Gaetano Masciullo, Cristianità n. 395 (2019)
Naturalismo o finalismo? Un dibattito fra la «Trieb-theorie» di Sigmund Freud e la teoria sulle passioni di san Tommaso d’Aquino
In questo articolo mostrerò alcune delle ragioni per le quali l’approccio di san Tommaso d’Aquino (1225-1274) alla psicologia può ancora insegnare molto all’uomo del secolo XXI e, perciò, risulta più moderno di altri approcci, spesso denominati come «contemporanei», primo fra tutti quello di Sigismund Schlomo Freud (1856-1939), che sarà l’obiettivo della mia critica. Potrebbe sembrare strano che un padre domenicano vissuto nel secolo XIII possa insegnarci qualcosa sulla psicologia, specialmente se si pensa che la sua filosofia è stata fortemente influenzata dall’aristotelismo, normalmente ritenuto superato dalla modernità — da Galileo Galilei (1564-1642) in avanti — e, nel caso della psicologia, da Wilhelm Maximilian Wundt (1832-1920) (1) e da Freud in avanti. Al contrario, molti pensatori contemporanei ritengono che la psicologia aristotelica meriti ancora la nostra attenzione: fra questi, Franz Clemens Honoratus Hermann Brentano (1838-1917), il quale è stato anche maestro dello stesso Freud; Rudolf Allers (1883-1963), che è stato, invece, uno dei suoi allievi; Edith Stein (1891-1942) e Viktor Emil Frankl (1905-1997), ma anche pensatori come Magda Blondiau Arnold (1903-2002), che ha sviluppato una teoria delle emozioni molto interessante. Vi è grande disaccordo tra Freud e san Tommaso per quanto riguarda la concezione del nostro «sé inferiore». Per Freud, la Triebtheorie — letteralmente «teoria delle pulsioni» — ha un ruolo cruciale in tal senso. Illustrerò le sue peculiarità nella sezione I, titolata appunto La «teoria delle pulsioni» in Freud, quindi le caratteristiche di un profilo psicologico differente per opera di san Tommaso nella sezione II, titolata La «teoria delle passioni» in san Tommaso, e finalmente la modernità della posizione tomistica nella sezione III, titolata Naturalismo o finalismo?, cercando di fornire alcuni argomenti in favore della posizione tomistica finalista e contro le possibili obiezioni di stampo freudiano.
I. La «teoria delle pulsioni» in Freud
Per mostrare la posizione freudiana specificherò a) che cosa e quali sono le due pulsioni fondamentali — e che cosa non sono; b) le tre caratteristiche essenziali di una pulsione; c) gli argomenti di Freud a favore della propria posizione naturalistica.
Secondo Freud la vita di un uomo è mossa dalle pulsioni (2). Le pulsioni avrebbero un ruolo importante non solo nella vita degli animali, ma anche nella vita degli uomini. Vi sarebbero due pulsioni fondamentali: Eros — o Lebenstrieb, «pulsione di amore» — e Thanatos — o Todestrieb, «pulsione di morte». La prima può essere definita come «la pulsione che ci spinge a provare piacere», mentre la seconda come «la pulsione che ci spinge all’auto-distruzione». La parola tedesca Trieb è molto spesso tradotta con «istinto», anche se Freud distingue in maniera esplicita Trieb da Instinkt. Una pulsione non è un istinto. Un istinto è strettamente legato alla natura (3) di un essere vivente, mentre una pulsione non lo è. Che cosa significa? Gli istinti, come la fame e la sete, sono essenziali alla vita di un certo organismo e alcuni di essi variano a seconda del tipo di organismo — così un uccello sente l’istinto di costruire il nido, mentre una scimmia o un uomo no —, mentre una pulsione non è essenziale a essa, dal momento che non la determina in nessun modo decisivo e spinge semplicemente l’essere vivente a determinate interazioni.
