Con cinque proposte di legge (di seguito p.d.l.) presentate alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati nel corso del 2018 e del 2019 ha ripreso vigore il tentativo d’introdurre nel nostro ordinamento giuridico norme per sanzionare penalmente la cosiddetta «omofobia» o «omo/transfobia», recando modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o d’identità di genere.
L’ulteriore tentativo fa seguito ai precedenti, che non andarono a buon fine, con cui a più riprese e con diverse modalità si è tentato di far approvare norme di significato analogo a quelle oggi in discussione: l’ultima in ordine cronologico fu il cosiddetto «disegno di legge Scalfarotto» del 2013, dal nome del suo primo firmatario (il secondo era l’on. Zan, principale promotore dell’attuale proposta di legge). Le p.d.l. sono state unificate in un testo base, approvato dalla Commissione il 30 luglio 2020.
In tale contesto il Centro Studi Rosario Livatino (di seguito anche CSL) ha inteso predisporre uno strumento informativo, che offrisse argomenti ed elementi di valutazione sul tema. Il CSL, costituitosi nel 2015, è formato da un gruppo di giuristi — magistrati, avvocati, docenti universitari, notai — che, traendo esempio dal magistrato agrigentino ucciso da mano mafiosa nel 1990, del quale è in corso il processo di beatificazione, studia temi riguardanti in prevalenza il diritto alla vita, la famiglia, la libertà religiosa e i limiti della giurisdizione in un quadro di equilibrio istituzionale.
L’opera, disponibile in versione cartacea e come ebook dal 15 luglio 2020, è stato presentato con un evento di rilievo che ha visto un’ampia partecipazione di numerose realtà organizzate esistenti nel Paese (1).
La pubblicazione ha l’impostazione e il taglio dell’istant book e come tale è focalizzato sulle p.d.l. in esame: alcuni dei testi che lo compongono costituiscono il frutto delle audizioni svolte e/o dei contributi scritti presentati alla Commissione Giustizia da esponenti del CSL coautori del testo.
1. I contenuti delle nuove norme proposte
Il volume si apre con la presentazione sinottica, curata dall’avvocato Francesco Farri (pp. 9-16), dei contenuti delle p.d.l. depositate, sul tema definibile, sinteticamente, del contrasto alla «omo/transfobia», mettendo in luce sia il nucleo sostanzialmente unitario che le caratterizza, sia le previsioni di contorno — non per questo meno importanti — presenti in alcune di esse.
L’opera ha lo scopo di «presentare con sguardo laico e non confessionale una tematica che sta assumendo un rilievo centrale nel dibattito non solo politico del nostro Paese; fornire uno strumento di riflessione sugli scenari operativi che si presentano dinanzi a tutti coloro che guardano con fondata preoccupazione all’eventuale approvazione di queste proposte» (p. 15).
Quanto al bene giuridico che si vorrebbe tutelare con le nuove norme, Farri evidenzia che resta non precisamente individuato e individuabile l’oggetto della condotta illecita che farebbe scattare l’applicazione della nuova sanzione penale, con il rischio evidente di affidarne la definizione alla diversa e mutevole interpretazione dei diversi giudici che si troverebbero ad applicare le nuove norme; e ciò in contrasto con uno dei princìpi cardine del nostro sistema penale, con conseguenti profili di evidente incostituzionalità.
2. L’ulteriore tassello di una Rivoluzione antropologica
Sotto il titolo La legge sull’omofobia: l’olio di ricino della “dittatura del relativismo”?(pp. 17-26), il contributo di Domenico Airoma, procuratore della Repubblica aggiunto del Tribunale di Napoli Nord e vicepresidente del CSL, aiuta a comprendere il substrato culturale e antropologico di cui la richiesta di regolamentazione giuridica è l’espressione.
Innanzitutto, indaga le origini e lo sviluppo della tematica che riguarda le persone non eterosessuali, inizialmente «omossessuali», poi sempre più estesa nella sua fluida configurazione fino a quella individuata, probabilmente in modo non definitivo, con l’acronimo LGBT, lesbiche (L), gay (G), bisessuali (B), transgender (T); una tematica che nel giro di qualche decennio ha progressivamente mutato il suo centro qualificante, passando dalla iniziale invocazione della non discriminazione, alla rivendicazione del riconoscimento di nuovi diritti e poi alla attuale pretesa di essere riconosciuta come unica opzione culturale accettabile, con contestuale squalificazione di una diversa visione antropologica che riconosce l’esistenza, naturalmente fondata, di un’oggettiva differenza e complementarietà fra le persone di sesso diverso.
