In occasione della Manifestazione per la Vita, svoltasi a Roma il 20 maggio 2023. Alleanza Cattolica ha predisposto un volantino che intende dichiarare una ferma opposizione alla barbara pratica della Gestazione Per Altri, denominata anche maternità surrogata, o utero in affitto, o gravidanza solidale. Quale che sia il linguaggio usato, la surrogazione di maternità costituisce un vulnus gravissimo alla dignità degli ‘atti generativi’ e delle persone umane in essi coinvolte. Un volantino serve per informare, le frasi concise sono necessarie per una efficace comunicazione. Lo stile di Alleanza Cattolica è comunque quello del rendere ragione delle proprie buone ragioni: ecco perché questa serie di riflessioni, che dipanano le concise affermazioni contenute nel nostro volantino.
Per chi volesse conoscere il perché, oltre al che cosa.
Indice degli argomenti
1. È uso delle persone, donne e bambini2. È supermercato dei desideri3. È delirio tecnocratico4. È disgregazione della maternità5. È l’opposto dell’adozione6. È negazione del reale
- È uso delle persone, donne e bambini
Nessuna donna può essere considerata un contenitore, una madre surrogata, convinta a prestarsi. Nessun bambino può essere preteso come diritto, ad ogni costo, nemmeno per amore. Può essere altruistico qualcosa che sfrutta povertà, disinformazione e spesso anche violenza?
Sembra incredibile che si possa essere giunti a pensare di far svolgere ad altri una gravidanza a proprio nome. Generare un figlio, oltre all’atto che lo origina, è gestire un rapporto interpersonale che non ha paragoni con nessun’altra relazione umana. Biologicamente c’è uno scambio cellulare e addirittura una comunicazione chimica, già precocissima, molto intensa tra madre e figlio: bisogna, per dire il meno, che il corpo della madre rinunci a ‘difendersi’ da un altro essere umano che le sta dentro. Le difese immunitarie, ordinariamente preposte ad intercettare un corpo estraneo, sia esso virale, batterico o quant’altro, vengono tacitate da un messaggio chimico preciso, inequivocabile e perentorio: attenzione, non sono un aggressore, non espellermi, sono tuo figlio. Sono altresì documentati gli scambi di cellule staminali dal figlio alla madre in grado di andare a riparare danni tissutali materni: la placenta – che è tessuto fetale e non materno – non è affatto la barriera impenetrabile che si credeva un tempo, ma un luogo di passaggio quando non di dialogo tra colui che è con-tenuto e colei che lo tiene-con-sè. L’utero non è un semplice contenitore, bensì il primo luogo dove ‘abitare’ il mondo, traendo da esso le prime informazioni sulla realtà. Tutto ciò che accade tra quelle prime ‘mura’, dai suoni delle parole (e delle lingue) ai sapori dei cibi, concorrerà a formare un bagaglio esperienziale indelebile e plasmerà la stessa biologia del concepito. In estrema sintesi, è tutto ciò che viene designato con il termine di epigenetica. Perché mai affidare tutto ciò, consapevolmente e volutamente, a chi deve restare per definizione temporanea, estranea, provvisoria? Quale donna merita di essere privata della propria capacità esistenziale, ontologica, intrinseca di maternità, così da essere definita dalla capacità fisiologica di surrogare, fingere, sostituire la maternità per altre? Quelle cellule, rimaste dentro di lei durante la gravidanza, non se ne andranno e resteranno legami indissolubili con chi non si vedrà mai più.
Si vorrebbe sostenere che possa essere l’amore il movente di una tale pratica. Il desiderio di un figlio è certamente una volontà di bene verso un generico figlio e la mancata realizzazione può causare sofferenza. Si potrebbe affermare correttamente che, più che di un figlio, si sente la mancanza della propria maternità. Ora, si afferma, anche della propria genitorialità. Si ponga attenzione ai due termini che si vorrebbero equivalenti, ma non lo sono: né linguisticamente né sostanzialmente. Il genitore è parola che fa riferimento alle due componenti – maschile e femminile – di ciò che è necessario per generare. La maternità – come è facilmente evincibile dalla radice semantica – fa riferimento alla madre, la quale non può che essere femmina. Questo spesso ricercato fraintendimento è funzionale esattamente a dissolvere in un unicum, indistinto e fluido, l’ambito della generazione.