Nonostante che gli esseri umani e le altre forme di vita condividano le stesse pulsioni fondamentali, l’umanità ha il privilegio di possedere una particolare forma evoluta di mente (4). Quindi la Lebenstrieb dell’uomo, in particolare, prende il nome e la forma speciale della libido, che differirebbe da quella degli altri animali in virtù della sua relazione — spesso conflittuale — con il Ueberich (Super-Io), ovvero l’insieme di leggi convenzionali del comportamento civilizzato. Nonostante i comportamenti sociali siano «sovrastrutture», in quanto nate dal medesimo atavico bisogno di soddisfare il piacere, essi ostacolerebbero in qualche modo il conseguimento del piacere da parte del singolo individuo. Spesso le leggi sociali sono così forti da essere difficilmente vincibili e, in maniera parossistica, sarebbero poi concepite dall’Ego come gli «unici buoni scopi da perseguire» — così che le leggi sociali promettono un piacere senza di fatto fornirlo —, in modo da far entrare in scena la pulsione di morte che spingerebbe il soggetto all’auto-distruzione, generando ad esempio il fenomeno delle nevrosi.
Se l’uomo non è consapevole di questa realtà, ciò è in virtù del fatto che «[…] la vita pulsionale della nostra sessualità non può essere pienamente controllata e i processi psicologici sono, in se stessi, inconsci e divengono accessibili all’ego e ad esso assoggettati solo tramite una percezione incompleta ed inattendibile» (5).
Possiamo trovare tre caratteristiche precise ed essenziali delle pulsioni nella descrizione freudiana.
[F1] Esse sarebbero «inconsce»: ciò significa che la loro dinamica non può essere chiaramente conosciuta da noi stessi — con parole freudiane, dal nostro Ego — e la nostra ragione non sarebbe più in grado di controllarle in alcun modo.
[F2] Ma la nostra ragione non può controllarle anche in virtù di una loro natura plastica. «Natura plastica» significa che esse non avrebbero uno scopo preciso, così che possono cercare di adattarsi in ogni situazione. «La meta di una pulsione è in ogni caso il soddisfacimento che può essere raggiunto soltanto sopprimendo lo stato di stimolazione alla fonte della pulsione» (6). L’oggetto «[…] è l’elemento più variabile della pulsione, non è originariamente collegato ad essa, ma le è assegnato soltanto in forza della sua proprietà di rendere possibile il soddisfacimento. […] Può venir mutato infinite volte durante le vicissitudini che la pulsione subisce nel corso della sua esistenza» (7). Questa proprietà è l’obiettivo principale del mio articolo. Una pulsione guiderebbe semplicemente la vita di un uomo alla propria soddisfazione: così la pulsione amorosa sarà soddisfatta nel raggiungimento di un piacere — perciò Freud parlava anche di Lustprinzip, «principio di piacere» — a prescindere dagli oggetti e dal modo di conseguirlo.
[F3] Infine, dobbiamo dire che le due pulsioni sarebbero in una irriducibile opposizione dualistica. La pulsione di morte non è in funzione della pulsione amorosa. Infatti, esse appaiono come non avere nulla in comune.
[F2] e [F3] sono per Freud in relazione consequenziale, in modo tale che, se [F2], allora [F3]. Possiamo spiegare l’inferenza in questo modo. Si ritenga assunto che ogni pulsione è o amorosa o di morte, come abbiamo già detto. Un primo enunciato afferma che «[…] il flusso degli eventi psichici è regolato automaticamente dal principio di piacere […] con un’elusione del dispiacere o una produzione di piacere» (8). Possiamo riformulare queste parole dello stesso Freud in maniera più chiara: «La pulsione amorosa guiderebbe la vita alla mera soddisfazione del piacere».
Un secondo enunciato afferma che vi è un bisogno nella vita organica di «ripristinare uno stato di cose precedente» (9). Possiamo riformulare anche questo enunciato in maniera più chiara: «La pulsione di morte guida la vita alla mera soddisfazione dell’auto-distruzione» (10).
