Marco Invernizzi, Cristianità n. 411 (2021)
Relazione, rivista e annotata, al convegno Per la maggior gloria di Dio, anche sociale. In memoria di Giovanni Cantoni (1938-2020), organizzato il 25-9-2021 a Piacenza, nella Sala di Palazzo Galli, da Alleanza Cattolica, da Cristianità e dall’IDIS, l’Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale.
Per comprendere il senso del titolo del mio intervento e delle parole che lo definiscono — «operai», «restaurazione», «apostolato culturale», parole spesso usate da Giovanni Cantoni (1938-2020) — è necessario partire dal secondo dopoguerra, quando la situazione generale dell’Italia sembrava bloccata in tutti gli aspetti della vita comunitaria.
La rinascita religiosa successiva alla guerra e alla guerra civile in particolare sembrò fermarsi di fronte al dilagare del consumismo, che all’inizio era comprensibile e giustificato perché favoriva la rinascita civile ed economica del Paese, ma poi con il passare degli anni era divenuto fine a sé stesso, cominciando a incidere sul costume e ad allontanare dalla fede.
Cominciò così a crescere la secolarizzazione del modo di pensare e di vivere, mentre la situazione politica rimaneva bloccata, con un forte Partito Comunista (PCI) che non poteva accedere al governo in seguito alla divisione dei blocchi fra gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica (URSS) stabilita dagli accordi di Yalta del 1945. Proprio il PCI capì meglio di altre forze politiche che in Italia ogni possibile cambiamento sarebbe potuto avvenire solo partendo dal basso, dalle persone, dai gruppi di base, dai governi locali, in sostanza dalla cultura, secondo la lezione di un importante comunista, Antonio Gramsci (1891-1937), poco sostenuto dai suoi compagni in vita ma molto valorizzato dopo la morte.
Da qui il cosiddetto «partito nuovo» di Palmiro Togliatti (1893-1964) che tanto investì sulla cultura e sulla buona amministrazione nelle città e nei paesi dove i comunisti erano al potere (1).
Il PCI capì ma, come spesso avviene nella storia, non riuscì a diventare il principale protagonista del cambiamento culturale, portato avanti invece da una minoranza che non ebbe mai un ruolo politico importante, ma seppe mettere uomini molto preparati in ruoli chiave delle università, delle case editrici, dei giornali, della magistratura. Fu così che si venne a costituire quella «catena culturale» descritta da Augusto Del Noce (2) che partì dal Partito d’Azione (3) — anima del CLN, il Comitato di Liberazione Nazionale — e che diede vita successivamente al movimento-partito radicale, uno dei principali artefici, anche se non l’unico, del processo di scristianizzazione del Paese.
Giovanni Cantoni ebbe sempre una attenzione particolare al PCI e anche da questa attenzione credo si possa dire derivasse l’importanza decisiva che attribuiva alla cultura nella nascita e negli sviluppi di Alleanza Cattolica. Cultura per Cantoni era tutto ciò che stava sulla soglia della fede — il sagrato delle chiese era una delle sue felici e sintetiche metafore — e che permetteva a quest’ultima di radicarsi nella storia.
E, per storia, egli intendeva certamente l’incarnazione della fede nelle culture storiche delle nazioni, quel principio così tanto presente nel Magistero di san Paolo VI (1963-1978) (4) e in particolare di san Giovanni Paolo II (1978-2005) (5). Quest’ultimo auspicava una fede che entrasse e cambiasse la vita dei singoli e dei popoli che la professavano, senza avere paura di mischiarsi con l’umano — paura da cui nasce l’errore della separazione laicista — e senza avere la pretesa — da cui l’errore del fondamentalismo — di costruire in terra quella Gerusalemme celeste che appunto si realizzerà soltanto in Cielo.
Ma quale fu il punto di partenza specifico di Alleanza Cattolica?
