Da Il Foglio del 05/03/2024
Roma. Oggi in Francia un quarto delle nascite finisce in un aborto. Un francese su quattro. Più di otto milioni dal 1975. L’aborto non è mai stato in discussione nel paese europeo dove il numero di aborti rimane stabilmente a livelli stratosferici. Non si capisce quindi perché farne una bandiera ideologica inserendolo in Costituzione, un vessillo morale, come se fossimo appena usciti da secoli di oscurantismo e che finalmente le luci della ragione e dei diritti fossero venute alla luce, a illuminare una società retrograda e patriarcale. Una minaccia fantasma. Un naufragio morale degno di Amnesty International (“l’aborto è un diritto umano”). E introducendo l’aborto in Costituzione, cade ora quella che Simone Veil, madrina della legge, aveva indicato come una “situazione di sofferenza”. Nella legge Véil, l’aborto era tollerato in determinate circostanze, come un male minore. E un male, anche se ritenuto necessario e da normare, non può essere una libertà, ma solo un’eccezione. E poi, cosa ne è del grande convitato dell’aborto, il bambino? Il professor Israël Nisand, presidente dei ginecologi francesi, pur favorevole all’aborto, spiega sulle pagine del Monde, entrando molto nel dettaglio, che a quattordici settimane un’interruzione di gravidanza consiste nella distruzione del cervello del bambino. Ecco il risultato sperato dai sostenitori della norma francese: facendolo uscire dalla zona grigia per farlo entrare in Costituzione, eliminiamo lo scandalo morale. E allontaniamo dall’orizzonte quello che andrebbe scolpito in ogni Costituzione: tutelare ogni vita dal concepimento fino alla nascita.