In secondo luogo, ne individua i tratti essenziali come quelli di una vera e propria ideologia, esito di una rivoluzione antropologica. Attraverso la metamorfosi dell’uso del termine omofob* — «più che una parola, un’arma» (p. 19) — il percorso vede la lenta emersione del neologismo che, dall’iniziale uso per socializzare le conquiste della rivoluzione culturale del Sessantotto, diventa strumento di battaglia politica, in coincidenza con la svolta istituzionale dell’associazionismo «gay» che strategicamente trova un valido alleato «con quella sinistra, nata dalle ceneri del Partito Comunista Italiano, che viene assumendo sempre più i caratteri di un partito radicale di massa, espressione politica del relativismo culturale» (p. 20). E si giunge fino alla più recente frontiera del tentativo di imporre la teoria gender come visione univoca della persona, ma in realtà in una prospettiva molto più ampia e «[…] di respiro universale: una vera e propria opera di nuova civilizzazione che si fonda sull’idea dell’assenza di qualsivoglia limite e che mira a superare l’uomo così come uscito dalle mani di Dio», nella quale «l’incriminazione serve, dunque, per un verso a consolidare le conquiste già raggiunte e, per altro, a porre le condizioni per una profilassi preventiva e per un’incisiva azione rieducativa nei confronti di soggetti socialmente impresentabili ed eticamente biasimevoli» (p. 24).
3. I «reati d’odio»: problemi giuridici e sociali
Nel suo intervento su I «reati d’odio» contro il diritto penale del fatto e il criterio di eguaglianza (pp. 27-37) l’avvocato Mauro Ronco — professore emerito di Diritto Penale nell’Università di Padova, presidente del CSL, già componente laico del Consiglio Superiore della Magistratura — sgombra subito il campo da un argomento inconsistente, cioè la presunta necessità delle nuove norme e, dunque, l’(inesistente) obbligo per lo Stato italiano di dare risposta in tal senso a una richiesta di carattere sovranazionale.
Le p.d.l. intendono estendere le norme esistenti nel nostro codice penale sui «reati d’odio» (art. 604-bis), e relative aggravanti (art. 604-ter), alla discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. Tuttavia, l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico di tali norme sorse «[…] dall’esigenza di contrastare le discriminazioni razziali, per le quali era intervenuto il vincolo sovranazionale di cui alla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966. Alle discriminazioni razziali sono state assimilate, per ragioni di stretta analogia, le discriminazioni su basi etniche, nazionali e religiose. Eventuali discriminazioni in relazione ai profili dell’orientamento sessuale sono rimaste estranee all’obbligo di incriminazione» (pp. 27-28).
Nel merito, attraverso un confronto con le disposizioni che vertono sulla stessa materia contenute nel codice penale tedesco, analoghe ma diversamente strutturate, Ronco evidenzia le forti criticità che già caratterizzano una disciplina giuridica sanzionatoria dei «reati d’odio», sia in linea di principio sia specificamente quella contenuta nel codice penale italiano vigente.
«Il reato del codice italiano, certamente nella struttura della lett. a), è un mero reato d’opinione basato sul presunto movente d’odio. In quanto completamente disancorato dal fatto, cioè da un evento di danno provocato da un comportamento volontario, esso trova fondamento nella disposizione interiore di un soggetto; disposizione interiore indiscernibile da parte di un osservatore esterno. Si tratta di un reato costruito senza una idonea base empirica accertabile dal giudice: “ti punisco perché ti attribuisco una malvagia disposizione d’animo, l’odio appunto”.
«L’eventuale estensione del reato d’odio alla manifestazione di idee per motivi di orientamento sessuale o di identità di genere segnerebbe il passaggio abnorme del diritto penale verso un modello che punisce la manifestazione di idee per correggere gli individui in ordine alla loro disposizione interiore.
«Non v’è alcuna base empirica per distinguere tra giudizi espressi sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere per ragioni d’odio, da un lato, ovvero, da un altro lato, per ragioni religiose, metafisiche, etiche e sociali. Qui emerge tutta l’assurdità della creazione di un reato basato sui motivi d’odio. Chi esprime opinioni critiche sulla tendenza omosessuale per ragioni metafisiche o sugli atti omosessuali per ragioni etiche, psicologiche, mediche o sociali, non per ciò è indotto a tali critiche per ragioni d’odio. Anzi, il più delle volte, il motivo per cui esprime tali opinioni risiede in ragioni del tutto contrarie allo stato interiore dell’odio» (pp. 29-30).