Nel caso della GPA avviene un ulteriore passaggio indebito. Evidentemente sono molte le circostanze in cui la realtà ci mette di fronte all’impossibilità di realizzare un desiderio, anche più che legittimo. Ma ciò che per molte altre situazioni resta un rimpianto, più o meno compensato, qui si vorrebbe trasformato in un diritto. La nostra epoca è caratterizzata da questo drammatico scivolamento dal desiderio al diritto: voglio per me un bene (un figlio lo è), al punto tale che pian piano mi appare insopportabile non ottenerlo. Come se l’amore giustificasse il possesso, anzi, ancora di più, la pretesa del possesso. Eppure, è chiarissimo a tutti – almeno ancora per un po’, forse – che posso certamente innamorarmi follemente di una persona, ma questa non è obbligata perciò a corrispondermi: la gelosia possessiva, spesso movente per azioni delittuose, è al momento riconosciuta come ingiustificabile. Ma se è rivolta ad un ‘figlio’, questo principio paradossalmente decade. Il nocciolo profondo di questa ambiguità sta nella concezione di ‘cosa’ anziché di persona del concepito, frutto, a sua volta, di un’assuefazione concettuale indotta dall’aborto legale prima e dalla fecondazione artificiale (e specialmente nella sua versione eterologa) in seguito. Se del ‘prodotto del concepimento’ posso legalmente disporre, decidendo di sopprimerlo; se dello stesso ‘prodotto’ posso legalmente decidere la produzione su richiesta, che cosa mi trattiene dall’esercitare questo potere a piacimento financo nelle circostanze in cui non ho modo di provvedere personalmente? Ma questo presuppone che il desiderio sia rivolto al soddisfacimento di una funzione, quella di ricoprire un ruolo genitoriale, nel quale ho bisogno di riconoscermi tramite l’esistenza di qualcuno da chiamare ‘figlio’. Qualcuno che sia un figlio ‘surrogato’, una ‘cosa’ sostitutiva di ciò che non ho. Lo voglio perché la sua presenza svolge la funzione di rendermi ‘genitore’.
C’è un esempio, illuminante, che si può applicare per comprendere la profonda unicità che caratterizza la dignità di ogni persona in sé stessa e per sé stessa. Immaginiamo una gita scolastica[1], magari la prima di una scolaresca: tutto è pronto, i cestini delle merende preparati, gli alunni impazienti, i genitori trepidanti. Arrivati al punto di incontro, l’autobus della scuola non c’è. Gli insegnanti, preoccupati, chiamano la ditta di trasporti: l’autista ha avuto un malore nella notte, ma – rassicurano – sta per arrivare un sostituto. Sospiro di sollievo: la gita si farà ugualmente. Altra situazione: un innamorato ha dato appuntamento alla ragazza di cui si è follemente innamorato. Ben vestito, molto emozionato, con un bel mazzo di fiori si reca al luogo stabilito: la ragazza non c’è. Poco dopo riceve una telefonata: scusami, sono improvvisamente indisposta. Quale sarà la reazione dell’innamorato? Ah, non c’è problema, l’appuntamento si farà ugualmente, chiamo un’altra! Ovviamente no. La differenza tra le due situazioni è precisamente che la prima persona – l’autista – è cercata per il suo ruolo, e dunque quel ruolo può essere rimpiazzato, mentre la seconda – la ragazza – è attesa perché è lei, per il suo esserci.
Quale ruolo, dunque, vogliamo attribuire ad un figlio? Quello di un mezzo per appagare un desiderio? E quale illogico percorso intellettuale può immaginare di convincere una donna a surrogare un rapporto così intimo come la gestazione, il formarsi di ossa e sangue di un altro dal quale sarà separata nel momento stesso in cui verrà alla luce? Chiunque abbia partorito non può che rabbrividire alla definizione della propria maternità come atto sostitutivo. Di più: surrogato, ovvero simile ma di qualità inferiore, come il surrogato di cioccolato degli anni ’50, che ‘sapeva’ di cioccolato ma non lo era. Forse la necessità, forse il bisogno, forse addirittura la disperazione potranno essere persuasivi: ma l’altruismo sbiadisce velocemente e definitivamente davanti agli articoli e alle postille di un contratto di maternità surrogata, dove tutto concorre a rendere evidente il possesso temporaneo della gestante e perpetuo del concepito, fino a rendere obbligatoria – pena il recesso del contratto – la scelta di un aborto o di una selezione embrionale su richiesta del/dei committenti[2].