Da molto tempo non esisteva in Italia una realtà associativa che si richiamasse esplicitamente a quell’insieme di persone e di valori, una vera e propria scuola, la scuola contro-rivoluzionaria, nata in occasione della Rivoluzione del 1789.
La Rivoluzione francese viene infatti considerata dalla scuola contro-rivoluzionaria come un evento epocale che necessita di una risposta altrettanto epocale, capace di far sorgere nel cuore degli uomini il desiderio di una società veramente «altra» rispetto a quella che si era venuta delineando nel corso del secolo XIX e poi nel XX, con l’avvento delle ideologie di massa, il fascismo, il socialcomunismo e il nazionalsocialismo.
Nasceva così negli Anni Sessanta, a Piacenza, nella chiesa che ospitava la confraternita di San Giorgino, il primo nucleo di quella che sarà Alleanza Cattolica, cioè una realtà che in qualche modo voleva esplicitamente collegarsi a quella scuola contro-rivoluzionaria cui ho accennato. Significativo sarà il primo gesto, la pubblicazione degli articoli usciti su La Civiltà Cattolica a proposito del Risorgimento — quell’evento che possiamo in qualche modo definire come il 1789 italiano — del gesuita Luigi Taparelli d’Azeglio (1793-1862). Perché significativo? Perché padre Taparelli non era un «austriacante» (con tutto il rispetto per coloro che lo sono) e neppure un nemico delle costituzioni in quanto tali, cioè non disprezzava minimamente il valore della libertà e delle libertà concrete che stavano scomparendo spesso in nome di una libertà astratta e ideologica. Semplicemente, Taparelli capiva che la libertà, così come la nazionalità, erano diventate degli idoli, secondo lo stile delle ideologie moderne. Bisognava allora combattere queste ideologie e Alleanza Cattolica fece quello che aveva già fatto padre Taparelli.
Di fronte a Napoleone Bonaparte (1769-1821), che portò in Italia manu militari le idee del 1789, si manifestarono i primi fenomeni italiani riconducibili alla Contro-Rivoluzione, cioè le Insorgenze popolari, che Cantoni descrisse fra i primi mostrandone l’eroismo e l’importanza nella storia italiana (6). Ma poi vi furono il Risorgimento liberale e l’Unità, contro i quali, sulla scia, almeno in spirito, delle Insorgenze, sorse e si organizzò un movimento cattolico che per decenni rappresenterà il Paese reale opposto a quello legale, che aveva il potere ma non il consenso: Alleanza Cattolica intese situarsi in continuità con tale sforzo di resistenza e di rinnovamento (7).
Negli Anni Sessanta nasceva così una sorta di ibrido, né partito politico né gruppo di preghiera e neppure accademia. Dobbiamo formare dei «maestri elementari», diceva spesso Cantoni, cioè degli uomini che conoscano e trasmettano anzitutto i fondamentali, condizione perché qualcuno diventi uno specialista.
Questo ibrido cominciò a operare in Italia rivolgendo a tutti, e senza preclusioni, il proprio impegno apostolico. Tuttavia, nel clima ideologico del tempo, incontrò una risposta favorevole soprattutto negli ambienti della destra giovanile. Molti di questi giovani ritrovarono la fede dell’infanzia e la liberarono dalle pastoie ideologiche che la avevano messa in secondo piano o più spesso azzerata nella vita quotidiana.
Dopo la fede, univa questi giovani proprio la cultura, intesa però non come uno sterile esercizio intellettualistico — Cantoni metterà sempre in guardia contro questo rischio — ma come un modo di incarnare la fede nel proprio tempo, perché il mondo cambiasse e la modernità, che aveva voltato le spalle alle radici cristiane della civiltà occidentale, ricominciasse a procedere verso una Cristianità nuova, proprio ripartendo da dove si era creato quel punto di rottura.
