Il deserto come luogo da creare nella propria interiorità per accogliere il Signore e proclamarLo, poi, davanti agli uomini
di Michele Brambilla
Papa Francesco nell’Angelus del 10 dicembre spiega che «in questa seconda domenica di Avvento il Vangelo ci parla di Giovanni Battista, il precursore di Gesù (cfr Mc 1,1-8), e ce lo descrive come “voce di uno che grida nel deserto”». Questa espressione evangelica è solo apparentemente un ossimoro, dato che «Giovanni predica lì, nei pressi del fiume Giordano, vicino al punto in cui il suo popolo, molti secoli prima, era entrato nella terra promessa (cfr Gs 3,1-17). Così facendo, è come se dicesse: per ascoltare Dio dobbiamo tornare nel luogo in cui per quarant’anni Egli ha accompagnato, protetto ed educato il suo popolo». Per Israele quel luogo era il Sinai geografico, ma qui si sta parlando di un “Sinai interiore” che tutti dovrebbero ritrovare.Il deserto, allora, diventa «il luogo del silenzio e dell’essenzialità, dove non ci si può permettere di indugiare in cose inutili, ma occorre concentrarsi su quanto è indispensabile per vivere».
Deduciamo che «per procedere nel cammino della vita è necessario spogliarsi del “di più”, perché vivere bene non vuol dire riempirsi di cose inutili, ma liberarsi del superfluo, per scavare in profondità dentro di sé, per cogliere ciò che è veramente importante davanti a Dio. Solo se, attraverso il silenzio e la preghiera, facciamo spazio a Gesù, che è la Parola del Padre, sapremo liberarci dall’inquinamento delle parole vane e delle chiacchiere. Il silenzio e la sobrietà – nelle parole, nell’uso delle cose, dei media e dei social – non sono solo “fioretti” o virtù, sono elementi essenziali della vita cristiana», osserva il Santo Padre.
Solo dalla contemplazione deriva un’azione autenticamente “pensata”. Solo se abbiamo saputo ascoltare il Signore nel nostro deserto interiore siamo in grado di pronunciarne il nome di fronte ad una cultura contemporanea vuota di senso. La nostra voce «è lo strumento con cui manifestiamo ciò che pensiamo e portiamo nel cuore. Capiamo allora che è molto collegata con il silenzio, perché esprime ciò che matura dentro, dall’ascolto di ciò che lo Spirito suggerisce. Fratelli e sorelle, se non si sa tacere, è difficile che si abbia qualcosa di buono da dire; mentre, più attento è il silenzio, più forte è la parola».
Richiamando, nei saluti dopo la preghiera mariana, il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), il Papa puntualizza che «essa è come una via maestra, sulla quale molti passi avanti sono stati fatti, ma tanti ancora ne mancano, e a volte purtroppo si torna indietro».
In compenso, «mi rallegro per la liberazione di un numero significativo di prigionieri armeni e azeri. Guardo con grande speranza a questo segno positivo per le relazioni tra Armenia e Azerbaigian, per la pace nel Caucaso meridionale, e incoraggio le parti e i loro Leader a concludere quanto prima il Trattato di pace». Quanto agli altri scenari di guerra, «andiamo verso il Natale: saremo capaci, con l’aiuto di Dio, di fare passi concreti di pace? Non è facile, lo sappiamo. Certi conflitti hanno radici storiche profonde. Ma abbiamo anche la testimonianza di uomini e donne che hanno lavorato con saggezza e pazienza per la convivenza pacifica».
Lunedì, 11 dicembre 2023