Di particolare efficacia è la parte del contributo di Ronco dedicata alla «criminalizzazione del diverso» (p. 31), che conduce il lettore, in una linea di semplice ragionamento, a riconoscere l’essenza della erroneità di un sistema penale impostato sui reati d’odio, e in particolare di quelli ascrivibili alla cosiddetta «omofobia» e alle gravi conseguenze a cui può condurre la sua introduzione nell’ordinamento giuridico sia per le singole persone, sia per la società nel suo insieme, il cui grado di effettiva democraticità risulterebbe fortemente messo in discussione.
4. Una legge inutile, ma non innocua; anzi «liberticida»
Proviamo a immaginare di dover subire un intervento medico chirurgico di cui sia nota l’assoluta inutilità e anche la pericolosità: è l’immagine efficace che utilizza Mantovano, consigliere alla Corte di Cassazione e vicepresidente del CSL, nonché curatore dell’opera — nel capitolo intitolato Legge anti omo/transfobia. Cui prodest? (pp. 39-54) — per far percepire il livello della questione.
«[…] la corretta fisiologia dell’ordinamento giuridico dovrebbe […] essere sempre preceduta da una risposta ragionevole al quesito: quanta effettiva necessità vi è di un nuovo precetto e della correlata sanzione?» (p. 39).
Il quesito fa riferimento all’affermazione, reiterata dai sostenitori delle nuove norme, secondo cui di esse vi sarebbe necessità e urgenza sia per contrastare un fenomeno negativo quantitativamente rilevante, sia per colmare un vuoto legislativo che attualmente non consentirebbe di farvi fronte in modo adeguato. Un assunto indimostrato e privo di fondamento, come emerge dai dati sulla reale consistenza del fenomeno, di cui il contributo di Mantovano è efficace guida alla lettura e comprensione.
I dati sono quelli forniti dall’Oscad, l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, istituito dal Ministero dell’Interno nell’ambito del Dipartimento di pubblica sicurezza. Essi mostrano che «[…] in otto anni l’insieme di presunte — è lecito adoperare questo aggettivo, poiché il riferimento è, lo si ripete, a segnalazioni e non a condanne definitive — condotte illecite con intenti di discriminazioni per ragioni di orientamento sessuale o di identità di genere sono 212: 26.5 segnalazioni all’anno» (p. 46), cioè un fenomeno di scarsa consistenza, che non giustifica l’urgenza di appesantire il sistema normativo con nuove sanzioni penali, per di più da applicare a situazioni dai contorni indefiniti e interpretabili, con evidente alto tasso di pericolosità per la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali di tutti.
Pochi casi e già adeguatamente presidiati dalle numerose norme penali esistenti, che sono espressione di un sistema improntato «a tutela di qualsiasi tipo di offesa alla persona — quale che sia il suo orientamento sessuale» (p. 41). Inoltre, anche qualora gli eventuali comportamenti illeciti avvenissero a motivo dell’orientamento sessuale della persona offesa, il sistema penale già prevede le possibili fattispecie aggravanti, che il giudice potrà applicare se ne ricorressero i presupposti.
Il che sfata anche il secondo «mito», quello dell’ordinamento giuridico italiano asseritamente lacunoso sul fronte delle norme sanzionatorie di condotte illecite e come tale carente nel regolare situazioni meritevoli di tutela per un’adeguata protezione della persona.
Conseguentemente, spiega Mantovano, l’eventuale aggiunta di ulteriori norme sanzionatorie risulterebbe non solo superfluo, ma anche discriminatorio nei confronti delle persone eterosessuali — o comunque il cui orientamento sessuale non sia emerso nella vicenda oggetto di giudizio — offese dai medesimi comportamenti illeciti, le quali resterebbero tutelate dalle norme generali sopra richiamate, ma non anche da ulteriori norme specifiche. Come dire: individuare una categoria di persone (peraltro, di difficile, o forse impossibile definizione, in quanto derivante da valutazioni individuali meramente soggettive e mutevoli da parte di chi dichiara di appartenervi) a cui riconoscere una specifica protezione aggiuntiva, genererebbe inevitabilmente una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti di tutti coloro che invece in tale categoria non si riconoscono, con violazione anche del principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.
