Don Pietro Cantoni, Cristianità n. 190 (1991)
Massimo Introvigne nasce a Roma il 14 giugno 1955. Studia filosofia all’Università Gregoriana a Roma e diritto a Torino. Dopo aver svolto ricerche nel campo della filosofia morale, si specializza nella problematica relativa alla “nuova religiosità” contemporanea. In questo settore ha pubblicato Il reverendo Moon e la Chiesa dell’Unificazione (Elle Di Ci, Leumann [TO] 1987; cfr. recensione di Marco Albera, in Cristianità, anno XV, n. 143, marzo 1987), I Testimoni di Geova. Le origini, la storia, la dottrina (Elle Di Ci, Leumann [TO] 1988; cfr. recensione di Corrado Gnerre, in Cristianità, anno XVI, n. 161, settembre 1988), Le nuove Religioni (SugarCo, Milano 1989; cfr. recensione di M. Albera, in Cristianità, anno XVIII, n. 179, marzo 1990), Le sètte cristiane. Dai Testimoni di Geova al reverendo Moon (Mondadori, Milano 1990), Les Témoins de Jéhovah (Cerf-Fides, Parigi-Montréal 1990), I nuovi movimenti religiosi. Sètte cristiane e nuovi culti (con Jean-François Mayer ed Ernesto Zucchini, Elle Di Ci, Leumann [TO] 1990; cfr. recensione di C. Gnerre, in Cristianità, anno XVIII, n. 186, ottobre 1990), I nuovi culti. Dagli Hare Krishna alla Scientologia (Mondadori, Milano 1990), e ha curato Lo spiritismo (Elle Di Ci, Leumann [TO] 1989; cfr. recensione di Valter Maccantelli, in Cristianità, anno XVII, n. 174, ottobre 1989). Esponente nazionale di Alleanza Cattolica e collaboratore di Cristianità, dal 1988 dirige il CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni.
Già nel volume Le nuove Religioni l’autore si era posto il problema di come classificare in modo scientifico tutto quel mondo correntemente detto delle sette o anche dei nuovi culti, per cui, dopo aver distinto religione e magia, escludeva dalla sua ricerca sulle nuove religioni quei movimenti la cui natura è piuttosto magica. Ora, in Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo, propone il completamento del quadro, che però comprende solo i movimenti e quindi tralascia le singole personalità, pure di grande rilievo, che tuttavia non si situano consapevolmente all’origine di una qualche organizzazione: perciò, si cercherebbe invano nell’opera una trattazione specifica dedicata, per esempio, a Julius Evola, a René Guénon o a George Ivanovic Gurdjieff.
“Entriamo in un campo oltremodo confuso e quasi impenetrabile”: così inizia la troppo breve trattazione del tema superstizione e magia in uno dei più noti e diffusi manuali di teologia morale cattolica (Anselm Günthör, Chiamata e risposta. Una nuova teologia morale, vol. II, Edizioni Paoline, Roma 1981, 3a ed., p. 509). L’impresa di “mettere ordine” in un tale campo può sembrare perfino disperata, se non addirittura presuntuosa, tanto il carattere della confusione e della frammentazione pare convenire a esso essenzialmente: certamente bisogna tener conto di questo dato se si vuole apprezzare nella giusta misura lo sforzo compiuto da Massimo Introvigne e i preziosi risultati conseguiti. Limitandosi opportunamente a un punto di vista definito, quello storico-fenomenologico — infatti, non vi è niente di peggio che mescolare le distinzioni che si sono generate nell’ambito di approcci scientifici diversi o che si giustificano sulla base di diversi fondamenti —, l’autore distingue tre filoni, quello spiritista (pp. 45-138), quello magico (pp. 139-364) e quello satanistico (pp. 365-414).
La grande importanza data allo spiritismo non deve stupire: infatti, esso si situa certamente all’origine dell’interesse moderno per l’occulto, nella forma di spiritismo classico (pp. 57-73), che si evolve però sia in culti post-spiritistici (pp. 74-90) — cioè in realtà storicamente sorte nel contesto spiritista, da cui si sono staccate sul piano dottrinale o su quello organizzativo — sia nel neo-spiritismo del channeling (pp. 91-115), che non è altro che lo spiritismo nell’ambito del New Age, profondamente influenzato da Carl Gustav Jung. Altrove l’autore definisce il channeling “lo spiritismo dopo Jung” (Il channeling: uno spiritismo moderno?, in AA. VV., Lo spiritismo, a cura di M. Introvigne, Elle Di Ci, Leumann [TO] 1989, p. 42) e si deve sicuramente prestare particolare attenzione alle dottrine del discepolo svizzero di Sigmund Freud se si vuole valutare correttamente il carattere essenzialmente moderno — spesso al di là di una tradizionalità solo apparente — di molti dei nuovi movimenti magici. Al filone spiritista si ricollega anche — sul piano dei fatti, non per semplice esigenza classificatoria — il culto dei dischi volanti (pp. 116-138). Vale la pena di notare che anche a questo proposito “[…] l’incontro con la psicoanalisi che caratterizza il milieu contemporaneo dei nuovi movimenti magici non è assente […]: Jung si è interessato al fenomeno, sia pure mettendone in luce principalmente gli aspetti psicologici, e Reich credeva addirittura nell’esistenza di astronavi spinte dall’”energia orgonica” di natura biosessuale da lui scoperta” (p. 119).
