Tommaso Parolini, Cristianità n. 426 (2024)
Il 13 aprile si è svolto presso il Centro congressi Giovanni XXIII di Bergamo il convegno Occidente. La fine di un’epoca e l’alba del futuro, organizzato da Alleanza Cattolica in collaborazione con il Centro Studi Rosario Livatino, le associazioni «Ditelo sui tetti!» e Nonni 2.0, e l’UCID, l’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti.
Dopo la presentazione del tema e dei relatori da parte di Umberto Reniero, ha introdotto il convegno Marco Invernizzi, reggente nazionale di Alleanza Cattolica, che ha esordito sottolineando l’importanza di non limitare la discussione a un’analisi del «suicidio occidentale» — così definito dal giornalista e saggista Federico Rampini — ma piuttosto di diffondere speranza per la fondazione di un mondo migliore, come auspicato dal Magistero della Chiesa dai tempi del venerabile Pio XII (1939-1958). Questa speranza deve alimentare nel cristiano quello spirito di missionarietà che caratterizza la sua fede, allontanando la tentazione di rifugiarsi in «oasi» isolate dal mondo.
La ricostruzione del futuro, secondo Invernizzi, non può che partire da uno sguardo al passato: non in senso utopistico o apologetico, ma per rintracciare nella cristianità medievale un esempio concreto di civiltà che, pur nella sua imperfezione, fondava interamente la propria identità sulla Verità perfetta che è Cristo. Una civiltà ormai dimenticata, di cui dobbiamo riproporre il modello alle nuove generazioni.
In conclusione, Invernizzi ha esortato ciascuno a domandarsi quanto i cristiani siano disposti a sacrificare per difendere le proprie radici dalle minacce che incombono sull’Occidente, e soprattutto per coltivare e diffondere quelle stesse radici tramite un apostolato personale, «porta a porta», senza il quale non si potrà mai convertire il cuore degli uomini e cambiare così la società.
È seguito l’intervento di Daniele Fazio, di Alleanza Cattolica, cultore di studi filosofici e saggista, il quale ha tracciato il percorso storico-culturale che ha portato l’Europa dagli apici della civiltà ai tempi della cristianità — una civiltà nata dall’incontro del pensiero greco con la visione del mondo giudaico-cristiana e resa possibile dalla capacità d’integrazione e di sintesi dell’Impero romano —, fino alla post-modernità odierna (cfr. il testo integrale in questo numero, pp. 57-75). Questo tragitto, ha spiegato, si può leggere come una progressiva separazione tra fede e ragione, con la riduzione della prima a mero fideismo e dell’altra a mero strumento assoggettato alla volontà o ai sentimenti dell’individuo. A questa separazione ha necessariamente fatto seguito una progressiva dissoluzione dell’equilibrio antropologico, culminata con la Rivoluzione «culturale» del Sessantotto, che ha reso l’uomo odierno incapace persino di porsi quelle domande esistenziali, ontologiche e metafisiche che lo hanno sempre caratterizzato: chi sono? da dove vengo? dove vado?
Per contrastare questo processo è necessario uno sforzo di evangelizzazione che proceda secondo tre linee: una «nuova alleanza» tra fede e natura umana, oggi indebolita e privata della sfera trascendente; la strenua difesa della nozione di persona, sotto attacco da parte della tecnica postumanistica e, in particolare, dell’intelligenza artificiale; e, infine, la via pulchritudinis, che a partire dallo splendore del bello riesca a instillare nelle persone il desiderio della verità eterna.
Si sono susseguiti, quindi, interventi incentrati sulla declinazione della crisi sopra diagnosticata nell’ambito della tecnologia, del diritto, dell’ambiente e della demografia.
Il primo intervento è stato tenuto da Vittorio Possenti, già ordinario di Filosofia Politica presso l’Università Cà Foscari di Venezia e autore di numerosi libri e saggi a livello internazionale. Opinando sulla questione della moralità della tecnica, Possenti ha presentato la tecnica come espressione della volontà di potenza dell’uomo. Benché questa potenza non possa di per sé alterare la natura dell’uomo nel suo carattere essenziale, non si possono sottovalutare i pericoli insiti nei suoi tentativi, per quanto vani, di «violare l’inviolabile». Per questo motivo, anche se l’aumento della potenza umana mediante la tecnica non è a priori né un bene né un male, è doveroso mantenere «un’intelligente diffidenza» nei suoi confronti.
Possenti ha quindi posto a confronto la persona e la macchina. La differenza tra le due, egli sostiene, è stata indebitamente sminuita da un approccio funzionalistico all’uomo, che identifica, cioè, l’essere umano con la somma delle sue parti. In realtà, la persona possiede un’unità ontologica che trascende qualunque concezione puramente algoritmica. Per questo motivo il termine «intelligenza artificiale» è un ossìmoro, e dobbiamo stare all’erta di fronte al declino intellettuale a cui una sempre maggiore dipendenza dalla macchina ci sta inavvertitamente avviando.