Il contributo di Mantovano tocca inoltre un punto assolutamente centrale, che appare essere il cuore del problema, consistente nell’effetto che concretamente risulta più probabile che si possa produrre a seguito dell’eventuale approvazione delle nuove norme. Si tratta della condizione di paura che la persona potrebbe assumere, anzitutto sul piano psicologico, e conseguentemente dell’orientamento della propria condotta: temendo che forse la manifestazione di un proprio pensiero possa incappare nella censura di affermazione ingiustamente discriminatoria per motivi di orientamento sessuale o di identità di genere, o comunque, nel timore di poter subire un’incriminazione in tal senso e conseguentemente di potersi trovare ad affrontare un processo per dimostrare la propria innocenza, la persona facilmente si asterrebbe dall’esprimere ciò che ritiene vero e giusto.
Gli effetti «liberticidi» di norme sanzionatorie a sostegno di un pensiero dominante che va a caccia di comportamenti «omofobi» sono esposti da Mantovano anche con il richiamo all’esperienza di altri Stati, mediante l’esposizione di tre casi, verificatisi in Spagna, Francia e Canada.
5. Un equilibrio da recuperare, non da compromettere ulteriormente
I due problemi, fra loro inscindibilmente connessi: (a) della indeterminatezza della fattispecie a cui si vogliono collegare le nuove norme sanzionatorie, con conseguente violazione del principio di legalità ex art. 25, comma 2, della Costituione, e (b) della non aderenza all’impianto del «diritto penale del fatto», che invece deve restare a fondamento dell’intero sistema, vengono approfonditi dall’avvocato Carmelo Leotta, professore associato di Diritto penale nell’Università degli Studi Europea di Roma, nel contributo L’estensione ai c.d. reati di omo/trans fobia dell’art. 604 bis cod. pen.: perché si pone in contrasto con principi fondamentali dell’ordinamento penale (pp. 55-68).
«Le gravi criticità suesposte rispetto ad un diritto penale ispirato a criteri di garanzia sono altresì acuite se si considerano le tensioni che le varie p.d.l. innescano con il requisito di sufficiente determinatezza della norma incriminatrice […]. A tal proposito rimane insuperato l’insegnamento offerto della Corte costituzionale con la sentenza n. 96 del 1981 che dichiarò l’incostituzionalità dell’art. 603 cod. pen. In quell’occasione, il giudice delle leggi affermò che compito della legge penale è “determinare la fattispecie criminosa con connotati precisi in modo che l’interprete, nel ricondurre un’ipotesi concreta alla norma di legge, possa esprimere un giudizio di corrispondenza sorretto da fondamento controllabile. Tale onere richiede una descrizione intellegibile della fattispecie astratta, sia pure attraverso l’impiego di espressioni indicative o di valore e risulta soddisfatto fintantoché nelle norme penali vi sia riferimento a fenomeni la cui possibilità di realizzarsi sia stata accertata in base a criteri che allo stato delle attuali conoscenze appaiano verificabili. […] E pertanto nella dizione dell’art. 25 [della Costituzione] che impone espressamente al legislatore di formulare norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dell’intelligibilità dei termini impiegati, deve logicamente ritenersi anche implicito l’onere di formulare ipotesi che esprimano fattispecie corrispondenti alla realtà”» (pp. 62-63).
Sul piano sanzionatorio, nota opportunamente Leotta, l’eventuale estensione delle previsioni degli articoli 604 bis e 604 ter del codice penale anche ai reati di «omo/transfobia», in caso di condanna, comporterebbe l’applicazione, oltre che delle gravi pene «principali» (reclusione, multa), anche delle pene «accessorie», che — sebbene in linea generale risultano oggettivamente di minor impatto rispetto alle prime —, immaginandole applicate alla persona riconosciuta colpevole per aver commesso un reato di opinione, mostrano ulteriormente l’incongruenza e il carattere oppressivo del sistema che ne deriverebbe: «a) obbligo di prestare un’attività non retribuita a favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità […]; b) obbligo di rientrare nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora entro un’ora determinata e di non uscirne prima di altra ora prefissata, per un periodo non superiore ad un anno; c) sospensione della patente di guida, del passaporto e di documenti di identificazione validi per l’espatrio per un periodo non superiore ad un anno, nonché divieto di detenzione di armi proprie di ogni genere; d) divieto di partecipare, in qualsiasi forma, ad attività di propaganda elettorale per le elezioni politiche o amministrative successive alla condanna, e comunque per un periodo non inferiore a tre anni» (p. 67). Stante le criticità che caratterizzano le norme vigenti sui cosiddetti «reati d’odio», la vera esigenza «[…] non è oggi quella di estendere la portata applicativa degli artt. 604 bis e 604 ter cod. pen., ma quella di riportarla in equilibrio con il principio irrinunciabile del diritto penale del fatto, intervenendo in senso restrittivo e non estensivo della punibilità» (p. 62).
