In questi giorni ricorre anche il 150° anniversario della proclamazione di sant’Alfonso Maria de’ Liguori a dottore della Chiesa. Il Magistero pontificio spiega l’importanza singolare del teologo napoletano che, nel Settecento, rinnovò la teologia morale superando gli scogli del rigorismo e del lassismo
di Francesco Pappalardo
Il 23 marzo scorso Papa Francesco ha ricordato con un proprio messaggio il 150° anniversario della proclamazione di sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787) a Dottore della Chiesa. Il santo napoletano, canonizzato nel 1839, dal 1950 è celeste patrono dei confessori e dei moralisti. Ora il Pontefice lo propone come «modello per tutta la Chiesa in uscita missionaria», dal momento che il suo insegnamento può indicare «ancora con vigore la strada maestra per avvicinare le coscienze al volto accogliente del Padre»; già la bolla di proclamazione del dottorato di sant’Alfonso — prosegue Papa Francesco — aveva evidenziato la specificità del suo insegnamento morale e spirituale, consistente nell’aver saputo indicare «la via sicura nel groviglio delle opinioni contrastanti del rigorismo e del lassismo». Mi piace ricordare in proposito che nella stessa bolla è scritto che tutti gli errori principali dell’epoca moderna, condannati nel 1864 dal Sillabo del beato Pio IX (1846-78), hanno trovato una confutazione anticipata negli scritti alfonsiani.
E veramente sant’Alfonso si orientò subito verso i problemi più immediati della vita dei credenti, scossi nella fede e nelle certezze tradizionali da nuovi movimenti culturali e religiosi, soprattutto l’illuminismo, che minava dalle fondamenta la fede cristiana, e il giansenismo, sostenitore di una dottrina della grazia che, invece di alimentare la fiducia e animare alla speranza, portava alla disperazione o, per contrasto, al disimpegno.
Di fronte al dilagare dell’errore egli operò con alacrità per conservare integra nel popolo la fede in genere e, in specie, la devozione a Maria, e in campo strettamente dogmatico elaborò una dottrina della grazia imperniata sulla preghiera, che restituì alle anime il respiro della fiducia e l’ottimismo della salvezza. Lo ha sottolineato anche san Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Spiritus Domini, scritta nel 1987 per il bicentenario della morte del grande santo, osservando che «Alfonso fu il rinnovatore della morale: a contatto con la gente incontrata in confessionale, specialmente nel corso della predicazione missionaria, egli gradualmente e non senza fatica sottopose a revisione la sua mentalità, raggiungendo progressivamente il giusto equilibrio tra la severità e la libertà». Il suo probabilismo — che si opponeva sia al rigorismo giansenista, influenzato dal protestantesimo puritano, sia a un certo lassismo volgare, sorto come reazione eccessiva al rigorismo — ha costituito la più sicura garanzia contro i sogni utopistici e ha ricordato, in opposizione a quanti pensano che il progresso storico porterebbe alla graduale estinzione del male, che la perfezione non è di questo mondo.
Sull’esempio di sant’Alfonso, e richiamando l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, Papa Francesco invita «i teologi moralisti, i missionari ed i confessori ad entrare in rapporto vivo con i membri del popolo di Dio, e a guardare all’esistenza partendo dalla loro angolazione, per comprendere le difficoltà reali che incontrano ed aiutare a guarire le ferite, perché solo la vera fraternità “sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono”».
Sabato, 27 marzo 2021