Che cosa intendesse per cultura, Cantoni lo scriverà molti anni dopo, riprendendo un’idea portante del Magistero di san Giovanni Paolo II: «la cultura non riguarda solo gli uomini di scienza, così come non deve rinchiudersi nei musei. Essa è, direi quasi, la dimora abituale dell’uomo, ciò che caratterizza tutto il suo comportamento e il suo modo di vivere, persino di abitare e di vestirsi, ciò ch’egli trova bello, il suo modo di concepire la vita e la morte, l’amore, la famiglia e l’impegno, la natura, la sua stessa esistenza, la vita associata degli uomini, nonché Dio» (8).
Questa cultura però aveva bisogno di una forma all’interno della quale esprimersi e svilupparsi.
Questa forma, che si chiamerà Alleanza Cattolica a partire dal 1967, all’Università Cattolica, non voleva essere un partito politico, ma si occupava di politica senza partecipare alla competizione elettorale, salvo eccezioni. Cantoni diceva, scherzando, che quando vi erano le elezioni noi andavamo in vacanza, anche se in realtà partecipavamo sempre con un messaggio valoriale, che prescindeva dagli interessi partitici e soprattutto cercava di evitare il più possibile i conflitti personali fra singoli candidati dello stesso partito o della stessa coalizione.
Non era neanche un gruppo di preghiera, eppure invitava alla preghiera, costante e metodica, in particolare alla recita del Rosario e all’adrazione eucaristica, oltre che alla pratica degli esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556).
Ma oltre alla cultura vi erano altri aspetti ineliminabili e fondamentali, che caratterizzavano l’associazione.
La laicità
Alleanza Cattolica nasce come associazione laicale fondata da laici, anche se diversi sacerdoti e religiosi collaborarono dando il loro contributo spirituale, sacramentale e a volte anche culturale. Questa realtà non era il frutto di una scelta, ma un dato di fatto. E a questo fatto fummo sempre affezionati, soprattutto nell’epoca del post-Concilio, nella quale nacquero appunto tanti movimenti laicali nei quali però i sacerdoti avevano un ruolo decisivo. Scopo del laicato è la santificazione personale attraverso l’animazione cristiana dell’ordine temporale, in sintesi la consecratio mundi, celebre espressione del venerabile Pio XII (1939-1958) e poi di san Paolo VI, che oggi molti teologi non approverebbero, ma che in realtà è semplicemente il fine della dottrina sociale della Chiesa (9). Ma se laicale era lo scopo dell’associazione, appunto l’animazione cristiana dell’ordine temporale, ciò non significava che il clero fosse assente dall’apostolato associativo. Anzi, diversi sacerdoti accompagnarono e continuano ad accompagnare con benevolenza e con un contributo importante la vita di Alleanza Cattolica, a cominciare dal fratello del fondatore, don Piero Cantoni, e di altri che divennero sacerdoti maturando la loro vocazione anche attraverso il percorso formativo proposto dall’associazione.
La dottrina sociale della Chiesa
Un modo specifico di incarnare la fede attraverso la cultura fu fin dall’inizio lo studio e la diffusione della dottrina sociale, che divenne un tratto specifico di Alleanza Cattolica, grazie anche alla conoscenza profonda che Cantoni aveva del Magistero sociale (10). Negli Anni Settanta non era facile parlare di dottrina sociale così come essere anticomunisti, perché il mondo sembrava in attesa di una nuova redenzione che solo il marxismo avrebbe potuto garantire. Anche buona parte del mondo cattolico sembrava subire il fascino di questa attesa, alcuni auspicandola e i più semplicemente ritenendola ineluttabile. La dottrina sociale veniva osteggiata nella Chiesa perché rappresentava un’alternativa irriducibile alla soluzione marxista, anche nella prospettiva in auge in quegli anni e che in Italia assunse il nome di «compromesso storico», o meglio «compromesso culturale» (11), secondo cui i comunisti avrebbero dovuto rinunciare all’ateismo mentre i cattolici avrebbero dovuto mettere in soffitta la dottrina sociale. Era la vecchia tentazione della rinuncia alla prospettiva di una cristianità. Tale rinuncia subordinava la Chiesa all’ideologia dominante nel tempo, spesso usando e abusando del nobile motivo secondo cui la salus animarum dev’essere sempre perseguita, in ogni situazione storica e di fronte a qualsiasi potere mondano, essendo la principale ragione dell’esistenza della Sposa di Cristo.