6. L’esperienza estera insegna
Il contributo dell’avvocato Francesco Cavallo, dottore di ricerca in Diritto Costituzionale Comparato all’Università del Salento, s’intitola Scudi, no spade. Dall’esperienza USA qualche monito per il legislatore italiano (pp. 69-99) e presenta l’esperienza statunitense sul tema, facendo ricorso a una ricca casistica e alle relative vicende giudiziarie.
Negli Stati Uniti è diffusa l’opinione che gli interventi in tema di «omofobia» non debbano comprimere i diritti fondamentali delle altre persone: «[…] non è del tutto assente — come invece sembra in altri contesti occidentali — la convinzione per cui aiutare taluni a soddisfare i propri eventuali bisogni (ove effettivamente presenti) non debba comportare ipso facto et iure la compressione (non di bisogni ma) di diritti altrui. Si riscontra, dunque, la consapevolezza per cui, quand’anche fosse necessaria una politica legislativa che protegga taluni cittadini da condotte che ostacolano la loro piena partecipazione alla società civile, questi interventi dovrebbero metaforicamente avere il carattere di scudi piuttosto che di spade» (pp. 70-71).
La distinzione tra norme finalizzate a tutelare i diritti fondamentali di tutte le persone («scudi») e norme invece utilizzate come strumento di un sistema in cui la tutela di alcuni si realizzerebbe imponendo ad altri di tenere una condotta contraria alle proprie convinzioni («spade») — con conseguente violazione dei diritti fondamentali di questi — è anche alla base di «parallelismi impropri» (p. 89), che talvolta vengono fatti accomunando i divieti di discriminazione per la tutela della libertà religiosa e quelli di discriminazione a motivo dell’orientamento sessuale, su cui Cavallo aiuta a fare chiarezza.
In un’ottica di effettiva equità non risulterebbe praticabile la ricerca di una sorta di compromesso in cui — all’interno di un impianto legislativo finalizzato a riconoscere solo ad alcune persone particolari nuovi diritti giuridicamente azionabili — si introducesse qualche sorta di «correttivo» teso a mitigarne gli effetti, prevedendo specifiche esenzioni e protezioni circoscritte ad esempio a favore di chi invoca la non punibilità della propria condotta a motivo del proprio credo religioso, in via di eccezione rispetto all’applicazione generalizzata del precetto sanzionatorio.
Sarebbe un’impostazione palesemente iniqua per vari motivi. Anzitutto perché, se una normativa per poter essere ritenuta accettabile deve contenere già dalla sua prima formulazione un correttivo a sé stessa, l’intero impianto su cui si regge ha un vizio d’origine; altrimenti non occorrerebbe «riequilibrarla» fin dalla sua nascita.
In secondo luogo, perché sarebbe comunque lesiva del principio di uguaglianza, stante che — in una materia controversa su cui si confrontano più posizioni — verrebbe accordato per legge e in via generalizzata il privilegio della «correttezza» solo ad una fra le posizioni in campo, sotto pena di sanzione penale per chi non si adegui.
Infine, perché la possibilità di sostenere un’eventuale posizione differente senza incorrere nella sanzione verrebbe individuata dalla medesima norma — ossia selezionata dal legislatore — che, nel tollerare l’eccezione, opererebbe a priori la scelta su quale differente posizione meriterebbe di essere riconosciuta come lecita e a quali condizioni.
Conclude Cavallo: «Ciò che nel bene e nel male è accaduto e sta accadendo nell’ordinamento americano — dove, nonostante i principi costituzionali invochino l’attivazione di scudi di protezione, si è armata di spade una parte del corpo sociale contro l’altra — deve mettere in guardia il legislatore italiano. Normative come quelle che si vorrebbero introdurre determinano gravi conseguenze sui diritti fondamentali, ma pure sul sistema educativo, su quello sanitario, nel mondo del lavoro autonomo e in quello dipendente, nelle arti e nelle professioni, minando il senso comune di una nazione e rivelandosi fonte di tensioni sociali piuttosto che di unità» (p. 99).
