Nato a Roma il 14 giugno 1955, Massimo Introvigne — accanto alla coltivazione di altri interessi e allo svolgimento dell’apostolato contro-rivoluzionario in Alleanza Cattolica — negli ultimi anni si è specializzato nella problematica relativa alle “sette” o “nuove religioni”. Dal 1988 dirige il CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, un centro di ricerca internazionale presieduto dall’arcivescovo di Foggia-Bovino, S. E. mons. Giuseppe Casale, e guidato da un comitato scientifico di cui fanno parte rappresentanti di istituti e di università di sette paesi. Massimo Introvigne — che in tema di nuove religioni ha pubblicato numerosi articoli e alcuni volumi — è anche responsabile della parte Nuovi movimenti religiosi in Italia del progetto di ricerca Nuovi movimenti religiosi della FIUC, la Federazione Internazionale delle Università Cattoliche, che continua, su mandato della Santa Sede, il lavoro di studio del fenomeno di cui ha dato conto, nel maggio del 1986, un documento di quattro dicasteri vaticani, il rapporto provvisorio Il fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi. Sfida pastorale. Salutato già da qualche anno come “il massimo studioso italiano dei culti alternativi” (il Giornale, 29-3-1988).
Massimo Introvigne pubblica il frutto di pazienti ricerche — svolte spesso con il contatto diretto, in Italia e all’estero, con i gruppi studiati — in un’opera di mole, Le nuove Religioni, che prende in esame circa duecento movimenti religiosi alternativi, oltre a offrire nell’Introduzione (pp. 7-26) considerazioni di carattere generale e a orientare il lettore nei meandri della letteratura in materia attraverso una Bibliografia essenziale (pp. 379-408).
Nell’introduzione l’autore propone una distinzione preliminare che spiega l’assenza nell’opera di fenomeni che pure sono in rapporto con il sacro e che hanno grande importanza nel mondo contemporaneo, come quelli che formano l’area dello spiritismo, del satanismo, delle organizzazioni magiche, talora con il carattere di movimenti di massa: alla scuola di Mircea Eliade e di Julien Ries, egli definisce l’esperienza religiosa come una “ierofania”, una manifestazione del sacro, mentre l’esperienza magica si presenta piuttosto come una “cratofania”, una manifestazione della potenza; “la religione — nota — cerca l’esperienza del sacro per se stessa, ritenendola superiore all’uomo, non suscettibile di essere dominata o manipolata.
“Il suo termine di riferimento, almeno come linea di tendenza, è l’Assoluto, lo si chiami o meno Dio.
“L’esperienza magica punta invece a entrare in contatto con una serie di forze occulte che, pur ritenute superiori all’uomo, possono essere attirate nella sua sfera, dominate o manipolate accrescendo la potenza di chi compie l’operazione magica o dei suoi clienti. In questo senso, appunto, Mircea Eliade ha ritenuto di poter distinguere l’esperienza del sacro dall’esperienza del potere, parlando in questo secondo caso di cratofania” (p. 10).
Sulla base di questa considerazione vengono quindi identificati i movimenti in oggetto, ciascun gruppo viene correttamente collocato all’interno di quello che i sociologi definiscono cultic milieu, “ambiente dei culti”, e si tiene presente che ognuno di essi nasce all’interno di una sorta di tradizione e di una fitta rete di scambi, di contatti e di contaminazioni con altri movimenti, sì che è crocevia di influenze di volta in volta ricevute e trasmesse. In questo modo, l’autore risale a quattro modelli principali o generali, verificando nello stesso tempo il caratteredi processo del fenomeno della nuova religiosità. E, anche se dei modelli proposti viene fatto un uso puramente strumentale, dal momento che sono soltanto etichette o contenitori nei quali non si vuol far stare tutto per forza, l’uso di questi modelli si rivela l’unico espediente capace di ordinare la materia secondo filoni principali, per avere così punti di riferimento sicuri al fine di una migliore comprensione dei fenomeni stessi. Comunque, Massimo Introvigne privilegia un accostamento di tipo storico piuttosto che sociologico o psicologico, cui pure fa cenno.
Il primo modello è quello delle nuove religioni di origine cristiana e se ne tratta nella prima parte, appunto intitolata Gruppi di origine cristiana (pp. 27-250). L’esame si articola in diversi capitoli che trattano rispettivamente de La “Riforma radicale”, di cui sono esposti i filoni anabattista, spiritualista e razionalista; de La corrente metafisica, con il filone swedemborgiano, la Scienza Cristiana e il New Thought; de La corrente restituzionista, con i mormoni e le Chiese “irvingite”; de La corrente avventista, che comprende gli avventisti del Settimo Giorno e le Chiese di Dio (Settimo Giorno), i movimenti del “Sacro Nome” sabatisti e gli avventisti non sabatisti, fra i quali emergono i testimoni di Geova; dei Nuovi profeti e nuovi messia, per giungere a Gruppi scismatici e “Piccole Chiese” di origine cattolica e ortodossa e a I gruppi sincretisti. Quanto al fenomeno ormai consuetamente denominato “Riforma radicale”, se ne indica l’archetipo in quella corrente della Riforma protestante che si contrapponeva ai padri storici del movimento riformatore, a Martin Lutero, a Giovanni Calvino e a Huldrych Zwingli, ritenendoli in ultima analisi ancora troppo legati all’idea cattolica della Chiesa: i propugnatori della Riforma radicale sostenevano infatti l’insufficienza di una semplice reformatio del cattolicesimo, in quanto presupponeva l’esistenza di qualcosa di riformabile nella Chiesa di Roma, chiedendo piuttosto una radicale renovatio, una nuova instauratio del modello della Chiesa primitiva apostolica, e saltando a pie’ pari i cosiddetti “secoli dell’apostasia”. E il tipo principale della Riforma radicale — anche se, evidentemente, non unico — si trova nel movimento anabattista, matrice originaria di tutte quelle che vengono comunemente denominate “sette cristiane”.