Drammaticamente, a triste conferma della reificazione dei corpi delle donne indotta dalla GPA, qualcuno inizia a proporre pratiche ancora più aberranti: indurre gravidanze surrogate in donne in stato di minima coscienza, ma strumentalmente definite in ‘coma irreversibile’ o in ‘stato vegetativo persistente’, termini scientificamente errati e infondati alla luce di ormai consolidate diagnostiche, ma suggestivo di un disprezzo totale per la realtà[3]. “Anna Smajdor, docente di Bioetica Medica Università di Oslo, riprende e approfondisce un suggerimento avanzato nel 2000 dalla ricercatrice israeliana Rosalie Ber “per aggirare i problemi morali della maternità surrogata gestazionale” utilizzando come uteri in affitto donne in stato vegetativo persistente (PVS). Alla pratica dà il nome di “donazione gestazionale di tutto il corpo” (WBGD, whole-body gestational donation)>>[4].
È certamente un delirio che oggi ci appare tale forse solo per la residuale presenza di alcuni capisaldi razionali sulla dignità umana, ma che è più vicino all’immaginazione distopica di una narrativa fantascientifica che a scenari realistici. Eppure, una volta accettato l’uso dei corpi delle persone, non c’è limite alla fantasia che pretende di realizzarsi.
2. È supermercato dei desideri
Esistono le fiere dei bebè, e il web è pieno di siti che offrono bambini su misura. È davvero progresso tornare al mercato dell’umano?
Se chiedessimo ad un campione a caso di italiani quando fu abolita la schiavitù in Italia, forse la maggior parte strabuzzerebbe gli occhi e risponderebbe che non abbiamo mai avuto bisogno di abolire una cosa che non è mai esistita[5]. Il commercio di esseri umani così come lo immaginiamo per racconti esotici, doverosamente di oltre oceano, di gente frustata nelle piantagioni di cotone, risale alle letture giovanili di ultrasessantenni del romanzo “La capanna dello zio Tom”[6]. Oggi nessuno approverebbe la presenza di mercatini con esposte persone di cui si decantano i pregi al fine di venderle. Anche se le vetrine con belle signorine nelle città dei Paesi Bassi hanno riempito la fantasia di molti pre-universitari e non solo. Ma oltre alle Repubbliche Marinare, anche in Italia fu fiorente un vero mercato degli schiavi, con buona pace dei ripetuti appelli del solo magistero dei Papi ad abolire una tale ignominia. Le vicende di santa Giuseppina Bakita [1869 – 1947][7] testimoniano abbondantemente la pratica e la sua condanna.
In effetti, nel mondo il 2 dicembre si celebra la Giornata Internazionale per l’abolizione della schiavitù[8], perché questa è la data in cui, nel 1949, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la Convenzione per la repressione del traffico di persone e dello sfruttamento della prostituzione. Entrò in vigore il 21 marzo 1950 e l’Italia la recepì ben sedici anni più tardi, con la legge 1173/66.
Ma la sorpresa e l’indignazione di eventuali interlocutori, e soprattutto di molti ‘progressisti’, è totale se si prova a far riflettere che il web – moderna vetrina che consente acquisti senza scomodarsi dalla propria poltrona – è pieno di siti che pubblicizzano figli su misura. Persone che non ci sono, ma che possono essere prodotti fin dall’inizio con caratteristiche specifiche, su misura del committente; con garanzia contro la ‘merce’ fallata e persino eventuale rimborso se qualcosa dovesse non andare a buon fine. Non è fantascienza neppure questa, purtroppo: è la fiera del bebé[9].
