La gioia e l’attesa del popolo slovacco, che, dopo aver accolto san Giovanni Paolo II per ben quattro volte (se si comprende uno sconfinamento involontario), si appresta ora ad abbracciare Papa Francesco, offrendogli una testimonianza tenace anche nella difesa dei valori oggi più minacciati
di Wlodzimierz Redzioch
«Sono lieto di annunciare che dal 12 al 15 settembre mi recherò in Slovacchia per una visita pastorale». Con queste parole, dopo l’Angelus del 4 luglio, Francesco ha annunciato il suo prossimo viaggio apostolico in Slovacchia, dove si recherà subito dopo una breve visita a Budapest in occasione della Messa conclusiva del 53º Congresso eucaristico internazionale. Per parlare della visita del Papa nella Slovacchia ho incontrato il vescovo Josef Hal’ko.
Mons. Josef Hal’ko è vescovo ausiliare della capitale della Slovacchia, Bratislava, dove è nato nel 1964. Durante il regime comunista non poteva entrare in seminario: lo fece nel 1990 dopo la Rivoluzione di velluto; nel 1994 fu ordinato sacerdote da una grande figura della Chiesa slovacca, l’arcivescovo di Trnava, mons. Jan Sokol. Ha lavorato come pastore della minoranza ungherese nella capitale, nel 2000 ha discusso la sua tesi di dottorato presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma e da molti anni lavora come docente presso il Dipartimento di Teologia Cattolica dell’Università Comenius, insegnando Storia della Chiesa. Il 31 gennaio 2012 Benedetto XVI lo ha nominato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Bratislava: il 17 marzo 2012 è stato ordinato vescovo dall’arcivescovo di Bratislava, mons. Stanislav Zvolenský.
– Dal 1948 al 1989 la Slovacchia è stata governata da un regime comunista. Come era la situazione della Chiesa in quel periodo?
– Possiamo parlare di due fasi delle persecuzioni della Chiesa. Negli anni Cinquanta i comunisti erano persuasi che in poco tempo avrebbero annientato la Chiesa. Non ci sarebbe più stato il problema della Chiesa perché la Chiesa sarebbe scomparsa. Quando capirono che non è possibile distruggerla, volevano utilizzarla per i propri scopi di propaganda. Ma nonostante tutte le pressioni del regime, nei nostri seminari si sono potuti formare buoni sacerdoti, che lavorano ancora oggi. Nel periodo comunista c’erano anche i continui tentativi di screditare il Papa e il papato, ma questi tentativi fallirono. C’è un documento comunista del 1951 che ammette apertamente che la propaganda antipapale non riusciva a indebolire l’autorità del Papa tra la gente.
– Nei Paesi del blocco comunista c’erano i tentativi di organizzare le Chiese “nazionali”, staccate dal Papa e dipendenti dai comunisti. Anche in Slovacchia?
– Sì. Nel 1949 ci fu un tentativo di creare una gerarchia “nazionale” indipendente da Roma, staccata dal Papa, dipendente dal regime. Ma la reazione della gente fu decisamente contraria: solo nella Slovacchia in cento villaggi la gente si ribellò. Purtroppo, ci furono tanti arresti e persecuzioni, ma il piano dei comunisti fallì.
– L’ultima decade del comunismo coincide con la prima decade del pontificato di Giovanni Paolo II, il primo Papa slavo, che conosceva bene la situazione del suo Paese. In che modo il Papa aiutava la Chiesa in Slovacchia nel periodo comunista?
– Con il papato di Giovanni Paolo II gli slovacchi si resero conto che con un Papa proveniente da un Paese comunista la situazione era cambiata. La gente sapeva che il Papa conosceva le loro condizioni di vita e questo dava loro un’ulteriore speranza. Negli anni Ottanta si è organizzata tra la gente comune una grande campagna per invitare Giovanni Paolo II in Slovacchia, sono state raccolte tante firme. La polizia segreta dell’allora Cecoslovacchia voleva rintracciare gli organizzatori di questa iniziativa per punirli. In ogni caso, l’invito firmato da tantissima gente fu recapitato tramite vie clandestine al Papa, che rimase molto commosso. Purtroppo non poté recarsi nella Slovacchia comunista.
– Quali sfide doveva affrontare la Chiesa slovacca dopo il crollo del regime comunista nel 1989?
– Prima di tutto la Chiesa doveva fare tutto quello che non si poteva fare durante il comunismo. Anzitutto bisognava ripristinare la gerarchia, perché nelle diocesi mancavano i vescovi; inoltre doveva organizzare i seminari. C’era una grande urgenza di costruire le nuove chiese: in pochi anni si sono costruite 700 nuove chiese e questo fu un segno della fede e dell’entusiasmo della gente. Ma prima di tutto bisognava intraprendere un’opera di evangelizzazione. Ci sentivamo come dopo l’anno 313, quando la Chiesa dei martiri usciva dalla clandestinità.