La scuola contro-rivoluzionaria
Tuttavia, la dottrina sociale non bastava. Era, appunto, una dottrina, che certamente giudicava la situazione presente della società, con i suoi errori e i suoi mali, ma ordinariamente si occupava di singoli problemi che la Chiesa affrontava per dare ai suoi fedeli, ai vescovi anzitutto, agli educatori, preti e laici, ai catechisti e quindi a tutti i fedeli, criteri di discernimento su una determinata ideologia, o una data situazione storica.
Vi era però bisogno di qualcosa che legasse gli avvenimenti, cioè che descrivesse l’itinerario del processo di disgregazione che aveva creato quella situazione e lo collocasse all’interno di un «quadro» storico e teologico. Qui nacque il legame con la scuola contro-rivoluzionaria, cui ho già accennato, che fino ad allora aveva svolto proprio questo ruolo, studiando come e con quali mezzi opporsi alla Rivoluzione che stava distruggendo gli ultimi residui della cristianità. Questa scuola leggeva la storia come il luogo dello scontro fra le due città, evocando sant’Agostino d’Ippona (354-430) e il suo De civitate Dei (12), la spiritualità di sant’Ignazio di Loyola e quella di san Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716).
Da Piacenza questo gruppo di giovani si diffuse in tutta Italia, dandosi una struttura organizzativa particolare fondata su piccoli gruppi, nei quali fosse garantita la formazione spirituale e sociale, una lettura della storia che nasceva da un testo, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (13), ma anche una costante attenzione a quanto accadeva nella vita della Chiesa e del mondo, non soltanto nelle sue articolazioni politiche ma anche e soprattutto in quelle culturali.
Era l’epoca delle ideologie progressiste «forti» e molti di quei giovani provenivano da esperienze ideologiche, ma le conversioni erano autentiche. Una grande devozione mariana, soprattutto attraverso le apparizioni di Fatima, gli esercizi spirituali di sant’Ignazio, l’attenzione al Magistero di quel «prete speciale vestito di bianco» — come Cantoni definiva con affetto il Pontefice —, fecero crescere l’amore alla Chiesa, nonostante le difficoltà dovute a molti uomini di Chiesa, particolarmente ostili verso la proposta associativa. Tuttavia, restarono fedeli, superando la tentazione di contrapporsi polemicamente: così nel 2012 avvenne il riconoscimento canonico di Alleanza Cattolica come associazione privata di fedeli, grazie al vescovo di Piacenza mons. Gianni Ambrosio (14), e cinque anni dopo la Penitenzieria apostolica — con decretodel 30 marzo 2017, firmato dal penitenziere maggiore card. Mauro Piacenza — concesse l’indulgenza plenaria in occasione di ogni ricorrenza del riconoscimento.
L’Ottantanove
Vi è una data importante per comprendere il modo di guardare la realtà di Giovanni Cantoni e dunque di Alleanza Cattolica: il 1989 (15). La data è di quelle destinate a entrare e rimanere nella storia, così come quella esattamente di duecento anni prima, il 1789. Quest’ultima data, con la Rivoluzione — detta francese ma, come diceva sempre Cantoni, si trattava della Rivoluzione tout court che si manifestava — inaugurava l’epoca moderna, o modernità, segnata dall’avvento di una società fondata sull’individuo che prendeva il posto centrale dei corpi e degli ordini della società pre-rivoluzionaria. Un individuo che ambiva a emanciparsi da Dio e dalla religione per abbracciare le diverse ideologie che nel corso dei due secoli avrebbero infiammato le piazze d’Europa e d’Italia, in particolare l’ultima dell’epoca delle ideologie, la più insidiosa e organizzata, il comunismo. Cantoni intuì la fine della Cortina di Ferro e dell’URSS, con i conseguenti cambiamenti, per esempio la trasformazione del PCI in un partito radicale di massa (16) e la scomparsa della Democrazia Cristiana.
