La dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede Fiducia supplicans sul senso pastorale delle benedizioni ha richiamato l’attenzione dei media a livello globale.
Nel testo è ripetuto diverse volte e con enfasi che la dottrina tradizionale della Chiesa non cambia perché il matrimonio è sempre e soltanto fra un uomo e una donna e che “soltanto nel matrimonio i rapporti sessuali trovano il loro senso naturale, adeguato e pienamente umano” e che “la benedizione richiede che quello che si benedice sia conforme alla volontà di Dio espressa negli insegnamenti della Chiesa”. Di qui la sottolineatura che : «la Chiesa ha il diritto e il dovere di evitare qualsiasi tipo di rito che possa contraddire questa convinzione o portare a qualche confusione. Tale è anche il senso del Responsum dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede laddove afferma che la Chiesa non ha il potere di impartire la benedizione ad unioni fra persone dello stesso sesso».
Eppure al di là delle intenzioni, la dichiarazione al punto 31 acuisce il disorientamento circa il senso stesso delle relazioni sessuali e di vita in generale. Con il rischio di ritenere che ogni relazione di vita sia suscettibile di essere benedetta. Nel testo emerge, accanto a questo rischio, anche la forte volontà della Chiesa di non allontanare alcuna persona, in qualsiasi situazione relazionale si trovi, cioè la volontà di non essere una “dogana”, come ha ripetuto sovente Papa Francesco.
Questo è il “nodo” da affrontare, soprattutto all’interno della Chiesa, per evitare polemiche e divergenze che fanno male alla comunione ecclesiale. Noi tutti abbiamo fiducia che la Chiesa continui a dare ciò di cui tutti abbiamo, oggi più che mai, bisogno: la luce del bene e del vero. Una luce che splende nell’intervento recente sul tema di Monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-San Remo, che pubblichiamo di seguito.
Per coglierne il senso profondo suggeriamo di leggerlo nella sua integralità.
Carissimi Presbiteri e Diaconi,
vi consegno alcune riflessioni sulla recente Dichiarazione Fiducia Supplicans affinché ne possiate fare spunto di riflessione e di corretta responsabilità nell’esercizio del vostro ministero a servizio della Chiesa e per la salvezza delle anime.
È stata pubblicata il 18 dicembre la Dichiarazione Fiducia Supplicans del Dicastero per la Dottrina della Fede sul senso pastorale delle benedizioni. La reazione comune, forse superficiale, ma che comunque è indice della incomprensione e della strumentalizzazione che va dilagando, è stata nel senso di leggere in questo documento un cambio di paradigma dottrinale circa le unioni illegittime more uxorio, essendo disposto espressamente che si può impartire la benedizione a quelle coppie che si trovano a vivere in una tale situazione.
Un cambio di rotta è la sensazione che, leggendo i titoli dei giornali, pare essere segnata dalla Dichiarazione che è stata promulgata dopo l’udienza concessa da Papa Francesco ai Superiori del Dicastero, modificando così il Responsum del 21 febbraio 2021, anch’esso dato con l’assenso dello stesso Papa. Tuttavia, va evidenziato come quella risposta ad un dubbio riguardasse la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso, ovvero le unioni stesse, mentre la presente Dichiarazione è sul senso pastorale delle benedizioni, con speciale riguardo alle persone che vivono una situazione irregolare circa l’unione more uxorio.
Si tratta adesso di dare disposizioni pastorali sulla benedizione di persone, non di tipi di unione.
Il voler sostenere che il Dicastero abbia inteso modificare la dottrina della Chiesa, con l’avvallo del Papa, pare contraddire ciò che in numerosi punti del documento viene espressamente affermato e richiamato.
È fermo l’insegnamento ribadito pure nel Catechismo della Chiesa Cattolica per il quale «il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento» (CCC 1601), sicché «il sacramento del Matrimonio è segno dell’unione di Cristo e della Chiesa. Esso dona agli sposi la grazia di amarsi con l’amore con cui Cristo ha amato la sua Chiesa; la grazia del sacramento perfeziona così l’amore umano dei coniugi, consolida la loro unità indissolubile e li santifica nel cammino della vita eterna» (CCC 1661).
