Dalla discutibilissima sentenza della Consulta non deriva affatto l’obbligo di includere questa pratica nei livelli essenziali di assistenza garantiti dallo Stato a spese di tutti
Nel sistema sanitario italiano accade che una persona con un sospetto tumore al colon attenda un anno prima che arrivi il suo turno per la colonscopia. Accade che un paziente cui viene riscontrata una patologia tumorale sia dissuaso dall’iniziare una chemio se ha un’età molto avanzata; gli vengono illustrate ragioni della proporzione fra cura e sofferenze, ma spesso il motivo vero è che non ovunque esistono le risorse per garantire farmaci costosi a tutti.
Accade che interventi impegnativi, con effetti collaterali tali da esigere qualche giorno di osservazione, e quindi di degenza ospedaliera, siano per protocollo eseguiti in regime di day hospital: così il paziente viene dimesso mentre è ancora dolorante, o in preda alla febbre. Accade che il ticket per analisi di routine riguardanti persone che hanno qualche ragione medica per eseguirle sia di centinaia di euro, pur se chi ricorre alla struttura pubblica o privata convenzionata concorre con le tasse al mantenimento del sistema.
Si tratta di anomalie gravi, che si riscontrano con quotidiana frequenza, rispetto alle quali i medici e i dirigenti sanitari costretti a disporle si giustificano con le restrizioni del bilancio della sanità, dei trasferimenti per tale voce dallo Stato alle Regioni, e da queste alle Asl. Il dato è obiettivo: l’estensione della popolazione anziana, in parallelo col calo delle nascite, rende più elevata l’età media di coloro che hanno necessità di terapie, e quindi la platea dei pazienti è sempre più costosa. Qualche criterio empirico di risparmio va pur individuato: sarà l’aver superato una certa soglia di anni, o il carattere impegnativo della malattia, o la concentrazione del tempo di permanenza in ospedale.
Piuttosto si finanzino le adozioni
Con questi chiari di luna qualche giorno fa il governo ha approvato i nuovi Lea (livelli essenziali di assistenza pubblica) e vi ha inserito la copertura dei costi della fecondazione artificiale di tipo eterologo: ha cioè di fatto sottratto ulteriori risorse alla cura efficace di patologie anche gravi per destinarle a una pratica che, al netto di qualsiasi considerazione etica, conosce esiti positivi inferiori al 15 per cento dei trattamenti avviati, ove il “successo” è il “bambino in braccio”. Ha ragione il ministro della Salute quando definisce questa decisione “storica”. Ma nella storia ci sono eventi che costituiscono passi in avanti per il bene comune, ed eventi negativi, fonte di danni. Il finanziamento pubblico dell’eterologa rientra fra i secondi.
Non vale sostenere che la scelta era obbligata a seguito della sentenza della Corte costituzionale che aveva fatto cadere il divieto di questa pratica contenuto nella legge 40. Con motivazione opinabile, tre anni fa la Consulta ha sancito che la scelta di una coppia sterile o infertile di utilizzare l’eterologa coincide con la scelta «di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli», e in quanto tale è «espressione della fondamentale libertà di autodeterminarsi»; e fin qui la salute non c’entra nulla.
Ha poi aggiunto di non escludere che «l’impossibilità di formare una famiglia con figli mediante ricorso alla Pma di tipo eterologo possa incidere negativamente, in misura rilevante, sulla salute della coppia»; qui invece la “salute” è chiamata in causa, ma intesa come «comprensiva anche della salute psichica, oltre che fisica». Da questo inserimento deriva però la legittimità dell’eterologa – esclusa dal Parlamento –, non l’obbligo di renderla gratuita.Diversamente, e con maggior fondamento, dovrebbero rendersi gratuite le pratiche di adozione, nazionale e soprattutto internazionale: anche per esse vi è una incidenza della «impossibilità di formare una famiglia con figli» sulla salute, in una accezione così lata.
Tutti sanno quanto quelle pratiche siano costose, e peraltro da oltre quattro anni sono private dai governi di qualsiasi assistenza istituzionale. “Storico” in senso positivo, signora ministra, sarebbe stato dare loro un nuovo impulso, e nel frattempo sostenere in modo equo e omogeneo le terapie alle patologie più gravi senza costringere medici e dirigenti sanitari a selezioni difficili.
Alfredo Mantovano
Da “Tempi” del 22 gennaio 2017. Foto Tempi