Questi enunciati sono conclusioni universali derivate da due differenti analisi induttive di più casi psicologici. Ma sono anche le basi sulle quali Freud ha costruito gran parte della propria teoria psicoanalitica. Queste due premesse portano alla conclusione per cui, potremmo dire in virtù dell’assunto iniziale, «ogni pulsione guida la vita alla mera soddisfazione». Questa conclusione implica a sua volta che i modi con cui tale soddisfazione si raggiunge non contano, come detto in [F2]. Ciò costituisce un secondo assunto e, poiché solo l’esigenza della mera soddisfazione accomuna le due pulsioni, e dal momento che i modi di raggiungerla possono essere infiniti e fra essi anche contraddittori, le due pulsioni sono fra loro del tutto opposte e irriducibili (ossia [F3]). In tal modo, abbiamo riassunto i concetti principali della Triebtheorie di Freud.
II. La «teoria delle passioni» in san Tommaso
Vediamo brevemente ora la teoria delle passioni di san Tommaso d’Aquino nelle sue linee guida. Per fare ciò, a) specificherò che cosa significa «appetito» e a quale tipo di appetito noi siamo interessati, poiché le passioni sono strettamente connesse a questa nozione; b) le principali caratteristiche delle passioni; c) gli argomenti di san Tommaso in favore della sua posizione finalistica.
«Un appetito non è niente altro che l’inclinazione di un ente che desidera verso qualcosa» (11). San Tommaso, per quanto riguarda l’uomo, usa il termine appetitus in due sensi principali: l’appetitus rationalis — o intellectus appetitivus —, che è ciò che chiamiamo «volontà»; e appetitus sensitivus — o sensualitas —, che è una parte della nostra facoltà sensitiva. La facoltà sensitiva è infatti ulteriormente suddivisa nella facoltà cognitiva — i cinque sensi esterni più i quattro sensi interni (ossia il senso comune, la memoria, la fantasia, la virtù cogitativa) — e nella facoltà appetitiva — le passioni, che sono per questo anche chiamate «sensi appetitivi». La volontà è appetitiva perché è diretta verso un obiettivo, ossia un oggetto concepito come buono (12). La volontà è direttamente connessa all’appetitus sensitivus, nonostante si tratti di una facoltà da essa differente.
Come nella descrizione di Freud, anche qui possiamo trovare tre caratteristiche essenziali delle passioni:
[T1] Seguendo la tradizione che procede da Platone (428/427-348/347 a.C.) e da Aristotele (384/383-322 a.C.), san Tommaso argomenta che la principale caratteristica delle passioni è la passività della loro natura, come lo stesso nome suggerisce. Così san Tommaso non può concepire una passione senza un oggetto esterno ben definito e che pratica attrazione del soggetto verso di sé. Questa è la prima, essenziale caratteristica delle passioni, in chiara opposizione alla posizione freudiana. In altre parole, ciò significa che l’emotività umana comporta sempre una relazione. La parola stessa «passione», difatti, comporta la presenza di una «azione» corrispondente, quella esercitata da un bene sensibile.
[T2] L’appetito sensitivo ha una relazione ambivalente con la volontà: può essere controllato da essa ma può anche infliggere a essa violenti impulsi (13). La passione è infatti passione «dell’anima», o più precisamente della volontà. La volontà è libera, ma non del tutto: essa non comanda le passioni allo stesso modo con cui comanda la mano. Per questa ragione Aristotele — e san Tommaso concordava — distingueva il «dominio dispotico» dal «dominio regale» della volontà: ossia, quando la volontà comanda le parti del corpo, queste non possono in alcun modo sottrarsi al suo controllo (tranne, naturalmente, in casi di menomazioni gravi), mentre quando la volontà comanda le altre facoltà umane, che funzionano ciascuna con «logiche» differenti, deve fare i conti con esse, così come un re non può comandare dispoticamente su uomini liberi, senza aspettarsi da essi ritorsioni di qualche sorta. Allo stesso tempo, come il re non può dormire e lasciare che gli uomini liberi si danneggino gli uni gli altri, così la volontà deve fornire alle altre libere facoltà — intelletto speculativo, affettività, e così via — la «via giusta» da seguire per la loro perfezione naturale.
