Europa e Italia rinunciano alla sola misura che permette di affrontare la questione con dignità: un patto europeo che impedisca ai trafficanti di nuocere
È fuori luogo criticare l’accordo sull’immigrazione Italia-Libia del 2 febbraio e il vertice di Malta del giorno successivo perché in seguito migliaia di migranti hanno attraversato il Canale di Sicilia e sono stati accolti nel territorio italiano come se nulla fosse: ogni intesa ha bisogno di tempo per dare frutti. È però altrettanto ingenuo immaginare che dai due incontri verranno risultati concreti. Per queste ragioni:
1. L’accordo non ha le caratteristiche di un trattato. Firmatario per parte libica è Faye Mustafa al-Serraj, capo di un governo che non controlla neanche l’intera città di Tripoli: è sostenuto dall’Onu, ma per avere un’idea dell’estensione del suo dominio basta pensare che sei ministeri della capitale sono occupati dalle milizie di Khalifa Ghwell, capo del governo rivale, mentre l’intera Cirenaica è guidata da Khalifa Haftar, insediato a Tobruk. In che modo al-Serraj rispetterà gli impegni assunti?
2. Larga parte degli impegni interessano in realtà la parte italiana. Consistono anzitutto – art. 1 lettera C dell’accordo – nel «supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina (…) rappresentati dalla guardia di frontiera e dalla guardia costiera del ministero della Difesa, e dagli organi e dipartimenti competenti presso il ministero dell’Interno». Nessun intervento diretto, ancor meno sul territorio libico, di forze militari o di polizia italiane, ma l’aiuto a quelle libiche.
3. L’entità del supporto tecnico deve fare i conti con l’art. 4, per il quale «la parte italiana provvede al finanziamento delle iniziative (…) senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato (…), nonché avvalendosi di fondi disponibili dall’Unione Europea». Le risorse utilizzabili dall’Italia vanno ricavate dagli «stanziamenti già previsti», a scapito cioè di impieghi analoghi: non ve ne sono di ulteriori!
4. Il giorno dopo a Malta l’Europa si è dichiarata – così hanno titolato i quotidiani – “a fianco dell’Italia” per l’intesa con la Libia, e ha messo a disposizione 200 milioni di euro. Questa cifra fantasmagorica, in base al memorandum, dovrebbe coprire le spese non solo per l’addestramento delle forze libiche e per il contrasto ai traffici clandestini, ma anche – art. 1 lettera B – per i «programmi di crescita nelle regioni colpite dal fenomeno dell’immigrazione illegale, in settori (…) quali le energie rinnovabili, le infrastrutture, la sanità, i trasporti, lo sviluppo delle risorse umane, l’insegnamento, la formazione del personale e la ricerca scientifica».
5. L’insieme non è particolarmente credibile: da un lato l’Unione Europea vuol convincere che 200 milioni di euro siano sufficienti a risolvere l’immigrazione nel Nord Africa. Dall’altro, in coerenza con l’accordo del marzo 2016, corrisponde 6 miliardi di euro alla sola Turchia, qualificata ancora adesso «Stato sicuro», perché si tenga i 2,7 milioni di profughi dimoranti nel proprio territorio, e si riprenda indietro quelli che le riconsegna la Grecia.
Ancora più morti?
Ammettiamo per assurdo che l’intesa funzioni e che le risorse erogate bastino. Vuol dire che l’Unione Europea e l’Italia delegano a forze militari libiche, una parte delle quali ha finora concorso attivamente nei traffici dei migranti, di far tornare indietro barconi stracarichi di esseri umani, col rischio che molti di essi finiscano in mare e allunghino l’elenco dei morti. Non rileva che il 40 per cento di chi finora è sbarcato in Italia abbia ottenuto la protezione umanitaria: se tutti i barconi tornano indietro, uno dei tre governi libici provvederà alla verifica di questo profilo?
Europa e Italia rinunciano alla sola misura che permette di affrontare la questione con dignità: un patto europeo, che ponga i trafficanti di uomini nella impossibilità di nuocere, distruggendo le imbarcazioni già sul suolo libico. E che garantisca a chi ha raggiunto le coste del Mediterraneo l’esame serio della propria condizione, con commissioni di asilo costituite ad hoc sotto l’egida dell’Ue, o dell’Onu, o di entrambe. A quel punto il trasferimento in uno dei paesi europei, secondo un criterio di equa distribuzione, di coloro che hanno ricevuto il riconoscimento di rifugiati, avverrebbe senza correre rischi per la vita. L’Europa ha scelto, ancora una volta, di non scegliere. L’importante, nel frattempo, è dare addosso a Trump.
Alfredo Mantovano
Da “Tempi” del 13 febbraio 2017. Foto da articolo