Certamente non tutto riguarda la surrogazione di maternità, ma altrettanto certamente la possibilità di effettuare una fecondazione eterologa, ovvero senza uno o più elementi che, mancando, hanno bisogno di essere reperiti al di fuori della coppia, apre logicamente la strada a ‘surrogare’ qualsiasi mancanza: anche la mancanza dell’utero.
Un rapido scorrere di pagine web non può che notare la patinata eleganza delle immagini e la rassicurante scelta linguistica degli slogan, che trattano la materia con tutta la perizia del marketing[10] più efficiente. No, non si percepisce il dolore di ripetuti cicli di stimolazione ormonale, gli effetti collaterali, il parto forse anche alla presenza dei committenti che vogliono in qualche modo ‘far parte’ dell’evento, là dove questa sia compresa con un piccolo aumento di prezzo nel contratto stipulato alcuni mesi prima, forse dalla madre surrogata forse solo dall’agenzia di intermediazione. In fondo, l’importante è la soddisfazione dei clienti che poi, con opportuni like, potranno incorniciare la buona fama delle ditte.
Ora, razionalmente parlando – e ammetto la difficoltà di non lasciarsi trascinare non tanto dall’entusiasmo quanto dall’indignazione – in che cosa differisce tutto questo da un mercato di carne umana?
Come spesso accade, si può invocare una buona azione per addolcire la crudezza di un cattivo pensiero: un presupposto ‘buon fine’. Fin dall’inizio di questa pratica si è sentito parlare di ‘altruismo’, ‘donazione’, ‘solidarietà’, tutti termini evocativi di una intenzione di generosità che giustificherebbe qualsiasi atto[11]. Senza scomodare Niccolò Macchiavelli (1469 – 1527) né le cattive interpretazioni dei suoi pensieri, basta guardare le fotografie – la rete ne è fitta – di luoghi dove vengono ospitate le madri surrogate nel mondo, dall’Ucraina alla Russia, dal Canada all’India[12], per comprendere come i termini di cui sopra siano solo foglie di fico con cui provare a coprire un’indecenza. Anche notizie relative a famosi personaggi, persino Altezze reali[13] o attori affermati, che certamente inducono a pensare a lauti rimborsi – solidali, certamente – per le gestanti e a vite brillanti ed economicamente garantite per i nati, non possono cambiare il giudizio razionale. È vero che esistono differenti parametri[14], che non sempre la condizioni di vita delle madri sono degradanti e degradate, ma tutto è accessorio rispetto alla sostanza di servirsi di una persona-donna per ottenere una persona-figlio.
L’idea che la pratica dell’utero in affitto, o GPA, sia un mercimonio non appartiene solo alla prospettiva ‘cattolica’: sono molte le organizzazioni femministe che condividono la dignità della maternità come esperienza personale e insostituibile. In tutto il mondo e da parecchi anni[15], lo scandalo di questa scappatoia per realizzare i desideri è bollata proprio come una ferita alla dignità della donna e dei bambini e la si giudica come un inammissibile ritorno alla schiavitù.
3. È delirio tecnocratico
Non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è perciò anche onesto. Fabbricare e selezionare gli umani non è giusto solo perché è realizzabile. È delirante usare la tecnica come potere al servizio di una libertà assoluta.
Il falso sillogismo “sono in grado di farlo, dunque è lecito che lo faccia” ha vinto. Lo strumento che ha, apparentemente, spento la rilevanza della domanda di senso è il passaggio dall’uso ragionato e ragionevole della tecnologia al dominio imposto tramite la stessa: la tecnocrazia[16]. In particolare, nel tema di specie, la dimestichezza con la fecondazione artificiale animale, bovina ed equina soprattutto, ha permesso che l’utilitarismo guadagnasse terreno sull’etica. Il pensiero che un risultato – frutto di ricerca scientifica, raffinati strumenti, accurati studi, esemplari e innovativi esperimenti – sia di per sé stesso un balzo in avanti nel progresso dell’umanità è figlio non di maggiore intelligenza ma di diminuita tensione etica. Chiedersi a che cosa serva ciò che si ha in animo di compiere è il primo e indispensabile dilemma da risolvere, non l’ultimo da lasciare a cose fatte ad intransigenti guastafeste. È richiesto che almeno si possa ipotizzare una serie di buone conseguenze, pur nella consapevolezza di possibili criticità: nessun saggio potrebbe pensare che esistano azioni umane certamente e in tutto e per tutto perfette. Al contrario, un sano realismo insieme ad una comprovata esperienza dell’umano – se non ancora della certezza teologica che la natura umana è creata e ferita, sebbene escatologicamente salvata – fa dubitare di ogni bontà e allerta sulla frequenza dell’effetto dannoso non voluto, l’unico sul quale è concessa una mite tolleranza, se è davvero mai cercato né voluto. Nel delirio di onnipotenza del ‘faccio tutto ciò che riesco’, la tecnocrazia prende il sopravvento e smarrisce il senso dell’agire.