[T3] Le passioni possono essere orientate verso due differenti generi di oggetti definiti. Dacché l’appetito sensitivo possiede due oggetti differenti, ossia a) gli oggetti concepiti come buoni e b) gli oggetti concepiti come ostacoli al raggiungimento del bene, esso avrà due specie: rispettivamente, gli appetiti del concupiscibile (14) e quelli dell’irascibile (15). La principale passione del concupiscibile è amor, definita come la semplice inclinazione verso un bene; la principale passione dell’irascibile è ira (16). Potremmo chiamarla oggi «aggressività», perché ci spinge a combattere tutti gli ostacoli che si presentano fra noi e il conseguimento del bene sensibile. Ma, contrariamente alla descrizione freudiana, amore e ira non sono in opposizione dualistica. La principale passione è comunque l’amore. Tutte le altre passioni ruotano intorno all’amore. Potremmo anche dire, in termini più filosofici, che tutte le altre passioni sono in relazione di dipendenza ontologica dall’amore (17): io desidero x in virtù del mio amore per x; io godo di x perché amo x; ma anche io odio y in virtù del mio amore per x o, in altre parole, y è odiato da me perché ostacola il conseguimento del mio bene x. Io sono triste perché y è presente o anche solo perché x non è presente. Quando mi innamoro di una ragazza, infatti, se non posso vederla e parlarle, divengo in qualche misura triste e ciò non in virtù di un ostacolo concreto che ostacola il mio amore, ma per il semplice fatto che la mia amata non è qui con me. La sua assenza mi è di ostacolo.
Gli argomenti adoperati per difendere il finalismo delle passioni sono essenzialmente gli stessi adoperati per difendere il finalismo dell’appetito in generale. San Tommaso, come Freud, sembra utilizzare un ragionamento induttivo. Egli inizia il suo ragionamento dall’esperienza: «Per vedere ciò chiaramente, si noti che ogni forma di vita ha certe inclinazioni da seguire, allo stesso modo con cui il fuoco è incline per la sua forma a raggiungere il luogo più alto» (18). In questo modo, la bontà da conseguire cambia a seconda della natura o forma del soggetto. Vi è un oggetto preciso da conseguire per provare gioia. La considerazione di una causa finale, ossia l’oggetto buono, posiziona amore e ira in una chiara relazione. Secondo quanto detto finora, possiamo affermare che «l’amore guida la vita al conseguimento di oggetti buoni». Diciamo anche che «l’ira guida la vita a combattere ciò che ostacola il conseguimento di oggetti buoni». Da queste premesse deriviamo che «tutte le passioni sono dirette verso oggetti buoni». In tal modo, abbiamo una sintesi generale della posizione tomistica circa le passioni e possiamo forse già vedere talune somiglianze e talune dissomiglianze con la posizione freudiana.
III. Naturalismo o finalismo?
Per istituire davvero un paragone fra le teorie di Freud e quelle di san Tommaso e, se possibile, comprendere poi qual è quella più coerente, dobbiamo a) trovare gli eventuali punti di incontro fra le due teorie; e b) individuare quali sono le ragioni dei punti di divergenza e perché, secondo noi, la posizione tommasiana sia la più aderente alla realtà e logicamente consistente.