Il secondo modello è quello delle nuove religioni create da occidentali che hanno subito il fascino dell’Oriente e se ne tratta nella seconda parte, appunto intitolata Il fascino dell’Oriente (pp.253-353), che si articola nei capitoli Ai margini dell’Islam e L’Occidente alla ricerca dell’Oriente, in cui si parla della teosofia, delle nuove rivelazioni di origine teosofica, dell’antroposofia e dei “guru bianchi”. Va notato che l’Oriente, nonostante sforzi di “orientalizzazione”, viene letto con occhiali occidentali, e di questa tendenza è espressione tipica la Società Teosofica che, pur negando con forza di essere una nuova religione, ha avuto nel mondo della nuova religiosità un influsso molto più ampio di quanto a prima vista si possa credere. E la Società Teosofica, facendo conoscere in Occidente le religioni orientali, è stata non solo ispiratrice di moltissime nuove religioni, ma ha addirittura riproposto le religioni orientali, in una “rilettura” occidentale, anche in Oriente: per esempio, sia il Mahatma Gandhi, sia il Pandit Nehru, cioè i padri politici dell’India moderna, avevano abbandonato l’induismo sotto l’influsso della loro educazione occidentale, ed entrambi lo hanno poi riscoperto in Inghilterra nell’ambiente della Società Teosofica.
Sempre nella seconda parte si tratta del terzo modello, costituito da una religione orientale che decide di farsi missionaria in Occidente, nel capitolo intitolato L’Oriente in missione in Occidente, nel quale sono partitamente esaminate le missioni indiane, quelle buddhiste, quelle giapponesi e ci si chiede se il mazdaznan sia una missione zoroastriana. E la religione orientale si differenzia e diventa identificabile come “nuova” religione rispetto alle grandi tradizioni religiose dell’induismo, del buddhismo e dello shintoismo, proprio perché, facendosi “missionaria”, viene a modificarsi, talora suo malgrado, dal momento che si deve rendere comprensibile per la mentalità occidentale, acquisendo una dirigenza occidentale, traducendo i suoi testi sacri in lingue occidentali.
Il quarto modello proposto è quello delle religioni ideate in Occidente, per così dire, “a tavolino”: se ne tratta nella terza parte, L’innovazione religiosa in Occidente (pp. 355-378), dove, dopo un’Introduzione:nuove religioni nate in Occidente per invenzione, in due capitoli vengono esposte Le religioni del potenziale umano e i Culti rivoluzionari, descrivendone l’esplosione come tentativo di rispondere ai bisogni di nuova religiosità conseguenti al rifiuto del cristianesimo, tentativo verificatosi particolarmente nell’ambito della Rivoluzione francese e già segnalato all’inizio del secolo da uno storico marxista della Rivoluzione stessa, Albert Mathiez. In questo quadro si incontrano fenomeni come quello costituito dalla Scientologia, che si distaccano dalle grandi tradizioni religiose precedenti dell’umanità per presentarsi con caratteri di assoluta novità, anche se — naturalmente — non mancano di essere influenzati da “nuove religioni” più antiche.
Di fronte a Le nuove Religioni — che sottintende uno studio profondo di una materia difficile non solo perché vasta, ma ancor più perché magmatica, frazionata, in costante mutamento — non è ozioso chiedersi quale ne sia la ragion d’essere. La motivazione primaria si ricava immediatamente constatando lo squilibrio esistente nei paesi dell’Europa latina fra il grande interesse che si concentra attorno al fenomeno delle nuove religioni e la letteratura scientifica disponibile che, al contrario, è estremamente carente: da qui la necessità di predisporre una sorta di mappa che permetta di orientarsi in un terreno dove talora mancano non solo gli approfondimenti, ma anche le indicazioni indispensabili. La lacuna viene così colmata con un testo nuovo rispetto ai modelli esistenti in lingua inglese e in quella tedesca, perché non si tratta di un’enciclopedia, di un repertorio organizzato alfabeticamente, ma di una descrizione articolata del fenomeno, sia pure per schede, secondo una modalità informativa che lo rende leggibile nella sua interezza ma che si presta anche — grazie a un prezioso Indice dei nomi (pp. 409-422), che trova riscontro nella già ricordata Bibliografia essenziale ampia e ragionata — a un’utilizzazione pratica da parte di operatori culturali di diverso settore, inevitabilmente disorientati dal proliferare di nomi e di sigle.
Un’ultima osservazione. Il lettore non trova nell’opera — o trova soltanto fra le righe — una valutazione del fenomeno delle nuove religioni nell’ottica specificamente cattolica e pastorale: l’autore, che non manca di opinioni in materia chiaramente orientate, si sforza di capire le esperienze religiose altrui prima di proporne un giudizio di carattere dottrinale, morale, culturale e sociologico dal punto di vista specificamente cattolico, dal momento che scopo dell’opera non è ancora quello di valutare, ma anzitutto quello di informare correttamente, di fornire quegli elementi di fatto che permettano di esprimere in un secondo tempo un giudizio corretto; e, per quanto concerne il tema della nuova religiosità, questo atteggiamento è tanto più doveroso in quanto il fatto non può assolutamente darsi come scontato, in quanto, cioè, si fa spesso dell’ermeneutica senza conoscere la fenomenologia, oppure — ancora — si parla spesso di un fenomeno e si pretende di giudicarlo senza un’adeguata conoscenza di esso, facendo così agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi.
Marco Albera
Marco Albera