4. È disgregazione della maternità
Maternità è generare, come educare. E se il legame carnale – originario e indissolubile – viene meno per problemi insormontabili, può essere compensato solo da un amore disinteressato. Perché originare orfani al solo scopo di farsene surrogati genitori?
Sono molte le situazioni nelle quali, purtroppo, un bambino si trova suo malgrado privato di un bene indispensabile, e perciò di un suo diritto: quello di conoscere personalmente chi lo ha generato e di ricevere le cure, l’affetto e l’educazione che sono necessarie alla sua crescita. Le malattie, le guerre, le disgrazie possono togliere dalla vista e dalla vita del piccolo d’uomo i genitori. Come porre rimedio ad una ferita così profonda? In modo parziale, trovando qualcuno che faccia ‘come se’ fosse nato da loro.
Non può esserci interesse, nemmeno amoroso, che giustifichi una sostituzione di questo tipo al di fuori di uno stato di necessità. L’idea è quella di un vecchio adagio delle mie parti: “Chi dice ‘più di mamma’, figlio mio, ti inganna!”: non c’è interesse migliore (best interest, in linguaggio anglosassone e molto spesso usato a sproposito sia in bioetica che nelle aule di tribunale) per un figlio di essere cresciuto da chi l’ha generato.
Ma certamente si può trovare il modo di fare del proprio meglio per un preciso bambino, nella particolare situazione specifica in cui si venisse disgraziatamente a trovare, considerando i legami familiari di parenti, le affinità culturali e ambientali, per scegliere altre persone diverse dai suoi genitori che lo educhino. E qui si apre un mondo: come vivere, che cosa mangiare, come parlare, come valutare ciò che è bene per lui, tutto concorre alla sua crescita psicofisica. Dovrebbe essere cura di chi se ne farà carico e lo accoglierà nella propria famiglia tenere in debito conto tutto questo, al fine di colmare un vuoto. Gli si ricorderanno le sue radici, a tempo debito dovrà sapere che non è stato disprezzato ma al contrario amato.
Facciamo un piccolo esercizio di realismo? Contiamo di quanti ‘personaggi’ che hanno contribuito alla sua nascita bisognerebbe parlare in una GPA.
C’è una signora che ha ‘donato’ un ovulo, un signore che ha ‘donato’ molti spermatozoi, un tecnico che ha scelto e l’uno e l’altro e li ha fisicamente uniti (oscuro e anonimo, ma tanto determinante – e a lungo andare anche logorato, perché giocare a fare il Caso dopo un po’ pesa – che si inizia a pensare di delegare il compito ad un braccio meccanico comandato da una intelligenza artificiale[17]), una signora che ha ‘prestato’ l’utero, due soggetti (di generi non specificati) che adesso si chiamano…genitore A e genitore B: in tutto 6 persone. O cinque più un AI.
Non si tratta di difendere una famiglia apoditticamente superiore, né si sottovaluta il gesto di grande altruismo dell’istituto dell’adozione: si sottolinea che la sostituzione della fisiologica educazione può avvenire solo in caso di danno, disgrazia, ferita, bisogno; essa sostituzione è un rimedio, una riparazione, una compensazione, un gesto terapeutico.
