Claus P. Clausen, Cristianità n. 49 (1979)
Pubblichiamo una meditazione nata per la Germania federale, ma sostanzialmente adatta anche all’Italia. La traduciamo dal mensile cattolico tedesco Der Fels, anno X, n. 3, marzo 1979, p. 85, dove è comparsa con il titolo Holocaust 1995. Wir haben es alle gewusst, trascritta da Schwarzer Brief, 5/79.
“Corrispondenza fantapolitica” o “profezia” ?
Olocausto 1995. “Lo sapevamo tutti”
Dieci anni dopo la terza guerra mondiale, che scoppiò nell’agosto 1985, inizia di fronte alla corte costituzionale, nella capitale federale, a Berlino, il primo processo contro i responsabili del massacro dei non ancora nati, avvenuto negli anni Ottanta. Gli imputati principali sono i direttori di quindici istituti per l’aborto, della precedente Repubblica Federale, accanto a politici della coalizione di governo del tempo, a medici che avevano rilasciato i certificati di ricovero negli istituti per l’aborto, e a genitori.
L’accusa è presentata dal Consiglio degli Anziani del Partito Popolare Cristiano, che è al governo nel 1995. Il procuratore della Repubblica dà lettura dell’atto di accusa e fa presente che, dal 1979 al 1984, sono stati deliberatamente e sistematicamente massacrati nelle cliniche per l’aborto 2.543.784 bambini non ancora nati. Partecipano al processo duecento avvocati e cento periti nazionali e stranieri, e su di esso le stazioni televisive informano quotidianamente con trasmissioni speciali.
Poche settimane prima dell’inizio del processo la televisione cristiana aveva proiettato una trasmissione in cinque puntate: Olocausto. Tutta la popolazione tedesca aveva seguito questo documento televisivo con crescente emozione. Nelle famiglie e nelle scuole si discuteva continuamente e soltanto della questione relativa a come era potuto succedere che, grazie a una legge statale che garantiva la impunità dell’aborto, nella prassi fosse risultata una situazione di tacito diritto all’infanticidio.
Molti ragazzi, che professano la fede cristiana, abbandonano la casa paterna quando vengono a sapere che le loro madri e i loro padri avevano avuto parte in pratiche abortive.
Prima dell’inizio del processo associazioni giovanili cristiane sollecitano, con manifestazioni di massa, la condanna dei responsabili.
Invano gli avvocati tentano, nella prima fase del processo, di scaricare tutta la responsabilità sul governo federale del tempo e sui partiti che lo sostenevano, per avere creato la base legislativa per l’aborto. La corte mette in chiaro che del massacro non devono rispondere soltanto i politici, ma anche i genitori e i medici, che hanno, caso per caso, preso la decisione di uccidere.
Ai politici viene mosso il pesantissimo rimprovero di avere tollerato la istituzione di quindici cliniche per l’aborto e di non avere modificato le leggi.
Nella istruttoria sono documentati dettagliatamente i metodi praticati in questi istituti. Testimoni riferiscono che infermiere e medici spesso resistevano soltanto poche settimane o mesi in questi istituti e poi davano le dimissioni, perché non ne sopportavano più il peso psichico. I rappresentanti dell’accusa documentavano con elementi di prova anche il capo d’imputazione relativo alla omissione di soccorso.
Sulla base degli elementi acquisiti e delle deposizioni, si può dedurre che circa il tre per cento dei bambini abortiti era vitale, e che è morto solo dopo essere stato strappato dal grembo materno. Processi degli inizi degli anni Ottanta avevano già provato che in questi istituti non vi erano attrezzature mediche per assistere i bambini sopravvissuti.
Medici riconoscono nelle loro deposizioni che un numero non precisabile di bambini è vissuto ancora per ore dopo l’aborto, ed è poi morto nei recipienti per le immondizie degli istituti. Specialisti in embriologia umana, di fama mondiale, parlano per cinque giorni, davanti alla corte, delle fasi indiscusse dello sviluppo umano nel grembo materno. Queste conoscenze, affermano, erano note e anche generalmente ammesse già intorno al 1970. Ogni medico avrebbe potuto conoscere dalla stampa specialistica la confutazione della erronea tesi secondo cui l’uomo non ancora nato attraversa, nelle prime settimane, gli stadi di sviluppo dell’animale. Tra altri, viene citato anche il dr. prof. Blechschmidt della università di Gottinga, cultore internazionalmente riconosciuto di embriologia umana, il quale, molto prima dell’inizio del massacro, aveva provato in modo irrefutabile che l’uomo è già ed è sempre un essere umano a pieno titolo, nel suo carattere irripetibile, sino dal momento del concepimento.
Parte civile e testimoni si chiedono continuamente come mai un popolo intero abbia potuto assistere passivamente al sistematico sterminio di non ancora nati.
Medici e genitori si appellano, per difendersi, al fatto che, secondo la opinione generale dominante nella società del tempo, l’uomo incomincia a essere tale solo con la nascita. Si giunge a manifestazioni molto rumorose del pubblico quando donne sotto accusa esibiscono materiale informativo delle Chiese, del 1978. Ne emerge che i consultori ecclesiastici avevano indicato l’aborto come «estremo rimedio» in determinati casi.
Si presentano continuamente come testimoni anche ecclesiastici delle due Chiese. Nella 64ª udienza un sacerdote cattolico presenta alla corte un voluminoso incartamento relativo al caso di un ospedale cattolico e di un medico cattolico, che avevano mandato una associata alla Caritas ad abortire in Olanda.
Il sacerdote conclude la sua deposizione con una dura accusa contro la sua stessa Chiesa: «I nostri vescovi di allora erano dei gran vigliacchi, e io l’ho detto anche a voce alta!». È ormai ovvio che il ruolo delle Chiese e l’atteggiamento dei vescovi in quel periodo influiranno sostanzialmente sull’andamento del processo nelle settimane a venire.
Colpisce anche il fatto che molti testimoni fanno il paragone con il periodo nazional-socialista e il massacro degli ebrei. A differenza di tale Olocausto – così sottolinea il procuratore della Repubblica -, oggi nessuno potrebbe sostenere di non avere saputo niente di questa ecatombe di bambini: «Il fatto incomprensibile, in questo processo, è che, tra 1975 e il 1985, tutti i cittadini della Repubblica in grado di leggere, erano pienamente informati sul massacro in questi istituti».
Il processo continua.
CLAUS P. CLAUSEN