7. Per non omologarsi al pensiero «unico» e «politicamente corretto», ravvivare le ragioni di un confronto antropologicamente fondato
Per i motivi ampiamente esposti il bene che viene posto maggiormente a rischio dalla proposta di legge in discussione è quello della mortificazione di un valore primario per la persona, la sua libertà di esprimersi.
Sul tema si focalizza il contributo dell’avvocato Roberto Respinti, consulente aziendale giuslavorista e dottore di ricerca in Diritto Costituzionale, che — nel capitolo su La libertà di manifestazione del pensiero fra «pensiero unico» e «politicamente corretto» (pp. 101-118) — dopo avere effettuato una ricognizione sull’ampio riconoscimento e sulla tutela della libertà di manifestazione del pensiero nella vigente disciplina internazionale, comunitaria e costituzionale italiana, ne indica i possibili limiti nel confronto con altre libertà nel nostro ordinamento giuridico.
Ora, il testo in discussione, che per inseguire una presunta necessità di reprimere discriminazioni a motivo dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere di alcuni, finisce per sacrificare la libertà di tutti di esprimere il proprio pensiero, sembra essere l’esito di un approccio ascrivibile al cosiddetto pensiero «politicamente corretto» (2), che rischia di manifestarsi anche nella sua espressione del «giuridicamente corretto», sostenuto dal «giudizialmente arbitrario» (p. 108).
«I desideri diventano pretese, e “pretendono” di vestirsi da diritti. Se questo avviene sorgono dei correlati doveri a carico di qualcuno, di solito mediante l’iniziale opera “creatrice” di qualche giudice che se ne auto attribuisce il ruolo, partendo dal presupposto che ci sarebbe un’esigenza da soddisfare, un vuoto normativo, e quindi che l’ordinamento giuridico italiano sarebbe lacunoso, e in ritardo rispetto ad altri Paesi: dando per acquisito l’assunto secondo il quale ciò che avviene all’estero sia sempre meglio di quanto avviene in Italia» (p. 109).
Lo ha ricordato Papa Francesco nell’udienza al Centro Studi Rosario Livatino del 29 novembre 2019, parlando di una «giurisprudenza che si autodefinisce “creativa”», di sentenze che «inventano un “diritto di morire” privo di qualsiasi fondamento giuridico», di «sconfinamento del giudice in ambiti non propri, soprattutto nelle materie dei cosiddetti ’nuovi diritti’, con sentenze che sembrano preoccupate di esaudire desideri sempre nuovi, disancorati da ogni limite oggettivo» (3).
In tale contesto, sul piano operativo Respinti propone alcuni criteri-guida sia per il legislatore chiamato a valutare l’opportunità, e l’eventuale configurazione, di un eventuale intervento normativo in materia, sia per tutti coloro che, in tal caso, dal giorno della loro entrata in vigore si troverebbero, inevitabilmente, a dover fare i conti con le nuove norme. Ma, a fronte della possibilità che un giorno le p.d.l. in esame, o analoghe, vengano approvate, ricorre il noto interrogativo: «che fare?». A questo sono dedicate le parti del contributo di Respinti che invita a «non perdere le ragioni di un confronto antropologicamente fondato» (p. 111).
All’interno di questo orizzonte, anche nell’ipotesi che le p.d.l. in discussione venissero approvate, «siamo certi — per concludere con Airoma— che incontrerà la resistenza culturale di uomini dalla schiena dritta e dal cuore grande. Uomini verticali: nonostante la minaccia dello stigma; nonostante il rischio di essere definiti omofobi per legge» e «di essere dichiarati colpevoli per non aver commesso il fatto. Uomini consapevoli che la menzogna, come l’olio di ricino, prima o poi, si ritorce contro chi ne fa uso» (p. 26).
Note:
1) Cfr. la cronaca dell’evento in questo stesso numero (p. 88 dell’edizione cartacea).
2) Cfr. Eugenio Capozzi, Politicamente corretto. Storia di un’ideologia, Marsilio, Venezia 2018.
3) Francesco, Udienza ai membri del Centro Studi Rosario Livatino, del 29-11-2019.