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Numa-Denis Fustel de Coulanges

27 Ottobre 2018 - Autore: Alleanza Cattolica

di Alessandro Massobrio (1950-2007)

 

Numa-Denis Fustel de Coulanges (1830-1889)

 

1. Il «caso Fustel de Coulanges»

«Il misconoscimento di Fustel de Coulanges si può avvicinare a quello di Mistral. Come Mistral è il più grande poeta del XIX secolo francese, Fustel è senza contraddizione il più grande sto­rico» (Daudet, 124). Questa affermazione, che Léon Daudet (1867-1952), il ce­lebre polemista d’Action Française, inserisce in uno dei suoi pamphlet più violenti, Le stupide XIXème siècle, del 1922, fa giu­sti­zia di due colpe di tentata rimozione, di cui si era mac­chia­to l’Ottocento, che pure è stato a lungo contrabbandato come l’e­po­ca della «re­li­gione della libertà».

Due tentativi di rimozione, il primo dei quali a danno dell’arte, intesa come tradizione e conservazione di valori perenni, di cui Frédéric Mistral (1830-1914), il poeta della Provenza, era stato il più significativo rappresentante. L’altro contro la storia, conce­pi­ta come rilettura del passato, libera da pregiudizi pseudo­-scien­ti­fi­ci e da ideologie anti-storiche.

Numa-Denis Fustel de Coulanges non soltanto è il maggior e­spo­nente di questo tipo di concezione della storia nell’ambito della cultura del suo tempo, ma anche l’in­di­scusso anticipatore di una temperie nuova, che a­vrebbe, dopo di lui, trionfato, grazie anche a uno dei suoi mag­giori discepoli, quell’Edwin Rohde (1845-1898), che pure risente ancora, in mi­sura forse maggiore del suo stesso maestro, del­l’e­voluzionismo, instaurato nelle di­scipline storiche dai seguaci di Herbert Spen­cer (1820-1903).

2. La formazione

E dire che anche Fustel de Coulanges, nato a Parigi nel 1830 e accolto, sempre a Parigi, fra gli studenti dell’École Normale Supérieure nel 1850, certamente si era im­be­vuto sia del ra­zio­na­lismo di René Descartes (1596-1650), sia dello scientismo po­si­ti­vistico di Auguste Comte (1798-1857). Ma, poi, l’amore per l’an­tichità greco-romana, che lo aveva spin­to a visitare di per­so­na i luoghi dove si erano svolte le vicende della storia classica, co­mincerà a operare in lui una sorta di ri­sve­glio. Egli avverte che il respiro profondo del passato sfugge al culto archeologico del do­cumento, che pretende di risolvere l’uo­mo — che poi è quello di sempre — soltanto nell’erudizione epi­grafica e nella com­pul­sazione delle fonti. L’uomo è fonda­men­talmente un perché, una domanda religiosa rivolta al cosmo che lo circonda.

Questa concezione viene rafforzata in Fustel de Coulanges dal soggiorno presso l’École Française di Atene. Dal 1853 al 1855 è a Chio, occupato a studiare la storia dell’isola, di cui fornisce no­tizie importanti sulla Revue des Questions Historiques del 1856. Nel 1858 sostiene la tesi di dottorato con una dissertazione su Polybe ou la Grèce conquise par les Romains, nella quale co­mincia ad affacciare seri dubbi sull’effettiva bontà delle rivo­lu­zioni, rispetto alle quali sono preferibili, in genere, i regimi ari­stocratici e conservatori.

3. L’attività didattica e l’opera

Tornato in Francia, insegna dapprima nel liceo di Amiens, nel nord della Francia, poi al Saint-Louis di Parigi. Infine, nel 1860, è nominato professore di Storia presso la facoltà di Lettere di Strasburgo, dove rimane sino al 1870, nonostante il clima infuocato che si doveva re­spi­ra­re in quella città di frontiera, da sempre contesa tra Francia e Germania, proprio negli anni in cui finalmente esplodeva il con­flitto fra le due nazioni.

Ma il 1870 è anche l’anno del riconoscimento ufficiale dei me­riti di Fustel de Coulanges. Richiamato a Parigi, come maître de conférences, presso quell’École Normale che aveva frequentato da studente, viene, in quella stessa primavera, incaricato da Na­poleone III (1808-1873) di un corso di lezioni da tenere a corte. Cinque anni dopo diveniva professore alla Sorbona.

Da allora fino alla morte, avvenuta a Massy il 12 settembre 1889, la vita del grande storico si snoda in un silenzio operoso, in cui la ricerca paziente è illuminata da un’intuizione ori­gi­nalis­sima, spesso ribelle all’ossequio delle «autorità» rico­no­sciu­te.