Ha poi preso la parola Eva Sala, vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e membro del Centro Studi Rosario Livatino. La Sala ha affrontato il tema del passaggio dai «diritti umani», posti a cardine della convivenza sociale e a tutela della dignità di ciascuno, alla nozione individualistica ed egoistica dei cosiddetti «nuovi diritti», prodotto della cultura liberal statunitense e già presente in nuce nella Carta di Nizza del 2000. Questi presunti diritti, tipicamente introdotti dalla giurisprudenza sfruttando un vuoto legislativo, sono spesso problematici perché reclamano per sé un valore incondizionato, che non tiene conto dei delicati equilibri che devono sussistere fra i diritti. Così, la loro introduzione porta paradossalmente a una tutela sempre minore soprattutto degli strati sociali più deboli, che si limitano di fatto a esprimere la volontà di chi detiene il potere.
L’intervento successivo, di Gabriele Fontana, di Alleanza Cattolica, ha toccato il tema dell’ambiente, o per meglio dire, della tutela del creato. Questo termine, così come «ecologia», se appropriatamente letto alla luce del Magistero, consente d’inquadrare nella giusta prospettiva il tema della cura dei beni della terra, di cui l’uomo non è padrone ma amministratore: né intruso, né «cancro del pianeta», come vorrebbe la visione pseudoreligiosa dell’ambientalismo estremo. Fontana, in riferimento al problema del cambiamento climatico, ha ribadito il doveroso scetticismo di fronte alle politiche «verdi» internazionali, che, spesso incuranti delle realtà locali e accompagnate da una narrativa incline a sorvolare sulla complessità del problema climatico, arrivano a proporre soluzioni di controllo socialistico dell’economia, sia con mezzi legislativi sia con misure meno dichiaratamente coercitive quali il famigerato «punteggio ESG» (environmental and social governance).
La sessione mattutina si è conclusa con l’intervento di Gian Carlo Blangiardo, già presidente dell’ISTAT, che ha affrontato il problema dell’«inverno demografico» in Italia. A fronte di proiezioni decisamente cupe, che a causa del drastico calo delle nascite prospettano un’Italia sempre più anziana, Blangiardo ha illustrato tre contromisure: il rilancio della natalità, una politica a favore dell’immigrazione e della non emigrazione, e la ridefinizione dei confini delle stagioni della vita, con particolare riferimento all’età pensionabile. Ancora più importante, tuttavia, è lavorare sul contesto culturale che spinge le persone a determinate scelte di (non) genitorialità.
I lavori sono ripresi nel pomeriggio con una tavola rotonda sul tema La fine dell’Occidente e la speranza per il futuro. Moderato da Paolo Lorenzo Gamba, lo scambio ha visto la partecipazione di Lorenzo Cantoni, professore all’Università della Svizzera italiana di Lugano, di Alleanza Cattolica; Lorenzo Castellani, editorialista e professore alla LUISS Guido Carli di Roma; Susanna Manzin, saggista e blogger, pure di Alleanza Cattolica; Mauro Paladini, professore presso la Scuola Superiore Sant’Anna «Vita e Famiglia»; e Luisa Capitanio Santolini, già parlamentare e presidente del Forum delle Associazioni Familiari.
Paladini ha rievocato il passaggio dalle università delle origini, autentiche comunità devote alla ricerca della verità, e perciò sostenute dalla Chiesa con la missione di «allontanare le nubi dell’ignoranza», al modello universitario moderno, volto invece alla formazione di buoni impiegati statali. I criteri stessi con cui le università vengono giudicate, per esempio il numero di laureati e di pubblicazioni, attestano il conseguente calo qualitativo di queste istituzioni, così come lo attesta la sempre maggiore tendenza alla didattica a distanza anche in situazioni non emergenziali. Nel far fronte a ciò, il cristiano deve dare testimonianza del Vangelo con la propria condotta anche nel contesto universitario, valorizzando particolarmente la comunanza con gli altri cristiani e le sempre più rarefatte associazioni cattoliche studentesche e di professori.
Castellani ha evidenziato come il rapporto tecnica-politica, discusso fin dai tempi del Leviatano di Thomas Hobbes (1588-1679), negli ultimi cinquant’anni si è fatto particolarmente stretto, dal momento che la crisi delle economie nazionali ha portato a un potere sempre più depoliticizzato e delegato a enti sovranazionali, non rappresentativi o addirittura non-politici, che sempre più necessitano dell’appoggio di grandi istituzioni tecnocratiche, nonché di una legittimazione «per risultato» anziché «per consenso». Fra i risultati di questo cambiamento vi sono il degrado del dibattito pubblico e una rinascita esplosiva di populismi, nazionalismi ed espressioni di identity politics. Una ricostruzione in chiave cristiana deve necessariamente tornare ad affermare il principio di sussidiarietà e il concetto di politica come foedus tra territori, memore del fatto che «il cristianesimo nasce in periferia».