– Giovanni Paolo II dopo il 1989 ha visitato la Slovacchia tre volte: nel 1990, nel 1995 e nel 2003. Che cosa significarono quelle visite del Papa Wojtyla per gli slovacchi?
– Queste tre visite papali mostrano il grande interesse e l’amore del Papa verso il nostro Paese. Per gli slovacchi Giovanni Paolo II era un Papa slavo, un Papa vicino, un Papa la cui storia di vita lo rendeva simpatico. Da tutti i discorsi pronunciati durante i viaggi emanava una grande empatia verso gli slovacchi. Vorrei ricordare anche un episodio magari poco conosciuto: il Papa, quando ancora era arcivescovo di Cracovia, spesso sciava sui Monti Tatra, che si trovano sulla frontiera tra la Slovacchia e la Polonia, nel territorio dell’Arcidiocesi di Cracovia, dove vivono anche slovacchi. Una volta, mentre sciava, l’arcivescovo Wojtyła sconfinò e fu fermato dalla polizia dell’allora Cecoslovacchia, che lo rimandò indietro. Si può dire che il futuro Papa sia già entrato in Slovacchia in quell’occasione, sebbene in circostanze molto particolari.
– Gli ultimi Papi denunciano spesso i mali in Europa: la secolarizzazione aggressiva, il rifiuto delle radici cristiane del nostro continente, l’apostasia silenziosa, la lotta contro la famiglia, l’imposizione dell’ideologia gender. Questi fenomeni negativi si riscontrano anche in Slovacchia?
– La Slovacchia non è un’isola, siamo in Europa, facciamo parte dell’UE, non ci sono frontiere, ma ci sono i media e le reti sociali che uniscono tutti, pertanto tutte queste ideologie anticristiane arrivano anche da noi. Abbiamo gli ambienti liberali, che sono apertamente contro la Chiesa e il suo insegnamento. Ma i cattolici e la maggior parte della gente ha ancora un buon senso delle cose e una visione sana del matrimonio come l’unione di un uomo e di una donna. Anche la questione dell’omosessualità viene vista come è presentata nel Catechismo, cioè con l’empatia verso gli omosessuali, ma con un chiaro giudizio sull’atto morale. Molti slovacchi sono pro-life: abbiamo avuto due Marce per la Vita ,con la partecipazione di 80-50 mila persone, che sono numeri alti per il nostro Paese.
– A settembre la Slovacchia ospiterà Papa Francesco. Con quali sentimenti la vostra Chiesa aspetta la visita del Pontefice?
– Per noi l’annuncio della visita del Papa è stata una piacevole sorpresa. E adesso c’è anche l’attesa dei discorsi di Francesco: che cosa ci dirà in questi tre giorni pieni di eventi?
– L’itinerario del pellegrinaggio di Francesco comprende: Bratislava, Košice, Prešov, il Santuario Nazionale di Šaštin. Quale è il significato di ogni tappa di questo itinerario?
– Prima di tutto il Papa si recherà nella nostra capitale, Bratislava, dove visiterà ovviamente la cattedrale. Nella cattedrale troverà un ambiente molto caro al suo cuore, perché lì ci sono tre santi “della periferia”: san Martino, santa Elisabetta e san Giovanni Elemosiniere. Tutti e tre furono vicini ai poveri e agli emarginati. A Bratislava ci sarà un incontro con i vescovi, i sacerdoti e le persone consacrate, invece nella Nunziatura incontrerà i confratelli gesuiti. Piena di significato è anche la visita nella Casa di Bethleem, gestita dalle suore di Madre Teresa, per incontrare le suore ma, prima di tutto, i senzatetto.
Košice e Prešov si trovano nella parte orientale del Paese. A Košice Francesco incontrerà la comunità Rom e i salesiani, che si occupano di loro. Direi che questa sarà la visita alla vera periferia. Ma in questa città incontrerà anche i giovani che lo aspettano con ansia, anche perché hanno sentito il suo importante messaggio rivolto ai giovani radunati a Medjugorje.
A Prešov ci sarà la Messa in rito bizantino, perché lì c’è una grande comunità della Chiesa greco-cattolica. Durante il comunismo, per diciotto anni la Chiesa greco-cattolica rimase fuorilegge e i sacerdoti venivano costretti a passare alla Chiesa ortodossa. Per i greco-cattolici è quindi una grande gioia che, dopo tanti anni di persecuzioni, oggi il Papa farà loro visita e celebrerà la liturgia bizantina.
Invece il Santuario Nazionale di Šaštin è il cuore mariano della Slovacchia, luogo di pellegrinaggio per tutto il Paese.
(L’intervista in polacco è stata pubblicata sul settimanale “Niedziela”)
Martedì, 7 settembre 2021