Sigmund Freud combatteva la psicologia del suo tempo perché incapace di andare oltre la superficie dei processi psichici. In realtà, l’idea di razionalità che egli combatteva è specificamente moderna. In particolare, combatteva contro la nozione cartesiana di ragione. La res cogitans è pura, conscia razionalità. Per René Descartes (1596-1650), «Cartesio», non vi è spazio per influenze corporali sulla ragione umana (19). Nonostante Freud intendesse superare questa posizione moderna, egli rimane fortemente influenzato dalla tradizione cartesiana. La nozione di pulsione è una riduzione dualistica della descrizione moderna delle emozioni. La parola «emozione» appare nella prima modernità: emovere («iniziare un movimento») ha un significato simile a quello di pulsione. Essa rimanda all’idea di «spingere». Vi è un punto iniziale, ma non vi è obiettivo definito. Nella tradizione razionalistica Baruch Spinoza (1632-1677) introduce la nozione di conatus, che è la tendenza naturale delle cose all’auto-conservazione, e la nozione di emotiones, che sostituirà gradualmente la nozione medioevale di passiones. Spinoza ha una così forte confidenza nella ragione che pretende di classificare le emozioni in maniera matematica, come fa nella sua forse più famosa opera, Ethica more geometrico demonstrata (20). È interessante notare che la quarta parte di questo lavoro è titolata De servitute humanae seu de affectuum viribus, Sulla schiavitù umana o sulle forze delle affezioni. Spinoza scrive nelle prime righe di questa parte: «Chiamo Schiavitù l’impotenza umana nel moderare e tenere a freno gli affetti» (21). Quindi, Spinoza pensa che le affezioni — o «emozioni», come la sua tradizione le chiamerà — debbano essere represse: «Infatti l’uomo che è soggetto alle affezioni non è padrone di sè, ma è dipendente dalla fortuna» (22). Anche nell’antichità vi erano pensatori che ritenevano le passioni o emozioni totalmente negative per la vita umana. Gli stoici, per esempio, credevano che la perfetta pace dell’animo sarebbe stata possibile se e solo se l’uomo fosse stato in grado di liberarsi delle passioni (ἀταραξία, atarassìa). San Tommaso, che conosceva questa filosofia, ha argomentato che le passioni non possono essere negative in sé stesse, ma sono buone se soggette alla volontà e, quindi, dirette verso un bene; sono cattive se non vengono dirette verso un bene (23). Dunque, san Tommaso e Freud sembrano condividere la stessa urgenza di superare un profilo psicologico dell’uomo che separa in maniera definitiva ragione e sensualità, nonostante i due forniscano differenti soluzioni.
[F1] e [T2] sembrano essere due punti di incontro. Sicuramente, l’inconscio non è stata una scoperta freudiana (24). Inoltre, Freud afferma che le pulsioni sono condivise da uomini e animali, e anche san Tommaso afferma che le passioni sono condivise da uomini e da animali (25). I due sembrano così concordare anche quando affermano che le pulsioni/passioni prendono diverse forme e diversi nomi, nonostante rimangano essenzialmente le stesse cose, negli esseri umani e ciò in virtù di certe relazioni con il sé più alto, ovverosia la razionalità. Ma, altrettanto sicuramente, Freud e san Tommaso forniscono descrizioni differenti riguardanti queste relazioni.