Ma il cambiamento non poteva non incidere anche su Alleanza Cattolica stessa e sul suo modo di operare. Il dilemma che aveva contrassegnato la parte di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione scritta nel 1979, sempre da Plinio Corrêa de Oliveira, era espresso nella domanda: «Tenterà il comunismo di conquistare il potere in tutto il mondo oppure si rassegnerà alla sconfitta e la Rivoluzione continuerà a proporsi come rivoluzione culturale, in interiore homine, quale si è delineata nel 1968?».
La risposta sarà nei fatti e in quanto appunto accadde il 9 novembre 1989 con l’abbattimento del Muro di Berlino.
Mi soffermo su questo evento davvero centrale per comprendere il percorso di Cantoni. Così scriveva nel 2002, nel primo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre: «[…] si continua a non cogliere che, con il crollo del Muro di Berlino, si è aperta una breccia fatale in tutta la visione del mondo che ha costituito il morbo di cui, appunto nel 1989, è imploso tutto un mondo, è morta un’intera civiltà». Ma quale civiltà è morta nel 1989? Non «quella del giorno prima», «ma quella nata dalla conversione al cristianesimo del mondo prodotto dall’incontro fra romanità e germanesimo» (17). Insomma, ci voleva dire che non erano semplicemente scomparsi, o comunque fortemente ridimensionati, i «rossi», ma l’intera civiltà cristiana che i cattivi avevano contribuito a distruggere. In questo senso diceva che «il secolo XX si è chiuso con la fine della malattia, l’utopia socialcomunista, e […] con la contestuale morte del malato» (18).
Cantoni aveva previsto l’implosione dell’URSS già in una serie di incontri pubblici e aveva intuito quello che sarebbe potuto accadere dopo, intuizione contenuta in un articolo del giugno 1989, che possiamo dire senza esagerazioni profetico, nel quale citava un passo della Lettera apostolica Octogesima adveniens in cui san Paolo VI, ancora più profeticamente, aveva sostenuto che la crisi delle ideologie, di cui si parlava già nel 1971, avrebbe potuto lasciare il campo a una nuova apertura alla trascendenza ma anche a un «nuovo positivismo» dominato dalla tecnica. Ebbene, Cantoni scriveva: «Mentre più che avvisaglie indicano l’eventualità che l’impero socialcomunista imploda, se già non si può affermare puramente e semplicemente che sta crollando su sé stesso, un così enorme crollo ideologico pare semplicemente destinato a gettare diffidenza su ogni idea e su ogni ideale, senza esame di sorta della loro qualità o del loro uso eventualmente idolatrico, lasciando libero il campo all’ultimo travestimento dell’ideologia, quello tecnocratico» (19).
Così, dopo l’Ottantanove, tutto progressivamente sarebbe cambiato, dando vita non a un’epoca di cambiamenti ma a un cambiamento d’epoca, come suole dire spesso Papa Francesco (20).