La sezione dedicata al filone magico, dopo una galleria di personaggi chiave — “i grandi antenati” — come Francis Barrett, Eliphas Lévi e Alexandre Saint-Yves d’Alveydre, comprende sottosezioni sulla massoneria “di frangia” (pp. 157-175), cioè su quel “[…] gigantesco sottobosco di riti massonici più o meno “irregolari”, di gradi e di sistemi che […] prolifera in modo impressionante nel Settecento e continua a prosperare nell’Ottocento” (p. 157); sui diversi ordini che si ispirano via via a una “tradizione pitagorica” (pp. 176-183), alla leggenda dei Rosacroce (pp. 184-215), all’ordine del Tempio o alle sette gnostiche dei primi secoli cristiani (pp. 233-256). Caratteristica comune di questi movimenti è il ricollegarsi a una realtà affascinante perché misteriosa — la Fraternità dei Rosacroce, l’ordine del Tempio — o antica — Pitagora, la Gnosi —, con la quale si pretende naturalmente un effettivo — ma indimostrato — collegamento storico. Essi esemplificano quindi molto bene un Leitmotiv che attraversa un po’ tutta la variegata galassia dei movimenti magici e ha un indubbio valore emblematico, cioè la pretesa di essere depositari di un sapere nascosto e di esserne depositari autorizzati, cioè con un collegamento non solo ideale ma anche fattuale con le sue origini. In questo contesto si situano pure due sezioni particolarmente complesse, ma di valore difficilmente sottovalutabile per orientarsi nei meandri della storia e anche dell’attualità dei movimenti magici, quella dedicata alla magia cerimoniale (pp. 257-312), con al centro l’ambigua e inquietante figura di Aleister Crowley, e quella dedicata al martinismo (pp. 216-232), con importanti medaglioni su personaggi come Martinez de Pasqually, Jean-Baptiste Willermoz, Louis-Claude de Saint Martin e quell’autentico crocevia di dottrine, organizzazioni e figure che è il dottor Gérard Encausse, ossia Papus. La sezione è completata da alcune pagine sui movimenti di ispirazione orientale (pp. 313-321) o neopagana e neo-“stregonica” (pp. 334-364), mentre non manca anche attenzione al delicato punto dell’esoterismo cristiano (pp. 322-333). In tema di neopaganesimo, Massimo Introvigne si sofferma sul discusso problema delle fonti occulte del Terzo Reich: si tratta di un fatto certamente da ridimensionare sulla base della letteratura più seria — soprattutto dell’opera di Nicholas Goodrick-Clarke — e circa il quale s’impone anche l’osservazione secondo cui i movimenti magici non hanno necessariamente un humus “di destra”, anzi, proprio a loro proposito le stesse categorie di “destra” e di “sinistra” risultano tutt’altro che univoche.
Infine, vi è la sezione dedicata al satanismo, dove si trova un’importante premessa metodologica: “Occorre qui distinguere fra la descrizione del fenomeno e la sua interpretazione, particolarmente l’interpretazione teologica da parte di specialisti cattolici. Di fronte ad accadimenti in cui si manifestano spiriti la cui “presenza” non è facilmente riconducibile a cause naturali (o alla mera truffa) il teologo può avanzare un’interpretazione demonologica e ritenere che ad apparire sia in realtà lo spirito del male (interpretazione che non si manca di avanzare in ambiente sia cattolico che protestante anche per lo spiritismo). Anche un rituale sessuale in cui si esaltino forme di perversione o si concludano “patti” con entità che vengono “chiamate” a incarnarsi sulla terra può essere facilmente definito “diabolico” dal teologo cristiano, che si può chiedere se chi vi fa ricorso non sia mosso dalle suggestioni di spiriti maliziosi. Speculazioni di questo genere, nel loro ambito proprio, sono del tutto legittime, ma rimangono estranee alla fenomenologia della nuova religiosità, che deve chiamare satanismo solo il fenomeno in cui si venera il personaggio chiamato Satana o diavolo nella Bibbia. Diversamente, l’etichetta “satanismo” andrebbe a coprire tutta la gamma di fenomeni disparati in cui da una parte appaiono entità misteriose, dall’altra ci si trova di fronte a episodi di malvagità e perversione” (pp. 375-376).