[F2] e [T1] costituiscono chiaramente il principale disaccordo fra le due posizioni, dal quale deriva il disaccordo fra [F3] e [T3]. Ma per capire se questo paragone fra Trieben e passioni ha senso, dovremmo formulare in maniera più chiara la domanda: siamo sicuri che il soggetto di studio chiamato «pulsione» da Freud sia riscontrabile nella filosofia di san Tommaso sotto altro nome? O forse le pulsioni sono totalmente sconosciute da san Tommaso e, quindi, si tratta di una scoperta originale freudiana? Io penso che ciò che è definito come pulsione da Freud è definito da san Tommaso come passione, ma la descrizione freudiana è meno accurata di quella tommasiana, in virtù di un metodo di ragionamento più ristretto. In altre parole, Freud fa iniziare il proprio ragionamento dall’effetto per arrivare alla causa e, come san Tommaso scrive (26), l’ira è il più evidente fra tutti gli effetti della facoltà dell’irascibile. Confondendo l’effetto per la causa, Freud ha fatto dell’ira una delle principali pulsioni, chiamandola Todestrieb. Inoltre, possiamo vedere una evoluzione nel pensiero di Freud: dapprima, egli aveva sviluppato una struttura monistica, per la quale solo la pulsione amorosa era considerata all’origine dei processi inconsci, ma successivamente scopre nei suoi pazienti certi fenomeni che sembravano contraddire la prima tesi. Più propriamente, Freud vede fenomeni nei quali il paziente ricerca e fa nuovamente esperienza di un determinato trauma. Doveva trattarsi, evidentemente, di qualcosa di differente rispetto alla pulsione amorosa. Dacché Freud aveva «già determinato» che una pulsione non possiede oggetti definiti, anche questa nuova pulsione doveva essere senza oggetto. Ma se questa pulsione aggressiva era senza oggetto, allora il suo fine non era che la mera auto-distruzione, ovvero la morte, e perciò Freud stabilì che la pulsione di morte spinge la vita a uno stato precedente di materia inanimata. La mia tesi è che l’errore di Freud consiste nell’aver considerato solo i propri pazienti, nel suo modo di procedere. Egli derivò una «conclusione universale» da «premesse relativamente universali», il che significa che sono universali ma solo relativamente al dominio delle sue osservazioni psicoanalitiche. Il dominio delle osservazioni di san Tommaso è più ampio, perché considerava sia i soggetti umani sani sia quelli malati, cioè considerava l’umano in specie. La considerazione di una causa finale è il principale disaccordo fra san Tommaso e Freud. È chiaro che questa differenza porta conseguenze decisive nella concezione dell’intero essere umano e, in pratica, porta a due differenti concezioni e approcci nei confronti del trattamento di patologie psicologiche.
Conclusione
Se comprendiamo che il modo di procedere di san Tommaso è più accurato di quello di Freud, forse possiamo consistentemente assumere che la descrizione tommasiana delle passioni può e deve essere considerata come punto di inizio di una nuova psicologia. Molte malattie psicologiche, come depressioni e senso di frustrazione, possono e devono essere lette con le categorie di san Tommaso d’Aquino (27). La considerazione di uno o più di un oggetto «buono» in proporzione alla natura dell’uomo, è la chiave di volta di nuove forme di psicoterapia.
Gaetano Masciullo
Note:
(1) Wilhelm Wundt è presentato come il progenitore della moderna psicologia sperimentale. Dalla fondazione del suo laboratorio di ricerca a Lipsia, nel 1876, la psicologia sperimentale è stata opposta alla «vecchia» psicologia, chiamata razionale, o filosofica, o psicologia metafisica, concepita come superata dalla nuova generazione di psicologi in virtù della sua presunta apriorità. La nuova generazione ha preteso di basarsi maggiormente su evidenze empiriche. In realtà, la differenza tra la psicologia razionale e la psicologia sperimentale risale a Christian Wolff (1679-1754). Se Wolff aveva provato a distinguere per riconciliare i due approcci, Wundt ne fece una vera opposizione. In realtà, gli psicologi medioevali come san Tommaso erano molto distanti dall’approccio moderno aprioristico, dando al contrario grande importanza al riscontro nella realtà.
(2) La posizione freudiana secondo la quale l’individuo sarebbe anzitutto un essere sociale e le creazioni umane — religioni, ideologie, politica, economia, e così via — prodotti delle due pulsioni fondamentali che possono essere «svelate» attraverso un’attenta psico-archeologia delle civiltà, è un punto molto interessante da approfondire e da analizzare, sia nei suoi argomenti sia nella sua consistenza.