Proprio il suo atteggiamento di assoluta indipendenza attira su Fustel de Coulanges la critica di Giorgio Pasquali (1885-1952) che, in un celebre saggio premesso all’edizione italiana de La cité antique, faceva notare come lo storico francese si fosse servito di miti e di leggende, senza tener in alcun conto la critica razionalistica di Karl Otfried Müller (1797-1840) e di Barthold Georg Niebhur (1776-1831). Giudizio, per altro, infondato, dal momento che non tiene conto della co­noscenza che lo storico francese possedeva in proposito, grazie alla lettura dell’opera di Gabriel Monod (1844-1912).

4. Religione, famiglia e proprietà

Comunque, ne La cité antique, il capolavoro dello storico fran­cese, pubblicato a Parigi nel 1864, proprio sotto questo a­spet­to, oltre che sotto quello religioso, si manifestano le maggiori af­finità fra Fustel de Coulanges e ilpensatore napoletano Giambattista Vico (1668-1744). In en­tram­bi gli autori mito e leggenda sono, infatti, ritenuti «ve­ri» nel sen­so sapienziale del termine. La verità in essi contenuta non è cer­tamente quella dei moderni, che sottopongono il mondo alla propria Vernunft — la ragione degli illuministi —, per «de­pu­rar­lo» dalle incrostazioni religiose. Anzi, è proprio la reli­gio­ne, mo­do d’essere connaturale all’uomo antico, a esprimere, con i suoi miti, quanto egli ha fatto e quindi ritiene vero: «verum et factum convertuntur», «il vero e il fatto coincidono».

Da questo presupposto si muove la riflessione storica ne La cité antique. Le istituzioni del mondo classico devono essere ricon­dotte alla religione e, in particolare, a quella speciale religione che è il culto dei defunti: gli avi proteggono i propri discen­denti sulla terra e questi ultimi, con i sacrifici propiziatori, com­piuti sulle pietre sepolcrali, assicurano a quelli la felicità del­l’oltre­tomba. Nasce così fra vivi e morti un legame profondo, che non solo dà origine alla famiglia, prima comunità naturale, di cui il pater diviene anche il sacerdos, ma fonda, al tempo stesso, la proprietà privata. E la proprietà privata è dunque, in origine, so­lamente l’inviolabilità della terra dove sono le tombe degli avi e, dal momento che servi e clienti sono vincolati dalla condi­vi­sione dei culti fa­mi­lia­ri, ecco profilarsi all’orizzonte della polis il ghé­nos e a quello dell’urbs la gens. Si tratta di termini di origine in­doeuropea, che nascono dalla medesima radice per in­dicare quel­la famiglia «al­largata», i cui vari rami sono tenuti in­sieme dal culto comune di una comune divinità.

Poste queste premesse, non riesce difficile a Fustel de Cou­lan­ges mostrare la medesima origine anche per curie e per tribù, collegate queste ultime ormai non più dalla religione dei tra­pas­sati ma da quella di un uomo divinizzato, che diventa l’eroe epo­nimo di un intero gruppo.

In questo modo la città antica viene a configurarsi come un or­ganismo sociale che ha le proprie radici nella religione familiare e nella tra­di­zio­ne aristocratica. A tal punto intrecciate che sa­reb­be stato impossibile distinguere fra singolo e popolo, fra doveri etico-religiosi del cittadino e doveri etico-religiosi della collet­ti­vità. L’avvento della plebe nell’ordinamento gentilizio e l’opera di progressiva razionalizzazione introdotta e realizzata dalla filo­sofia greca avrebbero incrinato questa struttura origi­na­ria, poi ri­composta all’interno d’una equilibrata prospettiva gerarchica dal mes­saggio del cristianesimo, che distingue con precisione il de­stino del singolo da quello del tutto cui il singolo appartiene.

Si trattava, dunque, di una lettura basata sulla glottologia com­parata, che oggi, nonostante le critiche di Pasquali, torna a ri­ve­larsi d’estrema attualità, tanto da confermare l’infondatezza delle tesi materialistico-evoluzionistiche, che Fustel de Cou­lan­ges eb­be il merito, fra i primi, di confutare ne La cité antique e che ne­gavano alla famiglia un ruolo ori­gi­na­rio nell’ambito del­la società umana, facendola precedere da una non meglio iden­ti­fi­cata «orda», in cui tutto sarebbe stato co­mu­ne, dai beni alle don­ne.

Sicché il pensiero di Fustel de Coulanges — ripreso da pa­dre Agostino Gemelli O.F.M. (1878-1959) ne L’origine della fa­mi­glia. Critica della dottrina evoluzionista del socialismo ed e­spo­sizione dei risultati delle ri­cherche com­piute secondo il me­to­do psicologico-storico, del 1921 — veniva a confutare i so­ste­ni­tori di un comunismo o­ri­gi­nario, che avreb­be, in seguito, lasciato il posto alla famiglia mo­nogamica come il caos al cosmo.