Nuove forme di apostolato
Alleanza Cattolica avrebbe dovuto sapersi confrontare anzitutto con questo cambiamento. Cantoni lo ripeteva spesso, fin dagli Anni Novanta, invitando a operare dentro il cambiamento in corso, orientando le persone e gli ambienti a non indugiare più sul passato. Il «quadro», come era solito chiamare il contesto culturale, religioso e politico, era cambiato. Anche i temi su cui concentrare l’apostolato stavano cambiando. Avevamo di fronte una rivoluzione culturale e antropologica, per cui l’attacco del processo rivoluzionario era portato soprattutto alla persona piuttosto che alla conquista delle istituzioni. Assistevamo a un risveglio delle religioni, non solo ma soprattutto dell’islam, e ciò lo spinse a dedicare uno studio al legame fra islam e politica (21). Soprattutto cambiava il modo di fare apostolato, in particolare quello rivolto ai giovani. Non che la Rivoluzione fosse scomparsa, anzi, ma era definitivamente venuta meno quella cristianità contro la quale le prime tre fasi del processo rivoluzionario avevano combattuto, privando la persona delle sue naturali protezioni: l’unità religiosa dell’Europa con la Riforma protestante, la protezione dell’autorità politica con la Rivoluzione francese, la libertà che proviene dalla proprietà e dalla libertà economica con il socialcomunismo. Rimanevano le famiglie e le persone, contro le quali si stava scatenando dal 1968 l’ultima fase del processo rivoluzionario.
Nacquero così dentro l’associazione nuove forme di apostolato, rivolte alle famiglie e ai giovani, con lo scopo di costituire degli ambienti ai quali proporre i fondamentali del cristianesimo e nei quali potere proporre la prospettiva dell’apostolato contro-rivoluzionario.
Sarebbe stato l’ultimo passaggio nella vita operosa di Giovanni Cantoni, da un certo punto di vista il più difficile perché non è facile adeguarsi a un nuovo codice della strada mentre si sta guidando. Eppure, lo fece, accogliendo con grande intelligenza e sensibilità le intuizioni che gli venivano dal rapporto con i più giovani, a volte con i giovanissimi che frequentavano Alleanza Cattolica nelle scuole estive e in altri momenti aggregativi. Non fece mai mancare la sua presenza a questi nuovi incontri con i giovani e con le famiglie, incontri molto diversi dai precedenti quanto alle modalità. Era come se volesse imparare a rapportarsi con le nuove situazioni, con una nuova umanità che aveva un modo diverso dalla sua di relazionarsi con la vita reale.
Emerse ancora più evidente la sua paternità nei confronti di una famiglia spirituale e culturale che nel frattempo si era allungata dal punto di vista generazionale. La «piccola realtà» si preparava ad attraversare il deserto del mondo post-moderno, dominato dal relativismo e dal politicamente corretto. Era una nuova stagione di un’antica battaglia, difficile e faticosa, che lasciava poco spazio alle soddisfazioni umane perché doveva essere combattuta soprattutto su sé stessi, coscienti del fatto che nell’epoca moderna le persone avrebbero accettato di ascoltare i maestri soltanto nella misura in cui fossero stati anche dei testimoni (22).
Se, come aveva insegnato durante la propria esistenza, ripetendo la lezione dei classici della vita interiore, la prima e fondamentale battaglia è quella che combattiamo dentro di noi, questa verità appariva se possibile ancora più evidente nella nuova epoca della post-modernità. E non sarà stato un caso se Giovanni Cantoni decise, a un’età importante come si dice, di tornare a fare gli esercizi di sant’Ignazio, al termine dei quali si ammalò (23). Ma la sua testimonianza non si concluse, anzi, subito dopo avere riflettuto sull’ultima contemplazione proposta da sant’Ignazio, quella per ottenere l’amore, cominciò la lunga malattia che per sette anni, fino alla morte, ci ha aiutato ad avere presenti le realtà più importanti, quelle che non finiscono mai perché introducono alla bellezza dell’eternità beata.
Note:
Sul rapporto fra Gramsci e Togliatti, cfr. l’articolo di Augusto Del Noce (1910-1989), Togliatti? Un perfetto gramsciano, in il Sabato, 12-3-1988, ora in Idem, Cristianità e laicità. Scritti su «Il Sabato» (e vari, anche inediti), a cura di Francesco Mercadante e Paolo Armellini, Giuffré, Milano 1998, pp. 209-213.