(3) Certamente non possiamo parlare di natura in Freud allo stesso modo con cui se ne parla fra i pensatori antichi e medievali. Qui «natura» ha un significato meramente biologico, nell’accezione moderna, che considera così ciò che chiameremmo cause efficienti e senza considerare eventuali teleologie, mentre nel senso classico «natura di x» implica anzitutto «che x è orientato a un preciso scopo». In tal senso, noi opponiamo naturalismo a finalismo in questo articolo.
(4) Il pensiero freudiano è fortemente influenzato dall’evoluzionismo di Charles Darwin (1809-1882). Le due pulsioni sarebbero presenti in ogni forma di vita: la pulsione amorosa spingerebbe semplicemente gli esseri alla procreazione e la pulsione di morte si assicurerebbe che gli esseri viventi ritornino allo stato inanimato di materia da cui si sono originati.
(5) Sigmund Freud, Eine Schwierigkeit der Psychoanalyse, «Una difficoltà della psicoanalisi», in Imago. Zeitschrift für Anwendung der Psychoanalyse auf die Geisteswissenschaften, anno 5, n.1, Vienna 1917, pp. 1-7 (p. 7).
(6) Idem, Pulsioni e loro destini, in Metapsicologia (1915), in Idem, Opere, 12 voll., Boringhieri, Torino 1971-1988, vol. 8. 1915-1917. Introduzione alla psicanalisi e altri scritti, pp. 13-35 (p. 18).
(7) Ibidem.
(8) Idem, Al di là del principio del piacere (1920), ibid., vol. 9. 1917-1923. L’Io e l’Es e altri scritti, pp. 187-249 (p. 193).
(9) Ibid., p. 223.
(10) Perché dovremmo riformulare l’enunciato freudiano originale in questa nuova forma? Lo «stato primitivo di cose» cui si riferisce Freud è lo stato inanimato della materia. Gli esseri viventi lo raggiungono di nuovo morendo.
(11) «Appetitus nihil aliud est quam inclinatio appetentis in aliquid» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 8, a. 1).
(12) Cfr. ibid., I-II, q. 1, a. 2, ad 3.
(13) San Tommaso pensa che le passioni siano le interazioni mente-corpo più interessanti. Egli parla delle passioni anche nei termini di transmutatio corporalis: ogni passione coinvolge la mente — attraverso la volontà — e il corpo. Ciò è evidente da certe alterazioni corporali, come il divenire rosso in faccia o l’aumentare dei battiti cardiaci.
(14) Cfr. Idem, Summa Theologiae, I-II, q. 23, a. 1, co.
(15) Cfr. ibidem.
(16) In realtà, in Summa Theologiae, I-II, q. 25, a. 3, san Tommaso argomenta che la Speranza è la principale passione dell’irascibile, perché «la difficoltà non è la ragione per cui approcciare o desiderare qualcosa, ma piuttosto la sua bontà» (ad. 2) e «la tendenza di una natura […] tende verso il fine prima che verso la rimozione del suo contrario, qualcosa che è ricercato solo dopo per essere sicuro di conseguire il fine» (ad. 3). Ciononostante, poiché l’ira è causata dalle altre passioni allo stesso modo con cui un effetto è causato da cause che lo precedono, segue che la facoltà dell’irascibile deriva il proprio nome dall’ira non perché ogni movimento di questa passione sia un’istanza dell’ira, bensì perché tutti i movimenti di questa facoltà terminano nell’ira, e perché «l’ira è la più manifesta di tutti i movimenti di questa facoltà» (ad. 1).