Questa osservazione merita un breve commento teologico, che lascia quindi intatta la giustissima osservazione metodologica. La teologia cattolica classica ha sempre conosciuto la distinzione fra patto e invocazione esplicita o implicita del Demonio. Ciò significa, fra l’altro, che per parlare, da un punto di vista teologico, di satanismo non è necessario che il soggetto sia consapevolmente tale, ma è sufficiente che ponga in atto una serie di azioni e di comportamenti che abbiano, o possano avere, un obiettivo rapporto con il demoniaco: “Aliqua facere quibus dignum sit ut se daemones ingerant”, “far qualcosa che si presta all’ingerenza dei demòni”, dice san Tommaso (Summa Theologiae, II-II, q. 95, a. 3, ad 1). Si tratta di comportamenti di cui viene generalmente addotta come caratteristica comune la pretesa di ottenere risultati che superano manifestamente le forze della natura umana così com’è conosciuta dal soggetto, al di fuori delle vie a ciò predisposte da Dio, com’è il caso della pseudo-gnosi, della divinazione, della magia e di tutte le forme di autorealizzazione — cioè di autodivinizzazione —, dove poi il binomio sesso-morte gioca indubbiamente un ruolo, quanto meno indiziario, molto importante. E anche a proposito del satanismo esplicito, cioè il satanismo di chi, condividendo intellettualmente la visione del mondo contenuta nella Bibbia e proposta dalla Chiesa, fa semplicemente una scelta di campo opposta a quella di Dio, non si deve immaginare come non è, cioè come la scelta di un male assoluto voluto in quanto tale, perché questo è metafisicamente impossibile. Nessuno può scegliere il male in quanto male, posto che l’oggetto formale della volontà è il bene. A questo riguardo la cultura circostante fornisce a volte espressioni almeno infelici, che possono facilmente indurre in errore, quali “il Demonio è il male”, o anche “è la personificazione del male”. Il Demonio non coincide affatto con il male e non ne è neppure, rigorosamente parlando, la “personificazione”, così come non si può dire che sia il responsabile di tutto il male del mondo: è “semplicemente” la persona, di natura solo spirituale, che ha avuto e ha l’efficacia malefica più grande della storia; in un certo senso, è l’iniziatore del male e il suo principale artefice. Tuttavia anche il Demonio, se vuole irrimediabilmente il male suo e del genere umano, lo vuole sempre sub specie boni, avendo di mira in modo perverso, cioè radicalmente contrapposto a Dio, quel bene che è la sua eccellenza e la sua gloria. Ciò significa che anche nel satanismo “puro”, fenomeno certamente molto raro ma non impossibile ed effettivamente documentato (cfr., per esempio, oltre alle pp. 400-403, Gerhard Zacharias, Der dunkle Gott. Die Überwindung der Spaltung von Gut und Böse. Satanskult und Schwarze Messe [Il Dio oscuro. Il superamento della divisione fra bene e male. Culto di Satana e Messa nera], Limes Verlag, Wiesbaden-Monaco 1982, 3a ed.; e Giuseppe Orlandi, La fede al vaglio. Quietismo satanismo e massoneria nel Ducato di Modena tra Sette e Ottocento, Aedes Muratoriana, Modena 1988), non dobbiamo cercare il “puro assurdo” del “no” a ogni verità, a ogni pensiero e a ogni fascino di pensiero armonioso e profondo, perché ogni volontà è strutturalmente mossa da ragioni, le quali, se manifestano tutta la loro perversità una volta inserite in un quadro globale, non mancano di avere in sé stesse un loro proprio fascino, il che spiega d’altronde come possano “muovere” la volontà. Anche nella più “pura” aversio a Deo vi è sempre l’aspetto positivo di una conversio ad creaturas, la quale poi, nel caso del peccato spirituale — che deve essere principalmente preso in considerazione in tema di satanismo — non sarà tanto appetito di cose basse e sensibili — il grande peccatore può essere un asceta —, quanto la sottile attrazione del proprio “io” concepito come autonomo e dominatore. Autonomia ottenuta per negazione o per contrapposizione? Forse l’atteggiamento più satanico — anche se non necessariamente satanista — è proprio quello che si esprime nella confessione di “ateismo” di Aleister Crowley: “Tu non sei crowleyano […] finché non sei capace di dire con fervore: “Sì, grazie a Dio sono un ateo”” (p. 273). Alla luce di queste considerazioni si può capire come i confini fra satanismo esplicito e implicito sono assai sfumati, o, per lo meno, permettono ampie zone di chiaroscuro e lasciano spazio per mille gradazioni.
