui sono frutto le opere — di diverso impegno — I due principi di giustizia nella teoria di Rawls (Giuffrè, Milano 1983), Pornografia e rivoluzione sessuale (Libreria San Lorenzo, Chiavenna [SO] 1983), «Mystiche» e morale in Wittgenstein (Quadrivium, Genova 1984) e Le domande dell’uomo (Cirone, Torino 1985). Esponente di Alleanza Cattolica, in cui milita dagli anni del liceo, collabora regolarmente sia a Cristianità che ai Quaderni di «Cristianità», nonché alla rivista genovese Renovatio. Membro del Consiglio Nazionale del GRIS, il Gruppo di Ricerca e di Informazione sulle Sette, e direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, è coautore di diversi volumi sui Testimoni di Geova e ha pubblicato Il reverendo Moon e la Chiesa dell’Unificazione (Elle Di Ci, Leumann [TO] 1987).
L’opuscolo I Testimoni di Geova. Le origini, la storia, la dottrina raccoglie una serie di articoli — di carattere divulgativo — apparsi dal novembre del 1986 al gennaio del 1987 sul settimanale diocesano del capoluogo piemontese, La Voce del Popolo, e compare come novantacinquesimo nella collana Mondo Nuovo, che si vuole in continuità con le Letture Cattoliche, fondate da san Giovanni Bosco.
Dopo una breve presentazione (pp. 3-4), nel primo capitolo (pp. 5-13), dedicato al tempo delle origini, dal 1878 al 1914, viene descritta la grave difficoltà che incontra chi voglia ricostruire la storia dei Testimoni di Geova, dai momento che essi, «a differenza di quanto fanno altri movimenti religiosi, non lasciano entrare nessun estraneo nei loro archivi tenuti a Brooklyn, presso New York, e non li aprono a chi desidera esaminarli per ragioni di studio» (p. 5), ma, soprattutto, «non sono interessati tanto al passato quanto al futuro: ritengono che il nostro mondo stia per finire e che quindi la storia, anche la loro, non sia molto interessante» (ibidem). Inoltre, il propagandare la storia della loro organizzazione porrebbe seri problemi ai Testimoni stessi, in quanto comporterebbe l’onere di spiegare come mai punti essenziali della loro dottrina siano stati cambiati nel corso degli anni. A ciò va aggiunto che il tipo umano a cui generalmente si rivolge il proselitismo dei Testimoni di Geova è di modesta cultura e raramente fornito di stimoli alla conoscenza delle origini del movimento. Comunque, malgrado le difficoltà, è possibile affermare l’esistenza di un legame fra il geovismo e il movimento avventista, molto diffuso in Inghilterra, e soprattutto negli Stati Uniti, intorno alla metà del secolo XIX, e che era caratterizzato dall’«attesa per un nuovo Avvento, una nuova venuta di Gesù Cristo che avrebbe dovuto verificarsi entro pochi anni e porre fine al presente ordine di cose» (p. 7). E, in piena «cultura avventista», Charles Taze Russell, figlio di un ricco commerciante della città americana di Pittsburgh, in Pennsylvania, scopre la vocazione a «studiare» la Bibbia e fonda appunto l’organizzazione religiosa degli Studenti Biblici, che solo dopo la sua morte sarebbe stata chiamata dei Testimoni di Geova.
Nel secondo capitolo (pp. 14-22) è brevemente narrata la storia del movimento geovista, da Joseph F. Rutherford — succeduto al fondatore — ai fallimenti che si sono susseguiti a causa del fatto che, nelle date di volta in volta indicate come finali di questo ordine di cose, non si è prodotta la catastrofe annunciata. Perché, nonostante questo susseguirsi di delusioni, vengono continuamente proposte date fatali ben definite? Perché «l’annuncio di ogni nuova data finale attira nelle fila del movimento migliaia di persone. Trascorsa la data fatale senza che nulla avvenga, una parte dei nuovi battezzati lascia l’organizzazione; ma molti rimangono nell’ambiente che hanno ormai imparato a sentire come loro, e la campagna finisce sempre per chiudersi in attivo» (p. 19). Inoltre i Testimoni di Geova si sentono obbligati ad annunciare che la fine è vicina sulla base di una particolare interpretazione della parabola evangelica del fico.
Di particolare utilità a fini catechistici è il terzo capitolo (pp. 23-30), nel quale è esposta in modo sintetico e chiaro la dottrina geovista relativamente al nome di Dio, la cui conoscenza è ritenuta pregiudiziale al fine della salvezza; alla natura di Dio, che ha caratteri antropomorfici, con un «corpo spirituale» e sensi come la vista e l’udito; a Gesù Cristo, ritenuto semplicemente una creatura; all’uomo, che non ha un’anima immortale, ma la cui sopravvivenza è affidata a una vera e propria «seconda creazione»; al peccato originale, che Adamo ed Eva commisero cedendo alla tentazione di un angelo ribelle, che volle «governare» come Dio e che, non potendo avere il governo sugli altri angeli, «cercò di acquisire potere sugli uomini, accusando Dio di menzogna e sottomettendoli a sé» (p. 28); e — infine — all’Organizzazione Universale di Geova, il cui compito consiste nella diffusione dell’autentico messaggio di Cristo, dal momento che la Chiesa — intorno all’anno 100 — ha deviato.
Il destino degli uomini e del mondo è il tema del quarto e ultimo capitolo (pp. 31-37), nel quale si trova la cosiddetta «dottrina dei 144.000», secondo cui la felicità futura sarà parziale: infatti, 144.000 «unti» vivranno la felicità piena in comunione con Dio nei, cieli, mentre i restanti «fedeli» vivranno per un tempo indefinito sulla terra. E si tratta di una differenza nel tipo di beatitudine che la propaganda geovista tende a non sottolineare: «Non si parla molto del destino celeste e degli “unti” perché è abbastanza improbabile che chi si converte possa mai diventare un “unto”: lo slogan, come afferma il titolo di un libro pubblicato nel 1982, è invece Potete vivere per sempre su una terra paradisiaca» (p. 35).
L’opuscolo si chiude con una bibliografia essenziale (pp. 38-40), che segnala i testi di base — dei quali gran parte non è tradotta in italiano — per passare da una prima informazione — per cui l’opuscolo stesso è strumento certamente adeguato — a un approfondimento del geovismo, base indispensabile per l’opera polemica contro una delle forme con cui si attenta, storicamente, all’identità cattolica della nazione italiana e, oggettivamente, alla salvezza eterna degli uomini.
Corrado Gnerre