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Papa Giovanni Paolo II e gli ideali dell’Ottantanove **

7 Ottobre 1996 - Autore: Alleanza Cattolica

GIOVANNI CANTONI, Cristianità n. 258 (1996)

 

Sono tentato di parlare di malafede, ma mi trattengo per ragioni di principio, perché lascio al Padreterno l’esame delle intenzioni del prossimo. Ho fra mani il Corriere della Sera di lunedì 23 settembre 1996 (16). E vi leggo alcune “perle”.

Sotto un titolo che suona “Intercettazioni, roba da Medioevo” — a proposito di quella che ormai viene indicata come la seconda Tangentopoli, l’inchiesta sulla corruzione aperta dalla Procura di La Spezia — Goffredo Buccini intervista un signore, un certo Guido Rossi, presentato come “ex presidente della Consob e della Ferfin, professore della Bocconi”, il quale “[…] annuisce: “Sì, questa delle intercettazioni che escono dai tribunali e finiscono sulle pagine dei giornali è una vicenda grave, non c’è dubbio, molto grave”. Pausa. “Anzi, la parola da usare è Medioevo””. Non dubito della gravità del fatto denunciato. Ma aggiungo, fra le cose gravi, che un signore — se è lui — con qualche qualifica si esprima come un barbiere anticlericale d’inizio secolo, ignorando che tutti gli ingredienti del fenomeno stigmatizzato, a cominciare dai giornali, non hanno niente da spartire con il Medioevo; e che, se mai, l’ascendenza va cercata nell’opera di Napoleone Bonaparte, che — completando quanto realizzato dai rivoluzionari dell’Ottantanove — portò a perfezione i “servizi d’informazione”.

E con Napoleone Bonaparte, siamo alla Rivoluzione francese e al pellegrinaggio apostolico in Francia di Papa Giovanni Paolo II. Infatti Arturo Guatelli, in una corrispondenza dalla capitale francese — A Parigi gli ultrà laici in Piazza. Ma la visita è stato un successo —, dopo aver quantificato i presenti a Reims, per la celebrazione del XV centenario del battesimo di Clodoveo, in 180.000 persone, riconosce il fallimento della contestazione anticlericale — “poche migliaia di persone” —, ma inspiegabilmente nota che “il raffronto delle cifre non ha senso, perché sarebbe ingeneroso nei confronti della società laica”. Costituisce processo alle intenzioni dichiarare di nutrire qualche dubbio sul fatto che, se non il giornalista in questione certo altri, si sarebbe espresso negli stessi termini se a Reims vi fossero state poche migliaia di persone e a Parigi ne fossero sfilate 180.000?

Vengo al giudizio dello stesso Arturo Guatelli sulla positività del viaggio, identificata nel fatto che, “[…] da una parte e dall’altra hanno prevalso alla fine i toni della moderazione”. Allo scopo il giornalista costruisce lo scenario de “[…] gli opposti estremismi, un residuo della Francia del XIX secolo. Da una parte i cattolici integralisti pronti a sventolare la bandiera del Papa per contrastare l’affermazione della Repubblica, vandeani nello spirito, non solo geograficamente. Dall’altra i mangiapreti, quegli anticlericali che rispolverano, quando possono, il ritratto di Voltaire, che sono massoni proprio perché hanno in odio la Chiesa di Roma. Gli uni e gli altri sono ai margini della società e della cultura, sono una piccolissima parte, quasi insignificante, della Francia di oggi”. Quanto alla seconda genia, condivido il giudizio sulla loro inconsistenza, anche sulla base della sua informazione. Ma, quanto alla prima, che ne è dei 180.000? Il 19 settembre, a Saint-Laurent-sur-Sèvre, in Vandea, Papa Giovanni Paolo II non ha forse proposto a tutti, vandeani “geografici” e non, francesi e non, come esempi, i martiri vandeani?

Ma, a conclusione del viaggio — riferisce il vaticanista Luigi Accattoli —, il Santo Padre ha detto: “Che la vostra nazione rimanga accogliente, che contribuisca a far progredire incessantemente gli ideali di libertà, di uguaglianza e di fraternità che essa ha saputo presentare al mondo”. Ecco la prova provata della “conversione” agli ideali dell’Ottantanove, che fonda il giudizio di moderazione di Arturo Guatelli, e la sua denuncia degli opposti estremismi. Propongo, ai pericolosissimi ascoltatori di una sola frase, di meditare anche su questa: “[…] i grandi princìpi di libertà, di uguaglianza e di fraternità, cui si vogliono richiamare le democrazie moderne […], pena le peggiori contraffazioni, devono essere intese, è ovvio, come le intendono il diritto naturale, la legge evangelica e la tradizione cristiana, che ne sono nello stesso tempo — ed esse soltanto — gli ispiratori e gli interpreti autentici” (17). La frase ha esattamente cinquant’anni, è del 1946, ed è di Papa Pio XII. Qualcuno, conoscitore anche superficiale del Magistero della Chiesa cattolica e non semplice lettore di flash d’agenzia, pensa che quella pronunciata da Papa Giovanni Paolo II sia qualcosa di sostanzialmente diverso da una parziale reiterazione dell’”ovvietà” enunciata da Papa Pio XII?

Giovanni Cantoni

** Articolo sostanzialmente anticipato, senza note e con il titolo redazionale I principi non cambiano, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLV, n. 221, 24-9-1996, pp. 1 e 14.

***

(16) Cfr. Corriere della Sera, 23-9-1996. Tutte le citazioni senza diverso riferimento sono tratte da questa edizione del quotidiano milanese.

(17) Pio XII, Lettera per la XXXIII Settimana Sociale di Francia al Signor Professor Charles Flory, Presidente della Istituzione, del 10-7-1946, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. VIII, pp. 453-458 (p. 456).

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