E Fiducia Supplicans dice chiaramente di porsi nel solco della dottrina della Chiesa, come la Presentazione del Prefetto della Dottrina della Fede sostiene, sottolineando che «la presente Dichiarazione resta ferma sulla dottrina tradizionale della Chiesa circa il matrimonio, non ammettendo nessun tipo di rito liturgico o benedizioni simili a un rito liturgico che possano creare confusione». «Il valore di questo documento, tuttavia, è quello di offrire un contributo specifico e innovativo al significato pastorale delle benedizioni che permette di ampliarne e arricchirne la comprensione classica strettamente legata a una prospettiva liturgica».
Infatti, la Dichiarazione dispone che «sono inammissibili riti e preghiere che possano creare confusione tra ciò che è costitutivo del matrimonio, quale unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli e ciò che lo contraddice. Questa convinzione è fondata sulla perenne dottrina cattolica del matrimonio» (n. 4), spiegando che bisogna salvaguardare il rito liturgico proprio del matrimonio: «la Chiesa ha il diritto e il dovere di evitare qualsiasi tipo di rito che possa contraddire questa convinzione o portare a qualche confusione» (n. 5).
E, venendo al concreto, Fiducia Supplicans asserisce: «proprio per evitare qualsiasi forma di confusione o di scandalo, quando la preghiera di benedizione, benché espressa al di fuori dei riti previsti dai libri liturgici, sia chiesta da una coppia in una situazione irregolare, questa benedizione mai verrà svolta contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi.
Neanche con degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio. Lo stesso vale quando la benedizione è richiesta da una coppia dello stesso sesso» (n. 39).
Quello che il documento intende evidenziare è l’importanza pastorale di benedire, poiché «le persone che vengono spontaneamente a chiedere una benedizione mostrano con questa richiesta la loro sincera apertura alla trascendenza, la fiducia del loro cuore che non confida solo nelle proprie forze, il loro bisogno di Dio e il desiderio di uscire dalle anguste misure di questo mondo chiuso nei suoi limiti» (n. 21), poiché «chi chiede una benedizione si mostra bisognoso della presenza salvifica di Dio nella sua storia e chi chiede una benedizione alla Chiesa riconosce quest’ultima come sacramento della salvezza che Dio offre. Cercare la benedizione nella Chiesa è ammettere che la vita ecclesiale sgorga dal grembo della misericordia di Dio e ci aiuta ad andare avanti, a vivere meglio, a rispondere alla volontà del Signore» (n. 20).
Tuttavia, dinnanzi allo smarrimento e alla confusione, merita allora che sia chiarito che cosa debba intendersi per “pastorale”, poiché tale aggettivo spesso viene inteso come in contrapposizione a dottrinale o a giuridico. Papa Francesco insegna che «far conoscere e applicare le leggi della Chiesa non è un intralcio alla presunta “efficacia” pastorale di chi vuol risolvere i problemi senza il diritto, bensì garanzia della ricerca di soluzioni non arbitrarie, ma veramente giuste e, perciò, veramente pastorali. Evitando soluzioni arbitrarie, il diritto diventa valido baluardo a difesa degli ultimi e dei poveri, scudo protettore di chi rischia di cadere vittima dei potenti di turno. Noi vediamo oggi in questo contesto di guerra mondiale a pezzetti, vediamo come sempre c’è la mancanza del diritto, sempre. Le dittature nascono e crescono senza diritto. Nella Chiesa non può succedere questo» (FRANCESCO, discorso ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, 21 febbraio 2020).
Quindi, la Chiesa deve sentire la “santa inquietudine” di evitare che si insinuino abusi e gesti che, camuffati da atti pastorali, in realtà contraddicano la verità e la giustizia, scadendo nell’arbitrio e nell’abuso e, in ultima istanza, nell’inganno e nella menzogna, che sono tutt’altro che pastorali, portando detrimento, invece, alla salus animarum.
