Di Gian Guido Vecchi, dal Corriere della Sera del 5 gennaio 2023.
CITTÀ DEL VATICANO «La contingenza storica che ha visto convivere nello stesso tempo due Successori di Pietro ha configurato per la Chiesa una situazione istituzionale inedita, che poteva anche essere delicata. Qualcuno magari ha pensato di approfittarne, e magari ci ha anche provato, per spargere confusione. Ma non è riuscito nel suo intento…».
Il cardinale Pietro Parolin, 67 anni, segretario di Stato vaticano, racconta di questi anni unici nella storia della Chiesa.
Perché chi voleva creare confusione non ci è riuscito, eminenza?
«Per la fede del Papa e del Papa emerito e per le preghiere del Popolo di Dio, che li ha sempre abbracciati e sostenuti tutti e due. La fede del Popolo di Dio è sempre connotata da un affetto istintivo nei confronti del Successore di Pietro. Fa parte di quello che la Chiesa riconosce come il sensus fidei , l’istinto della fede, di cui tanto ci ha parlato Joseph Ratzinger e continua a parlarci papa Francesco. Ricordo che il cardinale Joseph Ratzinger riconosceva quella che lui definiva la “funzione davvero democratica” del Magistero ecclesiale, chiamato a volte anche a proteggere tutti i battezzati dalle operazioni di parte».
Tempo fa, a proposito della «naturale continuità del magistero papale», notava il tratto unico che aveva assunto con Francesco e Benedetto. Che cosa è stato?
«La prossimità fraterna tra papa Francesco e il Papa emerito Benedetto XVI l’abbiamo vista tutti. L’affetto espresso nei loro abbracci, negli sguardi e nelle parole che si scambiavano nei loro incontri è stato per tanti motivo di commozione e di consolazione. Ricordo le parole indimenticabili che Benedetto rivolse a papa Francesco nel giugno del 2016, in occasione della piccola celebrazione dell’anniversario della sua ordinazione sacerdotale. “Grazie a lei, Santo Padre, la sua bontà dal primo momento della elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce interiormente”, disse quella volta Ratzinger, aggiungendo che “più che i Giardini Vaticani con la bellezza che hanno, la sua bontà è il luogo dove abito, mi sento protetto”».
Eppure erano diversi, no?
«L’affetto tra Benedetto XVI e papa Francesco ha reso manifesta anche la loro consonanza di sguardo davanti al mistero palpitante della Chiesa. Certo, loro hanno avuto temperamenti, sensibilità, idee, preferenze, percorsi esistenziali diversi. Anche questo fa parte della bellezza della Chiesa e dello stesso ministero dei Successori di Pietro. La Chiesa è adornata dal suo Signore di molti gioielli, e nessun Papa è il clone di un altro Papa. La cosa che garantisce il cammino è la fede condivisa in Gesù, seguire Lui, ognuno coi propri tesori e le proprie povertà. La fede di Pietro ha accomunato Benedetto e papa Francesco».
E che altro?
«Hanno avuto, con accenti diversi, la stessa sollecitudine missionaria. Hanno ripetuto che la fede e il cristianesimo non sono uno sforzo etico o religioso, ma un dono di grazia, che avviene incontrando Gesù. Ambedue, anche negli anni della loro convivenza nel “recinto di Pietro”, hanno ripetuto che il frutto del seguire Gesù è la felicità, la “vera gioia”, come ripeteva sempre papa Ratzinger, e la possibilità inesauribile di sperare sempre nel cammino della vita, anche quando è segnato da difficoltà e dolore. Tutti e due, in modo diverso, hanno ripetuto che l’unica missione della Chiesa è annunciare Gesù, che solo se la Chiesa segue Gesù non si ripiega su sé stessa, non diventa “autoreferenziale”, e questo seguire Gesù e annunciare al mondo la sua salvezza è anche la vera sorgente di ogni autentica riforma ecclesiale».
Il suo ricordo personale di Joseph Ratzinger?
«Ho lavorato in segreteria di Stato come sottosegretario per i Rapporti con gli Stati durante i primi quattro anni del Pontificato di Benedetto XVI, dal 2005. Nel 2009 mi nominò Nunzio Apostolico in Venezuela e accettò di ordinarmi Vescovo nella Basilica di San Pietro assieme a quattro altri sacerdoti. Fu per me una grande gioia e un’esperienza indimenticabile. L’omelia che egli pronunciò in quell’occasione ha impressionato tutti: a me è scesa nel profondo del cuore e continua ad essere guida per il mio cammino e il mio servizio alla Chiesa. Dopo la sua rinuncia e il mio ritorno in Vaticano lo andavo a trovare una volta all’anno, a Natale. Mi trasmetteva sempre una sensazione di grande serenità e di pace profonda. Più che incontri di cortesia erano momenti di preghiera: egli continuava a intercedere per la Chiesa, chiedendo al Signore di custodirla e di consolarla. E percepiva che a sostenerlo e quasi portarlo in braccio erano le preghiere del Popolo di Dio, che gli voleva tanto bene, come testimoniano in questi giorni anche le moltitudini di persone di ogni età che rendono l’ultimo saluto alle sue spoglie mortali, qui a san Pietro».
In questi giorni, a cominciare da papa Francesco, molti hanno fatto notare anzitutto la sua gentilezza…
«In papa Ratzinger la gentilezza non era solo un tratto temperamentale. Era anche il riverbero di come il Vangelo aveva modellato nel tempo il suo cuore e la sua anima. Egli è stato uno dei più grandi teologi del Novecento. Nel contempo, viveva questo suo dono senza supponenza, ostentazione, sempre proiettato fuori da sé stesso, preso dall’entusiasmo di condividere con tutti e di far partecipi tutti dei tesori della Tradizione, dei Padri della Chiesa, della grande teologia. Quando era professore, i suoi studenti per primi hanno goduto e potuto far tesoro della passione calma e piena di stupore con cui aiutava a far percepire con parole semplici e luminose anche i grandi misteri della fede cristiana. La stessa cosa l’ha potuta sperimentare tante volte anche il Popolo di Dio, quando lui è divenuto Papa. Proprio da questo suo sguardo sempre puntato sul cuore della fede sgorgava la sua umiltà, nel riconoscimento dei propri limiti. Una umiltà che ha avuto la sua massima manifestazione pubblica proprio nel suo spogliarsi del suo ministero petrino».
In che senso?
«Lui si è spogliato anche del Papato. È rimasta la sua fede nuda. Quella di chi rende lode con gratitudine al Signore anche per aver nascosto le cose importanti ai sapienti e ai dotti e averle rivelate ai piccoli. Per questo credo che anche le caricature malevoli costruite da qualcuno per denigrare la sua persona verranno spazzate via come pula, nella memoria lunga della Chiesa»