Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 203 (1992)
Le enormi difficoltà per mettere riparo ai guasti di ogni genere, prodotti da oltre settant’anni di regime socialcomunista, accresciute da quanti ne sono a diverso titolo “nostalgici”.
L’eredità di Mikhail S. Gorbaciov è pesante. Tutti i commentatori “sovietici” oppure russi — con il primo termine indico gli avversari di Boris N. Eltsin di ogni tendenza — sono attualmente d’accordo nell’ammettere che per sei anni, dal 1985 al 1991, Mikhail S. Gorbaciov ha promesso riforme, ma non ne ha mai iniziata una.
Il crollo economico è tanto completo che la Russia del 1992 assomiglia a quella dal 1919 al 1921, quando le industrie, i trasporti e l’agricoltura erano paralizzati. Anche se non vi sono bande armate che battono il paese, il 27 gennaio 1992 il ministero dell’Interno ammetteva che circa duemila organizzazioni criminali “sono riuscite a infiltrare le amministrazioni e gli ambienti economici” e che “dal 10% al 20% dei crimini e dei delitti riguardano il settore della produzione e della distribuzione alimentari”.
Perché i sovietologi ufficiali di tutto il mondo non fanno stato di questa informazione, insieme ad altre? Infatti, da quando Boris N. Eltsin è giunto al potere, chiunque voglia svolgere inchieste può disporre di informazioni incredibili e interessanti, e verificarle. E queste illuminano la situazione nella quale si dibatte Boris N. Eltsin, per parlare soltanto del piano economico, con attorno una decina di consiglieri stranieri — per la maggior parte americani —, dei quali è spesso difficile sapere se vogliono aiutare veramente la Russia e altre Repubbliche oppure dare un aiuto appena sufficiente per far man bassa, a poco a poco e a buon prezzo, delle materie prime di un paese che ha tutto per vivere bene come i paesi occidentali. Ma settantaquattro anni di errori di gestione, di trucchi e di corruzione, che hanno messo la Russia in ginocchio, non si possono cancellare con un tratto di penna.
Il partito comunista si ricostituisce nell’ombra
Grazie a una lunga indagine condotta con l’aiuto di molti russi, posso identificare la fonte di una parte del sabotaggio o dei colpi di freno al ristabilimento economico e “sociale”. Il 7 novembre 1991, Boris N. Eltsin ha vietato ogni attività del partito comunista nelle amministrazioni, nella polizia, nell’esercito, e così via. Ma, a poco a poco, durante l’ultimo anno di potere di Mikhail S. Gorbaciov, cioè dal 1990 al 1991, i comunisti si sono raccolti in cellule regionali, poi in partiti più o meno confessatamente tali e in apparenza rivali. Gli uni perché erano ostili a Mikhail S. Gorbaciov, o almeno ai suoi eccellenti rapporti con i liberal americani, gli altri perché si rendevano conto che, comunque, l’impero stava per esplodere, dopo il fallimento totale del colpo di Stato dell’agosto del 1991.
Finalmente, altri ancora hanno inteso fare nell’ex Unione Sovietica quanto l’Unione Sovietica ha tentato nei paesi satelliti e nel mondo, cioè creare segretamente partiti comunisti clandestini, all’insaputa di quelli ufficiali e soprattutto dei loro veterani, per sostituirli, al momento opportuno, ai comunisti screditati, uomini o partiti. Attualmente sono in grado di elencare sette partiti comunisti di diverso nome:
— Movimento delle Riforme Democratiche, organismo d’élite guidato da Eduard A. Shevardnadze, Arkadi Volski, Aleksandr Iakovlev e altri, con i quali si è messo Mikhail S. Gorbaciov con l’istituto che porta il suo nome;
— Unione dei Comunisti, creata nel novembre del 1991 da A. Prigarin, ex quadro del Comitato Centrale del PCUS, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, e di cui fa parte, in secondo piano, Egor Ligaciov, ex numero due del Politburo;
— Partito Socialista dei Lavoratori, con Roy Medvedev, cinque o sei deputati e una decina di ex primi segretari regionali del PCUS;
— Nuovo Partito Comunista di Russia, diretto da ex quadri del Comitato Centrale come A. Kruchkov, A. Maltsev, ex segretario del PCUS quando era al potere Mikhail S. Gorbaciov, S. Skortsov, ex redattore capo di un settimanale ideologico del PCUS;
— Partito Popolare della Russia Libera, precedentemente Partito Democratico dei Comunisti di Russia, guidato a distanza da Aleksandr Ruskoi, uno dei collaboratori di Boris N. Eltsin, che conta già centomila membri e sessanta organizzazioni regionali, e i cui ottocento delegati al congresso che ha tenuto nell’agosto del 1991 provenivano tutti dall’apparato del PCUS;
— Partito Operaio Comunista di Russia, nato nel novembre del 1991, e nelle cui file militano il generale A. Machov, fino al 1991 capo di uno dei quattordici distretti militari dell’URSS, e numerosi quadri della Siberia e dell’Estremo Oriente.