Pastorale è l’azione stessa di Cristo Pastore, il quale è la Verità, il Vangelo della salvezza. Egli rivela ed incarna la misericordia del Padre nella croce, nell’amore che redime l’uomo che si converte e cambia vita. La prima azione pastorale, dunque, e la principale e più urgente, è avere zelo per la salvezza delle anime, richiamando l’uomo alla Verità, alla santità, alla conversione. In tal senso è fondamentale quanto dice lo stesso Papa Francesco: «giustizia e misericordia non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore. La giustizia è un concetto fondamentale» (FRANCESCO, bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia Misericordiæ Vultus, 11 aprile 2015, n. 20).
Nella esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco scrive: «È vero, per esempio, che la misericordia non esclude la giustizia e la verità, ma anzitutto dobbiamo dire che la
misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio» (FRANCESCO, esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, 19 marzo 2016, n. 311).
Quindi, non può esserci misericordia vera senza l’imprescindibile base della giustizia e della verità.
Tutto dipende dal non fraintendere il termine “pastorale”: esso non può essere in alcun modo un qualsiasi aggiustamento sganciato dal diritto, anzi dalla stessa dogmatica e dalla morale, essendo piuttosto l’azione della Chiesa, innervata nella storia della salvezza, al cui inizio è posta l’incarnazione del Verbo nella storia degli uomini per la loro salvezza. Si tratta, quindi, di perpetrare sino alla fine dei tempi l’azione salvifica di Cristo Pastore. Ciò che può ingannare o confondere l’uomo circa la verità e la giustizia, sicché, non può mai essere pastorale.
Rimane, dunque, da capire ancora che cosa siano le benedizioni e quando e come possano essere impartite. Va ricordato che la Chiesa non si astiene mai dal benedire i propri figli e persino i catecumeni; parimenti, va rammentato che la Chiesa ha sempre un atteggiamento di attenta premura anche per le persone omosessuali che «devono essere accolte con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione» (CCC 2358).
Quantunque Fiducia Supplicans possa in taluni passi equiparare le benedizioni ai pii esercizi (cfr. n. 24) o richiami la necessità che benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso non vadano inserite in un rito liturgico (cfr. nn. 33; 36; 38; 39), va osservato che le benedizioni sono dei sacramentali, i quali, secondo Sacrosanctum Concilium n. 60 (ripresa nel can. 1166 C.J.C.), sono segni sacri per mezzo di cui vengono significati e ottenuti, mediante l’intercessione della Chiesa, effetti soprattutto spirituali ed assomigliano ai sacramenti in quanto sono segni sacri sensibili, spesso con materia e forma; sono mezzi pubblici di santificazione; sono diretti a produrre effetti principalmente spirituali; la loro preparazione e la loro amministrazione costituiscono atti di culto pubblico (cfr. can. 834 C.J.C.); la loro efficacia deriva dal mistero pasquale della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo (cfr. SC, 61), benché ne differiscano essenzialmente per altri aspetti.
Per tale motivo, la celebrazione o amministrazione dei sacramentali (e, quindi, delle benedizioni che ne sono una fattispecie) dev’essere realizzata osservando diligentemente i riti e le forme stabilite dai Rituali, di carattere universale, o propri di ciascuna regione, ma in ogni caso confermati dalla Sede Apostolica, essendo invalida l’amministrazione se non si utilizza la formula prescritta dalla Chiesa.
Quindi, la criticità che può emergere è in ordine al fatto che la Dichiarazione preveda che il sacramentale di benedizione per i casi in specie non si svolga nel modo suo proprio, ovvero celebrativo, e non segua una formula ufficiale stabilita dalla competente Suprema Autorità della Chiesa.