(2) Tracce di questa «catena culturale» sono sparse in molte opere di Del Noce: cfr. per esempio La potenza ideologica del marxismo e la possibilità del successo del comunismo in Italia per via democratica, in Idem, I cattolici e il progressismo, a cura di Bernardino Casadei, Leonardo, Milano 1994, pp. 45-91; e Giacomo Noventa e l’«errore della cultura», in Idem, Il suicidio della rivoluzione, Rusconi, Milano 1978, pp. 19-119. Come introduzione al pensiero di Del Noce sul problema dell’azionismo, cfr. Massimo Tringali, Augusto Del Noce interprete del Novecento, Le Château, Aosta 1997, pp. 151-159, e la postfazione di Norberto Bobbio (1909-2004), ibid., pp. 161-171.
(3) Sul PDA cfr. Elena Aga Rossi, Il movimento repubblicano Giustizia e Libertà e il Partito d’Azione, Cappelli, Bologna 1979, con numerosi documenti; e Giovanni De Luna, Storia del Partito d’Azione 1942-1947, Editori Riuniti, Roma 1997; come inquadramento molto sintetico si può leggere la mia voce Il Partito d’Azione in IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale, Dizionario del Pensiero Forte, a cura di Giovanni Cantoni, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/il-partito-dazione> (gli indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 22-10-2021).
(4) «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella. Ma questo incontro non si produrrà, se la Buona Novella non è proclamata» (San Paolo VI, Esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi» circa l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, dell’8-12-1975).
(5) «A partire dal tardo Medio Evo, tuttavia, la legittima distinzione tra i due saperi si trasformò progressivamente in una nefasta separazione. […] Tra le altre conseguenze di tale separazione vi fu anche quella di una diffidenza sempre più forte nei confronti della stessa ragione. Alcuni iniziarono a professare una sfiducia generale, scettica e agnostica, o per riservare più spazio alla fede o per screditarne ogni possibile riferimento razionale» (san Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Fides et ratio» circa i rapporti tra fede e ragione, del 14-9-1998, n. 45).
(6) Cfr. G. Cantoni, L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Saggio introduttivo a Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, trad. it., Cristianità, Piacenza 1977, pp. 7-50.
(7) Sul movimento cattolico la bibliografia è molto ampia; come opera tendenzialmente completa, ricca di bibliografia, sebbene ormai datata, cfr. Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, 5 voll., Marietti, Casale Monferrato 1982, a cura di Francesco Traniello e Giorgio Campanini; e il mio Il movimento cattolico in Italia dalla fondazione dell’Opera dei Congressi all’inizio della seconda guerra mondiale (1874-1939), Mimep-Docete, Pessano (MI) 1995.
(8) San Giovanni Paolo II, Discorso alla Comunità Universitaria di Lovanio, 20-5-1985, ripreso e commentato in G. Cantoni, Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo, Sugarco, Milano 2008, pp. 104-105.
(9) San Paolo VI, Udienza generale del 23-5-1969: «“consecratio mundi”, la consacrazione del mondo. Questa espressione ha radici lontane, ma si deve al Papa Pio XII di venerata memoria il merito d’averla resa particolarmente espressiva in ordine all’apostolato dei Laici. La troviamo nel discorso che quel grande Papa pronunciò in occasione del secondo Congresso mondiale dell’apostolato dei Laici (vedi: Discorsi, XIX, p. 459, e A.A.S. 1957, p. 427); ma egli vi aveva fatto riferimento anche in altre occasioni (cfr. Discorsi III, p. 460; XIII, 295; XV, 590, etc.); più esplicitamente allora, il 5 ottobre 1957, affermava che la “consecratio mundi”, per quanto riguarda l’essenziale, è l’opera dei laici… “che si sono intimamente inseriti nella vita economica e sociale”. Noi stessi usammo di tale locuzione nella Nostra pastorale del 1962, all’arcidiocesi di Milano (cfr. Rivista Dioc. 1962, p. 263). E l’espressione passò (nuova prova della coerente continuità dell’insegnamento ecclesiastico) nei documenti del Concilio: «i Laici, dice la Costituzione dogmatica sulla Chiesa, consacrano a Dio il mondo stesso (Lumen Gentium, n. 34; e cfr. anche 31, 35, 36; Apost. actuos., n. 7; etc.)». Cfr. il testo anche in Cristianità, anno XLVI, n. 390, marzo-aprile 2018, pp. 59-62.