(17) In questo articolo, parleremo soprattutto di amore e ira, le due principali passioni del concupiscibile e dell’irascibile. Ma è bene riassumere la «geometria delle passioni» di san Tommaso. Nell’insieme del concupiscibile: oltre all’amore, abbiamo il desiderio (o concupiscenza) in relazione a un bene non ancora conseguito; la gioia (o piacere) in relazione a un bene conseguito; l’odio in relazione a tutto ciò che può ostacolare il conseguimento del bene; la fuga (o abominio) in relazione a un ostacolo non ancora raggiunto; la tristezza in relazione a un ostacolo raggiunto. Nell’insieme dell’irascibile: oltre all’ira, abbiamo la speranza in relazione a un bene difficilmente conseguibile; la disperazione in relazione a un bene impossibile da conseguire; la paura in relazione a un ostacolo difficile da abbattere; l’audacia in relazione a un ostacolo difficile da vincibile. Tutte queste passioni sono fra loro in relazioni dinamiche. La principale dinamica è amore-desiderio-gioia. Tutte le altre passioni entrano in gioco per assicurare il compimento della dinamica principale (o si presentano come reazioni all’impossibilità di compierla). Ogni passione ha il proprio primato. L’amore è la prima passione, se la consideriamo come fondamento di tutte le altre. La tristezza ha anche il proprio primato, per esempio, se la consideriamo da una prospettiva differente, ossia il suo imprinting sull’anima. Secondo san Tommaso, infatti, la tristezza o dolore è la passione più forte.
(18) Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 80, a. 1, co.
(19) «[…] non si deve concepire in questa macchina [dell’uomo] nessun’altra anima vegetativa, né sensitiva, né alcun altro principio di movimento e di vita, oltre il suo sangue e i suoi spiriti» (cfr. René Descartes, L’uomo (1630-1633), trad. it., con un’introduzione di Gianfranco Cantelli, Torino, Boringhieri 1960, p. 153).
(20) Cfr. Benedictus Spinoza, Etica, trad. it., a cura di Sergio Landucci, Laterza, Roma-Bari 2017.
(21) Ibid., p. 231.
(22) Ibidem.
(23) Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 24, a. 2, co.
(24) Forse, possiamo ritenere Platone come il vero scopritore dell’inconscio, nel punto in cui egli parla dell’anima umana simile a una biga alata, nella quale l’auriga (anima razionale) e il cavallo bianco (irascibile) sono diretti verso il cielo, ma il cavallo nero (concupiscibile) è difficile da controllare e tende ad andare verso il basso (Phaedrus, 246a-b). È interessante notare che la metafora utilizzata da Freud per spiegare l’interazione fra l’ego e l’inconscio è molto simile a quella platonica: «Come il cavaliere, se non vuole essere disarcionato dal suo cavallo, è costretto spesso a ubbidirgli e a portarlo dove vuole, così anche l’Io ha l’abitudine di trasformare in azione la volontà dell’Es come se si trattasse della volontà propria» (S. Freud, L’Io e l’Es, 1923, in Opere, cit., vol. 9, 1917-1923. L’Io e l’Es e altri scritti, pp. 471-520 [p. 488]).
(25) Interessante notare che san Tommaso parla delle passioni in Summa Theologiae, questioni 22-48, ossia nelle questioni riguardanti «gli atti che sono comuni ad animali ed uomini».
(26) Cfr. nota 16.
(27) Ci sono molti tentativi oggi di leggere depressione e frustrazione, nevrosi e disordini della personalità con le categorie tommasiane, come abiti patologici della tristezza, problemi di volizione, gradi di egocentrismo (cfr. in particolare Antonio Stagnitta, La fondazione medievale della filosofia, ESD. Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1993; Mar Álvarez Segura, Martín F. Echavarría, Paul C. Vitz, Re-conceptualizing Neurosis as a Degree of Egocentricity. Ethical Issues in Psychological Theory, in Journal of Religion and Health, vol. 54, n. 5, New York ottobre 2015, pp. 1788-1799; Iidem, A psycho-ethical approach to personality disorders. The role of volitionality, in New Ideas in Psychology, vol. 47, Miami (Florida) dicembre 2017, pp. 49-56; e l’opera di M. F. Echavarría, Da Aristotele a Freud. Saggio di storia della psicologia, trad. it., D’Ettoris, Crotone 2016). Sulla base di queste considerazioni sono stati formulati molti tentativi terapeutici.