Il Benedizionale nella sua versione attuale, nelle Premesse generali, ricorda che «Cristo Signore è la massima benedizione del Padre» (n. 3). Quindi, seguirlo fedelmente, accogliendo e vivendo il Vangelo della verità, sarebbe la migliore benedizione che si possa accettare e far trasparire nella e con la propria vita. Il ricercare (ed il ricevere) benedizioni in stati che contraddicono il Vangelo di Cristo rischia, dunque, essere un “non-senso”. Infatti, «le benedizioni intendono mettere in luce e manifestare quella vita nuova in Cristo, che nasce e si sviluppa in forza dei Sacramenti della Nuova Alleanza, istituiti da Cristo Signore. Inoltre le benedizioni, istituite in certo qual modo a imitazione dei Sacramenti, si riportano sempre e principalmente a effetti spirituali, che ottengono per impetrazione della Chiesa» (n. 10). Tuttavia, se le benedizioni sono rivolte non alle persone in sé, ma a loro in quanto unite in una unione illegittima, come possono mettere in luce e manifestare la vita nuova in Cristo innestata nei Sacramenti? Piuttosto, la contraddice.
Le Premesse generali al Benedizionale sostengono che «la Chiesa vuole che la celebrazione di una benedizione torni veramente a lode ed esaltazione di Dio e sia ordinata al profitto spirituale del suo popolo» (n. 11).
Ora, se le unioni irregolari di persone di sesso diverso o dello stesso sesso, come la Dichiarazione più volte riafferma, contraddice la verità dell’uomo e la dottrina affidata da Cristo alla sua Chiesa, come potrebbe la benedizione di coppie in tale situazione (non delle singole persone per dare loro aiuto, sostegno ed accompagnamento) essere lode ed esaltazione di Dio, essendo ordinata al profitto spirituale, specialmente se non c’è la volontà risoluta di rescindere dalla stessa? Infatti, le Premesse generali notano che «al fine di ottenere la piena efficacia, è necessario che i fedeli si accostino alla sacra Liturgia con retta disposizione di animo. Pertanto coloro che chiedono la benedizione di Dio per mezzo della Chiesa, intensifichino le loro disposizioni» (n. 15).
Rimane difficile capire come per chi desidera l’aiuto di una benedizione ma, al contempo non desidera porre rimedio a quella situazione che contraddice il Vangelo e che per la quale, invece, chiede per l’appunto la benedizione possa compiersi quanto le Premesse generali del Benedizionale dicono, ovvero che le loro disposizioni buone siano intensificate e che, «per mezzo dei riti delle benedizioni, gli uomini si dispongono a ricevere l’effetto principale proprio dei Sacramenti, e vengono santificate le varie circostanze della loro vita» (n. 14).
Con le benedizioni impartite per simili situazioni, come possono essere santificate le circostanze della vita se esse sono contrarie al Vangelo? Come possono queste benedizioni disporre coloro che le richiedono a ricevere l’effetto principale proprio dei Sacramenti ai quali non possono magari manco accostarsi? Infatti, ciò che è contrario al Vangelo, ciò che costituisce un male per il suo oggetto, non potrà mai, nemmeno per le circostanze o per le intenzioni, essere qualcosa di “soggettivamente” onesto o difendibile come scelta: l’intenzione è buona quando mira al vero bene della persona in vista del suo fine ultimo, cioè Dio, altrimenti è qualcosa di “indegno della persona umana” e si oppone in ogni caso a questo bene (cfr. Veritatis splendor, nn. 81-82).
La difficoltà, pertanto, è di benedire persone in forza del loro trovarsi in una situazione che contraddice il Vangelo e, quindi, la verità stessa dell’uomo, ovvero situazioni che si oppongono al bene.
In esse, le Premesse generali del Benedizionale, proprio nel dare i criteri pastorali delle benedizioni, esplicita che: «ogni celebrazione di benedizione dev’essere sempre vagliata in base a criteri pastorali, specialmente se ci fosse motivo di prevedere un eventuale pericolo di sconcerto da parte dei fedeli e degli altri presenti» (n. 13).
I commenti e le interpretazioni sviate che si sono letti immediatamente dopo la pubblicazione della Dichiarazione Fiducia Supplicans che, in realtà, invece, ribadisce la dottrina della Chiesa sul matrimonio, possono far capire come il pericolo di cui si parla al citato n. 13 delle Premesse generali del Benedizionale non sia affatto remoto, almeno nel contesto della nostra società.
Sanremo, 20 dicembre 2023.
✠ Antonio Suetta, Vescovo di Ventimiglia – San Remo