(10) Cfr. G. Cantoni, La dottrina sociale della Chiesa: natura e storia, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/la-dottrina-sociale-della-chiesa-natura-e-storia-2>, e La dottrina sociale della Chiesa: princìpi, criteri e direttive, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/la-dottrina-sociale-della-chiesa-principi-criteri-e-direttive-2>.
(11) Cfr. Idem, Il «compromesso culturale», in Cristianità, anno V, n. 31, novembre 1977, pp. 1-12.
(12) Cfr. Sant’Agostino, La città di Dio, trad. it., introduzione di Antonio Pieretti, a cura di Domenico Gentili O.S.A. (1914-1992), indici di Franco Monteverde O.S.A., 2a ed., Città Nuova, Roma 2002.
(13) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009); con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, trad. it., a cura e con Presentazione di G. Cantoni, Sugarco, Milano 2009.
(14) Cfr. Il riconoscimento di Alleanza Cattolica come associazione privata di fedeli con personalità giuridica privata, in Cristianità, anno XL, n. 364, aprile-giugno 2012, pp. 1-3.
(15) Cfr. G. Cantoni, L’impero socialcomunista fra crisi e «ristrutturazione», in Cristianità, anno XVIII, n. 177, gennaio 1990, pp. 3-6 e 12.
(16) Cfr. il mio «Dal Pci al Pds»: le tappe e i contenuti di una metamorfosi rivoluzionaria, ibid., anno XXII, n. 225-226, gennaio-febbraio 1994, pp. 5-9; e l’intervista a G. Cantoni, «Fermiamo il partito radicale di massa», ibid., pp. 10-12.
(17) G. Cantoni, Per una civiltà cristiana nel terzo millennio, cit., p. 89.
(18) Ibid., p. 74.
(19) Idem, Nota sulla tentazione tecnocratica, in Cristianità, anno XVII, n. 170, giugno 1989, p. 16.
(20) Cfr., per esempio: «Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca», ha osservato Papa Francesco, che ha aggiunto: «[…] non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una pastorale relativistica. Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede — specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente — non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata. Ciò era stato sottolineato da Benedetto XVI quando, indicendo l’Anno della Fede (2012), scrisse: “Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone”» (Francesco, Discorso alla Curia Romana per gli auguri di Natale, del 21-12-2019).
(21) Cfr. G. Cantoni, Aspetti in ombra della «legge sociale» dell’islam. Per una critica della «vulgata» «islamicamente corretta», Prefazione di Samir Khalil Samir S.J., Centro Studi sulla Cooperazione «Arcangelo Cammarata», San Cataldo (Caltanissetta) 2000 (oggi disponibile soltanto online).
(22) Cfr. san Paolo VI, Esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi» circa l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, cit.
(23) Cantoni fu colpito dal primo ictus nell’ultimo giorno degli esercizi spirituali a Filetto, in Lunigiana, nei giorni successivi alla Pasqua del 2013, poco prima dell’ultima contemplazione, quella per ottenere l’amore, prevista negli esercizi di sant’Ignazio con il metodo del padre Francisco de Paula Vallet (1883-1947), che propone il mese ignaziano condensandoli in sei giorni.