Susanna Manzin ha quindi discusso l’importanza della convivialità nella cultura cristiana, partendo da un’esaltazione del refettorio come luogo di creazione di autentiche amicizie e, di conseguenza, di comunità. Creare ambienti belli e accoglienti è fondamentale nella missione di ricostruzione della cultura, perché il cristianesimo si trasmette «per attrazione». Perfino le persone di oggi, spesso così dubbiose o apertamente ostili a discorsi sul buono e sul vero, non restano indifferenti dinanzi al bello, e per questo motivo spetta a noi impegnarci per costruire «oasi di bellezza».
Cantoni ha motivato l’enorme attrattiva culturale di un Occidente che, per quanto in crisi, non smette di attirare ingenti flussi di turisti da ogni parte del mondo. Il turismo, ha spiegato, è «un antidoto al relativismo», perché porta a dirigersi verso un luogo preciso piuttosto che un altro. Ciò che muove è principalmente un desiderio culturale, nelle tre accezioni del verbo colo: «coltivare la terra» (agricoltura; si pensi all’immenso valore turistico e culturale dell’enogastronomia); «coltivare l’uomo», cioè sé stessi e le generazioni future (cultura, nella sua accezione più specifica); e «coltivare il rapporto con Dio» (culto; pensiamo ai pellegrinaggi, anche in senso lato). Non è però sufficiente lasciare che la gente incontri questa bellezza: bisogna anche motivarla, per permettere alle persone di conoscere non solo l’opera, ma anche il senso che ha mosso qualcuno a crearla.
Da ultimo, la Santolini ha parlato del ruolo insostituibile della famiglia nella costituzione della società, in quanto istituzione «connaturata all’uomo» e quindi antecedente il diritto, lo Stato e qualunque tentativo di ridefinirne il modello. Oggi, le famiglie italiane non hanno nessuno che dia loro questa consapevolezza, e la cultura del provvisorio sta soppiantando quel «per sempre» su cui la famiglia è fondata. Attaccata da ogni lato, la famiglia tuttavia sopravvivrà — afferma Santolini, definendosi «ottimista» in merito — proprio perché il matrimonio, nei suoi caratteri costitutivi di totalità, indissolubilità, apertura alla vita e reciproca fedeltà, è inscritto nella natura umana. Il nostro dovere è dimostrare nella sfera pubblica le stesse convinzioni che in quella privata, senza compromessi sui valori non negoziabili, e contribuire così anche noi, come il profeta Neemia, a «riedificare le mura di Gerusalemme» (Ne 5-6).
Il convegno si è concluso con gli interventi di Giovanni Orsina, politologo e professore di Storia Contemporanea alla LUISS Guido Carli di Roma, e Domenico Airoma, procuratore della Repubblica di Avellino e reggente nazionale vicario di Alleanza Cattolica.
Orsina, tracciando un profilo del percorso europeo a partire dagli anni 1960, ha rilevato come l’Occidente, nella sua ambizione colonizzatrice, abbia fatto di tutto per depurare i propri valori da ogni contenuto localistico, così da poterli trasmettere al resto del mondo in una versione più «universale». Tuttavia, ciò ha finito per rendere questi valori da un lato inappetibili alle culture non occidentali e, dall’altro lato, astratti, annacquati e irriconoscibili perfino all’Occidente. Di pari passo, l’Unione Europea, sebbene dapprima ancorata alle radici cristiane dell’Europa, si è progressivamente resa apripista di un universalismo globalista, che mira a unificare le diverse identità continentali in nome di una presunta garanzia di pace e di sicurezza. Il risultato è un Occidente privato del proprio contesto e, con esso, della propria moralità.
Orsina ha quindi spiegato come l’ordinamento dell’Unione, strutturalmente impervio a forti ribaltamenti politici, non subirà modifiche rilevanti in seguito alle elezioni nel prossimo mese di giugno. Tuttavia, un verosimile spostamento di baricentro verso destra potrà garantire una maggioranza capace di possibili veti, in grado, quindi, di arginare le iniziative progressiste estreme, per esempio in materia di ambientalismo o di etica. Orsina ha concluso definendo «incoraggianti», seppur di portata difficilmente valutabile, i segnali di risveglio che iniziano a percepirsi fra le popolazioni europee, sintomi a suo parere della «invivibilità antropologica» di un mondo basato solo su ideali astratti e disancorati dai contesti locali.
In chiusura, Airoma ha tirato le fila dei temi discussi, con un’esortazione a ricostruire il futuro a partire da «ciò che di eterno c’è nel passato». A questo proposito è necessario da un lato individuare i nemici della ricostruzione — sia esterni sia interni, senza trascurare il pericolo dei «falsi amici», che ritengono che l’unica soluzione rimasta sia l’«eutanasia» dell’Occidente — e dall’altro lato considerare gli strumenti che ci sono dati per portarla avanti: in primis la preghiera, come insegnano i santi; quindi l’azione, inclusa la disponibilità al sacrificio che, come affermato da Aleksandr Solženicyn (1918-2008), sembra così carente in Occidente; da ultimo, il buonumore, che ci sarà d’aiuto nell’accompagnare i popoli nel loro «grande ritorno» a Dio.
Tommaso Parolini