Né si può stabilire un nesso di uguale dignità tra il gesto umano del concepimento e quello meccanico della fecondazione. Non può essere una ‘nuova’ modalità paritaria, solo perché si suppone che il soggetto sia così piccolo, inerme ed inconsapevole che tutta l’attenzione che gli sarà riservata compenserà ogni altra mancanza. E qui emerge un grande problema, che la GPA accentua e aggrava ma che non è una sua esclusiva. Tutta la PMA (procreazione medicalmente assistita) eterologa aggiunge – all’ingiusto trattamento degli embrioni già intrinseco alla fecondazione artificiale – anche l’insulto della perdita di identità biologica. La quale, sia detto senza riduzionismi, per soggetti corporei ha una sua rilevanza determinante. Il ‘di chi sono figlio’, biologicamente parlando, ogni giorno assume sempre più importanza, nell’attuale epoca delle conoscenze scientifiche strabilianti della genetica e dell’epigenetica.
Allora la domanda si potrebbe formulare così: quale argomentazione potrebbe supportare l’ordinazione di un umano orfano al fine di prestargli la propria attenzione e cura?
5. È l’opposto dell’adozione
L’adozione è offrirsi con amore incondizionato a chi già c’è e ha bisogno di te. Gestazione per altri è esigere che ti sia fornito un essere umano per colmare un tuo bisogno. Per adottare serve essere riconosciuti idonei, per fabbricare un bambino basta pagare un costo pattuito.
È logicamente e antropologicamente corretto paragonare, anzi sovrapporre, l’adozione alla GPA? In fondo, anche le famiglie affidatarie e adottive non hanno legami biologici con i figli che educano. Essere genitori comporta non solo la meccanica della riproduzione, bensì tutto ciò che serve alla crescita, sviluppo, sussistenza, educazione della nuova creatura venuta alla luce. Certamente la vita si dipana dalla nascita in poi grazie ad un ruolo – possiamo chiamarlo ‘sociale’, ovvero volto ad assicurare la presenza nella società degli umani – che può essere supplito anche da chi non abbia fisicamente partorito.
Ma l’assenza del legame genitori-generato non può che essere valutato come una disgrazia, addirittura una sorta di ‘torto’ subito dal generato, cui la generosità di adulti competenti può nel modo migliore supplire. Questa supplenza merita la stima per le famiglie che si occupano, in modo temporaneo o permanente, di diventare la nuova famiglia di chi ne è stato privato. È tanto vero che la società reputa questo gesto così importante, che non si limita ad annuire segretamente ma investe nella scelta delle famiglie affidatarie e adottive una particolare acribia valutativa, per assicurarsi che ci siano condizioni di assoluto e totale idoneità e altruismo: è la famiglia per il bambino, non il bambino per la famiglia. Esattamente l’opposto della pretesa della maternità surrogata.
Il difficile, e spesso non indolore, percorso di chi pure è animato dalle migliori intenzioni si svolge con l’unico obbiettivo di reperire la famiglia più adatta: la selezione è familiare, non embrionaria.
Il solo sospetto che alcune caratteristiche particolari (area geografica di origine, stati morbosi, ascendenze problematiche) possano giocare un ruolo discriminatorio – non si dice un rifiuto, ma anche solo un tentennamento nei futuri ‘genitori’ – è spesso motivo sufficiente per respingere una richiesta. Paragonabile, dunque, alle richieste stringenti su caratteristiche fisiche e intellettive (banca del seme dei Nobel e delle persone con QI molto elevato: esiste. Costa un po’ di più…) pubblicizzate e offerte nelle PMA eterologhe? Che cosa dire degli ‘scarti’ degli embrioni ‘malati’? questa accuratezza della ‘qualità’ non è forse l’esatto contrario della dedizione senza se e senza ma richiesta alle famiglie adottanti?
6. È negazione del reale
Recidere, ridefinire, confondere i legami costitutivi della famiglia umana per sostituirli con surrogati artificiali, volubili e fluidi distrugge le società e cancella il bene comune. C’è una grammatica della vita che è data e non può essere reinventata, perché costituisce la sostanza stessa della realtà.
“Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni” (William Shakespeare, La Tempesta, Atto IV). Al poeta non importerà, ma la sua frase è tanto affascinante quanto inesatta. Noi possiamo sapere non solo di che cosa siamo fatti, ma anche riconoscere razionalmente quella parte della nostra natura che non possiamo definire con le parole. Non possiamo conoscere tutto il reale, ma quello che conosciamo con la nostra ragione è sufficiente a descriverci, a valutarci, a stimarci, a salvaguardarci. Noi siamo corpi spiritualizzati o, volendo, spiriti incarnati. La realtà corporale non esaurisce tutta la nostra natura ma da questa realtà non possiamo prescindere. Il primo, decisivo, bagno di realismo lo impone la nostra biologia: librarci nell’aria, respirare sott’acqua, attraversare le pareti, persino digerire bene sono atti non imponibili con la volontà. Siamo esseri decisamente limitati. I nostri limiti sono peraltro le nostre coordinate, disegnano una identità: umani. Altre caratteristiche ci descrivono: la ragione, la volontà, la libertà. Senza riconoscere coordinate e caratteristiche, senza rispettarle come date e non opzionali, non si parla di un essere umano reale.
Il mondo è luogo adeguato all’essere umano nella misura in cui è costruito rispettando la realtà delle cose e delle persone. Anche le strutture sociali o rispettano il dato di fatto, e così facendo offrono alcune possibilità concrete di vivere armonicamente, oppure sostituiscono la realtà con l’ideologia, e così facendo creano distopia. I bambini nascono dalla loro mamma e dal loro papà. Il resto è – in parte – fattibile ma forzato, piegato ad interessi svariati, in egual misura ideali ed economici, e non garantisce armonia, bensì produce più ingiustizie, dubbi e difficoltà che vantaggi.
Come una lingua, per essere parlata e compresa, ha bisogno di una grammatica che ne detti il dipanarsi e che possa reggere sia un testo scientifico che uno poetico, così la vita sociale può definire che cosa è un bene per tutti e per ciascuno solo con il rispetto della verità dell’essere. La grammatica non imprigiona la lingua: la ordina. La rende intelligibile da tutti. L’abbellisce nella sua armonia: essa stessa, grammatica, è segno dell’ordine della ragione.
Altrettanto, quell’insieme di scoperte di come stanno le cose, che talvolta chiamiamo ‘leggi naturali’, ci permette le grandi scoperte scientifiche al pari delle corrette relazioni tra umani. Ribaltarle, sovvertirle, quasi divertirsi a surrogarle con evidenti paradossi non aiuta lo stare bene insieme: al massimo potrà accontentare il capriccio di qualcuno, ma non può diventare la lingua di tutti, così come proverbialmente nessuno più comprendeva nessun altro a Babele. E il sopruso vince.
La profonda ingiustizia di chiamare maternità solidale la prestazione di utero riduce le persone ad apparati, le relazioni a contratti, l’amore a interesse, la verità a negoziazione. No, grazie, non si trattano così gli umani.
Chiara Mantovani
medico, perfezionata in Bioetica presso l’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma,
ha ricoperto incarichi presso l’Associazione Medici Cattolici Italiani e Scienza&Vita..
[1] Devo questo esempio al magistero del Cardinale Carlo Caffarra: quando ascoltai dalla sua viva voce, per la prima volta, nella sua versione così vivacemente pennellata come ho cercato di esporla, questa che a tutti gli effetti assomiglia ad una parabola, rimasi profondamente colpita per la logica disarmante e immediatamente comprensibile da ogni retta ragione, anche non particolarmente erudita; anzi, tanto più evidente quanto più accolta con semplicità di cuore, senza ideologie preconcette bensì sulla scorta della propria esperienza umana.
Cfr: “Se domani mattina, quando comincia il servizio degli autobus, non si presenta uno degli autisti perché é ammalato, cosa fa il responsabile del turno? Lo sostituisce con un altro perché il servizio deve essere assicurato. Voi avete una ragazza alla quale volete benissimo e le dite: “Domani ci vediamo in piazza Duomo”. Ma se questa non viene cosa fate? La sostituite con un’altra? No! Nessuno può prendere il suo posto.” [http://www.caffarra.it/cat0196.php]
[2] https://www.ilfoglio.it/articoli/2010/10/16/news/il-bambino-e-malato-allora-la-madre-surrogata-deve-abortire-67246/ è solo un esempio di casi di cronaca e di aspre battaglie giudiziarie sempre più frequenti.