Travestiti da “democratici” o da “socialisti”, tutti questi partiti sono di fatto comunisti: gli uni nazionalcomunisti, gli altri animati da spirito internazionalcomunista.
Altri ancora si servono di magnifiche coperture, infiltrando associazioni diverse, comitati locali, come, per esempio, l’Associazione dei Cosacchi — creata nella regione di Rostov e nella Russia Meridionale nella primavera del 1990 e nella quale l’85% dei dirigenti, eletti nel congresso tenuto nel novembre dello stesso anno, sono comunisti — oppure anche i sindacati.
Trascuro al momento il problema dei loro rapporti con i partiti comunisti del mondo occidentale, e quello costituito dal denaro trasferito segretamente e illegalmente all’estero a partire dal 1987, quando Mikhail S. Gorbaciov — che ha firmato di proprio pugno diversi ordini di trasferimento — sorrideva ai suoi amici occidentali, ma gettava in questo modo le basi finanziarie per alimentare poi le reti di una nuova Internazionale Comunista (1).
E Mikhail S. Gorbaciov è così gentilmente scomparso dietro Boris N. Eltsin, nel dicembre del 1991, proprio perché questi ha messo le mani, nell’agosto, su documenti firmati da lui. Boris N. Eltsin ha potuto identificare qualche conto segreto aperto all’estero: per esempio in Spagna e anche in Svizzera. E il 27 gennaio 1992, Valentin Stepankov incontrava l’alto responsabile della Procura della Confederazione Elvetica per chiedere il “ricupero” delle somme trasferite in questo paese. Ho già avuto occasione di dire che, negli ultimi due anni, circa dieci miliardi di dollari sono stati segretamente “investiti” in Francia, senza che questo abbia smosso neppure per un momento la “destra” francese, dal momento che i suoi rappresentanti in parlamento al riguardo tacciono…
Il fatto grave, in Russia, è che gli ex membri dell’apparato trasformati in uomini d’affari — con che fondi hanno aperto società, approfittando della privatizzazione decisa da Boris N. Eltsin? — hanno fatto accordi con le organizzazioni criminali di cui parla il ministero dell’Interno e conservano insieme una doppia economia. Intanto Boris N. Eltsin fa fronte con difficoltà a questo problema, perché, se colpisce, negli Stati occidentali si griderà alla dittatura…
Il peso dell’esercito
Boris N. Eltsin ha davanti a sé anche il complesso militare-industriale, che nell’ex Unione Sovietica impiegava otto milioni di lavoratori, disposto a essere smobilitato, ma a condizione che venga garantita ai suoi quadri la conservazione del posto di lavoro; e, evidentemente, anche l’apparato militare vero e proprio. Questo apparato si divide in tre clan:
— il primo, guidato dall’attuale ministro della Difesa, Evgheni Shaposhnikov, è disponibile a riforme e a riduzioni di effettivi e pure di armamenti “sofisticati”, ma vuole che le forze armate rimangano una sorta di istituzione politica, assolutamente non comunista, ma integrata nel potere di oggi e di domani;
— il secondo, rappresentato dal generale V. Lobov, vuole riforme, ma un civile come ministro della Difesa, e che l’esercito in quanto tale non entri nel gioco politico, più o meno come nei paesi occidentali; alla fine di dicembre del 1991, il generale V. Lobov è stato improvvisamente dimesso dal suo incarico di capo di Stato Maggiore Generale perché Evgheni Shaposhnikov e il terzo clan si sono alleati contro di lui;
— a sua volta, il terzo clan si raccoglie attorno al generale Kobets, che è passato dalla parte di Boris N. Eltsin al momento del colpo di Stato dell’agosto del 1991 dopo essere stato gorbacioviano.
Dal canto suo, Boris N. Eltsin ha preso di petto la situazione e, con un decreto dell’11 gennaio 1992, ha sciolto il gruppo detto “degli Ispettori generali”, cioè ha messo in pensione cinquantatré fra marescialli e generali, e i sessantadue ufficiali che lavoravano per loro. Ma, per non far esplodere pubblicamente una crisi fra il potere politico e l’esercito, non ha potuto fare la stessa cosa nel caso di quattro marescialli molto noti in quanto ex capi di Stato Maggiore e viceministri della Difesa, fra i quali il maresciallo Nikolai Ogarkov, che rimangono “consiglieri” per gli affari militari.
Dunque — ancora — non si passa da un giorno all’altro da un regime comunista a un regime non comunista. I nazionalcomunisti “civili” possono contare su alleati fra i veterani dell’esercito, e aspettano solo l’occasione per accusare Boris N. Eltsin di svendere l’impero, poi la stessa Russia.
Situazione analoga si presenta all’interno dell’ex KGB disciolto: esploso in servizi di spionaggio all’estero e in unità poste al comando del ministero dell’Interno, sopravvive nel senso che il 70% dei suoi membri hanno mantenuto fino a questo momento funzioni equivalenti a quelle esercitate in precedenza.
Pierre Faillant de Villemarest