Di Cristina Marconi da Il Foglio del 11/04/2024
Milano. L’Inghilterra guida la rivoluzione e dice basta a tossicità e dogmatismo, nel dibattito ma soprattutto nelle cure: l’utilizzo di ormoni per bloccare la pubertà poggia su “fondamenta incerte” da un punto di vista scientifico, ci vuole un approccio “olistico” che guardi all’individuo a tutto tondo, e non solo attraverso la lente della sua sessualità in evoluzione. E’ quanto ha stabilito un rapporto inglese, il più ambizioso e approfondito sull’argomento, condotto dalla dottoressa Hilary Cass, ex presidente del Royal College britannico di Pediatria, E quindi invece di prescrivere ormoni che bloccano la pubertà e poi, dai 16 anni in poi, ormoni dell’altro sesso, avviando un percorso dagli effetti incerti sulla salute fisica ma anche su quella mentale, bisogna partire fin da subito con una terapia psicologica che tenga conto anche di fattori sociali e di altri aspetti, come per esempio l’alta incidenza delle richieste tra giovani neurodivergenti, con problemi psichiatrici o provenienti da situazioni disagiate, i quali finiscono col fare del genere il fulcro del loro malessere.
Nelle 388 pagine del report e nelle interviste, accolte con molte polemiche ma anche molto sollievo nel Regno Unito, Cass ha messo in chiaro di non voler giudicare la legittimità del fatto di non riconoscersi nel proprio genere, ma di voler piuttosto restituire l’argomento alla serietà con cui la scienza opera normalmente, dopo che negli ultimi anni è diventato automatico ricorrere agli ormoni, in un’atmosfera ideologica che ha fatto sì che tutti, dai medici ai genitori, si ritrovassero intimiditi dall’onnipresente accusa di “transfobia”. L’impossibilità di trattare tutti i pazienti nei tempi richiesti da parte dell’Nhs, il servizio sanitario nazionale, ha creato liste di attesa lunghe e il ricorso frequente a ormoni comprati online, in condizioni di sicurezza minima. In buona sostanza, persone fragili sono state abbandonate a loro stesse, rese più fragili, spesso senza indicare chiaramente una via d’uscita o di “pentimento” da una decisione che viene presa in tempi di fragilità estrema.
Innanzi tutto i ricercatori dell’Università di York, che dal 2020 lavorano al report, hanno fatto presente come manchino i dati per dire che l’approccio medico arreca benefici psicologici e non crei problemi alle ossa e all’altezza e non abbia altre conseguenze gravi. Le linee guida sono state messe a punto, sulla base di un solo studio olandese iniziato nel 1998, dal Wpath, acronimo dell’associazione professionale mondiale delle cure transgender, ma l’aspetto più inquietante, per Cass, è che della cautela con cui i medici in generale accolgono le nuove terapie non c’è stata traccia in questo ambito, forse sulla scia dell’aumento impressionante dei numeri: nel 2009 il fenomeno riguardava poche decine di persone e soprattutto adolescenti maschi, mentre oggi sono 5 mila, in maggioranza ragazze. Anche su questo Cass ha scelto di rompere la coltre di omertà che impedisce di fare il nesso tra due questioni importanti: i social network fanno sì che le giovani donne siano esposte a pornografia, violenza, pressioni sulla propria immagine, molto più dei maschi, con un crollo dell’autostima e il senso di minaccia alle stelle, molto più presente rispetto a quello delle generazioni precedenti. Nel 2014 il canale per bambini della Bbc ha trasmesso un documentario sulla transizione di una bambina che diventa Leo e nello stesso anno la terapia ormonale è passata dall’essere un protocollo di ricerca a una routine per ragioni che, secondo l’Università di York, “non sono chiare”. La clinica Tavistock di Londra, tempio della linea oltranzista, è stata ormai chiusa e sostituita da due centri Nhs, e i critici sottolineano come con l’esplosione di disagio giovanile in corso sarà difficile seguire tutti i ragazzi in difficoltà, tanto più che Cass sostiene che fino ai 25 anni dovrebbero essere in cura presso centri dedicati ai giovani.
Nel report si nota anche il ruolo degli influencer che soffiano sul fuoco del senso di isolamento dei ragazzi, suggerendo loro di non parlare con le famiglie. E invece Cass vuole che ci sia un ruolo dei genitori e chiede alle scuole di non accettare le richieste di “transizione sociale” – nomi e pronomi diversi – senza coinvolgerli, a meno che non ci siano rischi chiari per l’incolumità dei ragazzi, visto che anche qui la statistica dice che chi chiede di cambiare genere spesso viene da contesti difficili, di abusi mentali o fisici.
Il report di Nhs England non si applica alla Scozia, che sull’argomento ha una linea diversa, e alle cliniche private, ma inaugura una filosofia diversa – trattare i ragazzi come individui – e cerca, anche nei toni, di andare oltre le polemiche e mettere l’accento su quello che va fatto: dalla parte dei bambini. Il premier Rishi Sunak ha esultato, ma pure dal fronte laburista sono arrivate parole di encomio: il report è un momento spartiacque, anche perché la salute dei giovani va gestita guardando alla scienza, non certo alle culture war.