[3] https://feministpost.it/insights-reflections/nascere-da-madre-surrogata-morta/
[4] Grazie a Marina Terragni, traduttrice dell’articolo originale https://link.springer.com/article/10.1007/s11017-022-09599-8
[5] https://www.avvenire.it/agora/pagine/schiavitu-origini-italiane-genova-e-venezia
[6] Harriet Beecher Stowe, Uncle Tom’s cabin, 1852
[7] https://www.vatican.va/news_services/liturgy/saints/ns_lit_doc_20001001_giuseppina-bakhita_it.html
[8] Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, il cui articolo 4 vietava la schiavitù in tutte le sue forme.
[9] https://feministpost.it/italy/fiera-del-bebe-a-milano-qualcosa-da-nascondere/
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/a-wish-for-a-baby-fiera-dei-bebe-in-provetta-a-milano-2023
[10] https://bio-parents.com/it/?utm_source=google&utm_medium=cpc&utm_campaign=bd-surmama-it&gclid=Cj0KCQjwho-lBhC_ARIsAMpgMocCCdlm5TnZhYtZ1cWcowgpirbEQSoNw0u-cAmGbhBuVSSxYyfq9XkaAiLWEALw_wcB
[11] https://www.huffingtonpost.it/entry/la-gravidanza-solidale-e-unopportunita-non-un-reato_it_5fa12a22c5b6c588dc955bc3
[12] Il fenomeno della GPA in alcuni Paesi ha assunto ormai dimensioni tali da indurre alcuni Governi ad introdurre restrizioni
https://www.avvenire.it/vita/pagine/utero-affitto-india-nepal-verso-stop
https://www.documentazione.info/la-posizione-dellindia-contro-la-maternita-surrogata
[13] https://www.repubblica.it/moda-e-beauty/2023/04/20/news/utero_in_affitto_primo_royal_baby_nato_da_maternita_surrogata_danimarca-396801706/
[14] https://espresso.repubblica.it/attualita/2023/04/05/news/mappa_maternita_surrogata-394767174/
[15] https://lepersoneeladignita.corriere.it/2018/09/26/le-femministe-allonu-divieto-globale-per-lutero-in-affitto/
[16] Benedetto XVI, Caritas in veritate, https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20090629_caritas-in-veritate.html 14. Dall’ideologia tecnocratica, particolarmente radicata oggi, Paolo VI aveva già messo in guardia [26], consapevole del grande pericolo di affidare l’intero processo dello sviluppo alla sola tecnica, perché in tal modo rimarrebbe senza orientamento. La tecnica, presa in se stessa, è ambivalente. Se da un lato, oggi, vi è chi propende ad affidarle interamente detto processo di sviluppo, dall’altro si assiste all’insorgenza di ideologie che negano in toto l’utilità stessa dello sviluppo, ritenuto radicalmente anti-umano e portatore solo di degradazione. Così, si finisce per condannare non solo il modo distorto e ingiusto con cui gli uomini talvolta orientano il progresso, ma le stesse scoperte scientifiche, che, se ben usate, costituiscono invece un’opportunità di crescita per tutti.
70. Lo sviluppo tecnologico può indurre l’idea dell’autosufficienza della tecnica stessa quando l’uomo, interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire. È per questo che la tecnica assume un volto ambiguo. Nata dalla creatività umana quale strumento della libertà della persona, essa può essere intesa come elemento di libertà assoluta, quella libertà che vuole prescindere dai limiti che le cose portano in sé. […] Questa visione rende oggi così forte la mentalità tecnicistica da far coincidere il vero con il fattibile. Ma quando l’unico criterio della verità è l’efficienza e l’utilità, lo sviluppo viene automaticamente negato.
[17]Cfr. https://alleanzacattolica.org/concepimento-con-play-station/
Intelligenza Artificiale che è così efficiente da proseguire il suo compito anche nella selezione degli embrioni da continuare a ‘coltivare’, e poi nella scelta di quelli da impiantare in utero: decisamente non un ruolo marginale…
https://www.ilsole24ore.com/art/l-intelligenza-artificiale-scova-difetti-embrioni-AEtZezQD