Giovanni Cantoni, Cristianità n. 121 (1985)
Mons. Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, Per una cultura cristiana, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1985, pp. 28, L. 2.000
Il 12 dicembre 1984, presso l’aula S. Pincherle dell’istituto di matematica della università di Bologna, mons. Giacomo Biffi, arcivescovo del capoluogo della regione emiliana, ha tenuto una conferenza sul tema Per una cultura cristiana. Pubblicata in opuscolo con lo stesso titolo, essa si iscrive fra i documenti più significativi del «dibattito circa la “cristianità”», la maggiore querelle attuale all’interno del mondo cattolico italiano e non soltanto italiano, che vede schierati, da una parte, i sostenitori della cosiddetta «presenza» e, dall’altra, quanti propugnano una «scelta religiosa» e teorizzano una «mediazione» tra la religione cattolica e il mondo moderno.
Il testo di mons. Giacomo Biffi costituisce, di fatto, un articolato e motivato commento alla tesi pontificia – enunciata davanti ai partecipanti al primo congresso del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale, il 16 gennaio 1982 – secondo cui «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta».
Dopo alcune premesse – che segnalano, tra l’altro, la intenzione pastorale del suo discorso, senza escludere il valore dottrinale e magisteriale di esso – il presule passa a esporre i significati fondamentali del termine «cultura», prima come «coltivazione dell’uomo», poi come «elaborazione da parte dell’uomo», quindi – con una accezione che ha corso «da poco più di mezzo secolo» – come «scala dei valori».
Segue, logicamente, una breve illustrazione della «giusta idea della fede», per venire, infine, alla trattazione del tema «la fede che si fa cultura». Allo scopo l’arcivescovo di Bologna ripercorre i passaggi svolti per definire la «cultura» e, di conseguenza, parla prima della «coltivazione cristiana dell’uomo», poi del «patrimonio spirituale cristiano», per quindi giungere alla enunciazione della «scala cristiana dei valori».
In questo itinerario acquistano importanza particolare le parti relative ai «mezzi per la “coltivazione cristiana dell’uomo”» e agli «“elaborati” della cristianità». A proposito dei primi, cioè dei mezzi, egli afferma che, se «la “coltivazione cristiana dell’uomo” […] non vuol restare soltanto un’astratta affermazione di principio, deve avere i mezzi per il raggiungimento dei propri compiti», e che l’«argomento è di eccezionale gravità» soprattutto «di fronte a uno Stato che sempre più estesamente occupa gli spazi di vita e si impadronisce degli strumenti di comunicazione e di socializzazione (in palese contrasto col “principio di sussidiarietà”, che è uno dei cardini di una concezione sociale che voglia fondarsi sulla libertà e sulla responsabilità della persona)», e che quindi obbliga a operare perché la «società» non diventi un «regime» e a prepararsi alla eventualità che lo diventi.
Quanto agli «“elaborati” della cristianità», mons. Giacomo Biffi nota come «in nessun momento della sua vicenda la Chiesa può mancare di dare vita a una “cristianità” secondo forme che mutano nei tempi e nei luoghi, ma che non possono venire meno in assoluto»: «perciò il problema vero diventa quello di rinvenire la forma che meglio conviene al nostro tempo», non dimenticando assolutamente, però, che «la nostra “cristianità” potrà anche essere di minoranza, diversamente da quella di qualche secolo fa, ma non per questo deve essere meno vivace e meno fortemente caratterizzata» e che, comunque, «non potrà mai delinearsi come un evento privo di continuità nel tempo, senza premesse e senza radici», cioè senza «continua memoria del suo passato».
Ma «già da più di una trentina d’anni la cristianità è stata proclamata defunta. È un fenomeno, si è detto, di origine “costantiniana”, che ha raggiunto il suo culmine nel Medio Evo e che nel nostro secolo si è del tutto esaurito.
«Anzi, con l’affermazione della sua estinzione storica si è accompagnata spesso la proclamazione della sua illegittimità o almeno della sua inopportunità di principio. L’idea stessa di “cristianità” sarebbe oggi improponibile e la Chiesa non dovrebbe mai mirare a dare origine, mediante strutture caratteristiche, a una propria e specifica socialità che la renderebbe un corpo estraneo nel mondo; essa deve solo provocare e sostenere un impegno personale, lucidamente cosciente e del tutto libero da condizionamenti esteriori».
Al contrario, «se per “cristianità” si intende la perfetta coestensione (che, ovviamente, non vuol dire coincidenza) della Chiesa con la società civile, allora è giusto dire che oggi non esiste più: a differenza di altre epoche, in cui praticamente tutti i cittadini si riconoscevano appartenenti anche all’organismo ecclesiale, oggi solo una parte si attribuisce tale appartenenza.
«Se invece il vocabolo designa la traduzione sociale ed esteriormente percepibile del mistero ecclesiale, allora la cristianità è un valore di sempre e va concettualmente difeso, anche se non in ogni epoca e in ogni luogo è un fenomeno “di maggioranza”.
Fra le lezioni del discorso di mons. Giacomo Biffi – dal 25 maggio 1985 cardinale di Santa Romana Chiesa – mi pare doveroso segnalare, a conclusione, appunto lo svolgimento di una serrata polemica, condotta in termini corretti e perspicui, in difesa delle nozioni di «cultura cristiana» e di «cristianità» in modo tale non solo da ridare fulgore a questi concetti, oggi non particolarmente utilizzati e amati, ma da redimere, cioè da rivalutare, la intrinseca bontà della lotta per essi, quindi di una battaglia ideale e reale per premesse culturali e per una condizione sociale strutturalmente favorevoli alla Chiesa di Dio e alla fede che la raduna.
Giovanni Cantoni