5. Contro le «due France»

Se ne La cité antique aveva sostenuto l’origine naturale della famiglia, dalla quale sarebbe poi derivata la proprietà privata, nella Histoire des institutions politiques de l’ancienne France, pubblicata in prima edizione nel 1875, Fustel de Coulanges ri­vendica tale connessione anche per la Francia, che pure la sto­rio­grafia germanofila del tempo, soprattutto dopo la vittoria della Prussia nella guerra del 1870-1871, considerava, dal punto di vi­sta istituzionale, come un’appendice del mondo tedesco.

Contro questa concezione lo storico combatte duramente e non soltanto con gli scritti. Tanto che nel 1870 osa entrare in pole­mi­ca sul carattere francese dell’Alsazia con un’autorità indiscussa come Theodor Mommsen (1817-1903) e nel 1872 non ha esi­ta­zioni a recarsi a Strasburgo, ove, nel corso di una conferenza, au­spica il trionfo della Francia sul Reno.

In realtà, il nazionalismo di Fustel de Coulanges non è fine a sé stesso. Egli, infatti, sostenendo la «gallicità» della Francia, ne e­saltava indirettamente la romanità. Una romanità che si era tra­smessa, tutta intera, attraverso lo Stato merovingio e carolingio, dal Basso Impero all’Alto Medioevo. Sicché il regime feudale veniva a essere non già una creazione germanica, ma un naturale sviluppo delle isti­tuzioni romane preesistenti.

E dimostrava il suo assunto analizzando «beneficio», «vassal­laggio» e «immunità», le tre istituzioni che concordemente gli storici pongono alla base del regime feudale. Ebbene, secondo Fustel de Coulanges, esse avrebbero corrisposto al praecarium, la concessione temporanea di terre, al padronato e al latifondo, grazie al quale i grandi proprietari, svincolatisi da una ormai in­debolita autorità centrale, avrebbero goduto, già in età romana, di un’autorità quasi assoluta sui propri soggetti. Così Fustel de Coulanges si poneva, nell’ambito del­la grande controversia fra romanisti e germanisti, che divi­de­va a quel tempo il mondo acca­demico, ai fianco dei primi. Ma la sua presa di posizione pre­sup­poneva anche un duplice e nobile atteg­giamento spirituale. In primo luogo, opponendosi al germanesimo, egli si opponeva pu­re a ogni tipo di razzismo, volto a esaltare la superiorità dei po­poli anglosassoni — o ariani — su quelli meridionali. Un raz­zi­smo che le teorie di Joseph-Arthur de Gobineau (1816-1882) e di Houston Stewart Chamberlain (1855-1927) cominciavano a dif­fondere anche in ambito scientifico. Secondariamente, Fustel de Coulanges si impegnava nella buo­na battaglia per la paci­fi­ca­zio­ne e per l’unità nazionale, contro la tesi che ancora Léon Daudet definisce delle «due France». Os­sia contro l’opinione secondo la quale l’intero mondo dell’«antico re­gi­me»», con il suo clero e la sua nobiltà di sangue, fosse solamente la filiazione più o meno diretta dei germani invasori, che a­vrebbero strappato quanto le­gittimamente apparteneva a con­ta­di­ni e a borghesi, eredi della precedente civiltà gallo-romana.

Così, mostrando che in Francia la proprietà non è un furto e che la differenza di classe non può ridursi alla brutale espropriazione compiuta dai vincitori sui vinti, Fustel de Cou­lan­ges poteva dire di avere assolto il proprio compito di storico, di cristiano e di figlio della sua terra. Nonostante il silenzio di cui non soltanto «lo stupido XIX secolo» avrebbe continuato a cir­condarlo.

Alessandro Massobrio (1950-2007)
24 ottobre 2018

 

Per approfondire: Numa-Denis Fustel de Coulanges, Polibio ovvero la Grecia conquistata dai Ro­ma­ni, trad. it., a cura di Folco Marti­naz­zo­li (1912-1962), Laterza, Bari 1947; Idem, La città antica, trad. it., con prefazione di Giorgio Pasquali (1885-1952) e nota in­tro­dut­ti­va di Giovanni Pugliese Car­ratelli (1911-2010), San­so­ni, Fi­renze 1972; Francesco Cognasso (1886-1986), voce Fustel de Cou­lan­ges, in En­ci­clopedia Italiana, vol. XVI, 1932, pp. 225-226; Léon Daudet, Lo stupido XIX secolo, trad. it., Edizioni de «il Bor­ghese», Mi­lano 1973, pp. 115-116 (n. ed., Oaks, Milano 2017); e Andrea Galatello A­damo, Le mura e gli uo­mi­ni. Società e politica in N. D. Fustel de Cou­lan­ges, ESI. Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1987.

 

 

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