Se non fosse per timore di cadere in uno dei più banali luoghi comuni della retorica contemporanea, si dovrebbe dire che l’opera di Massimo Introvigne è veramente stimolante. Cioè che vale non solo per quello che dice e per i dati raccolti e selezionati che fornisce — sostenuti da un ricco apparato di Note (pp. 415-444) e da un’importante Bibliografia essenziale (pp. 445-461), e facilmente utilizzabili grazie a un opportunissimo Indice dei nomi (pp. 462-481) —, ma per lo stimolo che offre al pensiero che vuole capire il mondo contemporaneo e la modernità, come categoria storica e culturale.
Mi pare, in particolare, che offra la possibilità di tre diversi livelli di lettura:
1. può essere letta come una guida, come l’atteso filo d’Arianna in un labirinto di dottrine e di fatti confusi, complessi e, soprattutto, quasi mai presi in seria considerazione;
2. può essere letta come qualcosa di più di una guida, in quanto fornisce una descrizione sempre estremamente sorvegliata, ma porge anche — discretamente — importanti spunti di interpretazione, soprattutto nell’introduzione (pp. 7-43): infatti, vi è quello che si può considerare come il Leitmotiv di tutta l’opera, cioè il rilievo che la modernità non si identifica senz’altro con la marcia progressiva del razionalismo e del materialismo, ma è affetta da un’intrinseca ambiguità. Essa ha in sé, spesso conviventi nella stessa persona, due anime, quella razionalista o “fredda” e quella “occulta” o “calda”. Il dessous occulto appare la contraddizione della facciata razionalistica solo a uno sguardo superficiale, in realtà ne è come l’inseparabile ombra. Ma va segnalata anche l’osservazione che “[…] la maggior parte (per non dire quasi tutti) dei fenomeni che abbiamo elencato trovano la loro origine, direttamente o indirettamente, all’interno di frange e correnti del movimento massonico” (p. 22). Questo non era sfuggito agli studiosi più attenti del movimento massonico (cfr. Léon de Poncins, La F.·. M.·. d’après ses documents secrets, Diffusion de la Pensée Française, Chiré-en-Montreuil 1972, 4a ed., pp. 53-71), e nell’opera di Massimo Introvigne il dossier si arricchisce con una documentazione particolarmente ampia e solida. Mi pare cosa ovvia che chi vuole capire fino in fondo lo spirito della modernità non può prescindere dalla massoneria, ma chi vuol conoscere fino in fondo la massoneria deve tenere conto di questi fatti;
3. può essere letta anche come un’apologetica implicita, cioè un’apologetica “mostrativa” piuttosto che di-mostrativa, uno svelare fenomeni comunemente disattesi, eppure assai consistenti ed eloquenti. Emerge, per esempio, l’ampiezza e l’ubiquità — anche nel cuore della modernità — del bisogno religioso. È vero che l’autore insiste nel distinguere — con Mircea Eliade — religione e magia. Ma il teologo non fatica a discernere, anche in mezzo alle deformazioni e alle contraffazioni dei movimenti magici, aspetti inequivocabili del bisogno religioso, come l’affannosa caccia all’iniziazione, che è manifestazione di una ricerca di collegamento concreto e storico — sarei tentato di dire “corporeo” — con le origini e con il trascendente o il desiderio di operatività, cioè di efficacia nel campo spirituale. Così, la dimensione sacramentale del cattolicesimo, con il suo congenito e “scandaloso” realismo, spesso disattesa da una pastorale troppo superficiale e miope — quando non addirittura esorcizzata come sintomo di mentalità “magico-sacra” —, cacciata dalla porta si riaffaccia dalla classica finestra. Sempre a proposito di pastorale, dalla lettura dell’opera emerge quanto sia stato erroneo il prestar fede alla favola dell’”uomo d’oggi” assolutamente refrattario a tutto quanto sa di sacro e riveste forma mitica o simbolica, con tutte le conseguenze di banalizzazione liturgica e catechetica a cui si è potuto assistere nel postconcilio. Emerge ancora il dato dell’infinita, quasi ossessiva ricorrenza della frammentazione che affligge invariabilmente tutti questi movimenti e si rivela sempre più forte di tutti i tentativi di comporre o ricomporre una qualche parvenza di unità, tanto da essere definita da Massimo Introvigne come “[…] forse in filigrana tutta la storia, e la lezione segreta, dei nuovi movimenti magici del nostro tempo” (p. 414). Si tratta di un dato che lascia scorgere, naturalmente sempre in filigrana — “chi ha orecchi per intendere intenda” (Mc. 4, 9) —, l’importanza e la “ragion d’essere” di quello che rimane il principale problema apologetico del nostro tempo: il “segno levato in mezzo alle nazioni” (Concilio Ecumenico Vaticano I, Costituzione dogmatica sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 3), il “sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 1), la santa Ekklesía — “convocazione” — di Dio.
Pietro Cantoni