di Michele Brambilla
Nell’udienza del 12 febbraio Papa Francesco analizza la seconda beatitudine, «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati» (Mt 5,4), introducendola dal punto di vista lessicale e storiografico: «nella lingua greca in cui è scritto il Vangelo, questa beatitudine viene espressa con un verbo che non è al passivo – infatti i beati non subiscono questo pianto – ma all’attivo: “si affliggono”; piangono, ma da dentro. Si tratta di un atteggiamento che è diventato centrale nella spiritualità cristiana». Infatti «[…] i Padri del deserto, i primi monaci della storia, chiamavano “penthos” […] un dolore interiore che apre ad una relazione con il Signore e con il prossimo» e che ha come obbiettivo proprio la ricostruzione di quei rapporti fondamentali.
«Questo pianto», afferma il Pontefice, «[…] può avere due aspetti: il primo è per la morte o per la sofferenza di qualcuno. L’altro aspetto sono le lacrime per il peccato – per il proprio peccato –, quando il cuore sanguina per il dolore di avere offeso Dio e il prossimo», uno stato dell’anima che il Pontefice ha più volte richiamato in passato (cfr Esort. ap. postsin. Christus vivit, 76; Discorso ai giovani dell’Università S. Tomas, Manila, 18 gennaio 2015; Omelia nel Mercoledì delle Ceneri, 18 febbraio 2015).
Nel primo caso l’uomo scopre che «ci sono degli afflitti da consolare, ma talvolta ci sono pure dei consolati da affliggere, da risvegliare, che hanno un cuore di pietra e hanno disimparato a piangere». C’è pure «[…] da risvegliare la gente che non sa commuoversi del dolore altrui» perché accecata dal proprio egoismo. Nel secondo si intuisce che bisogna provare vero dolore per i peccati commessi: «Qui bisogna distinguere: c’è chi si adira perché ha sbagliato. Ma questo è orgoglio. Invece c’è chi piange per il male fatto, per il bene omesso, per il tradimento del rapporto con Dio», Sommo Bene.
Il Santo Padre fa l’esempio dell’apostolo san Pietro: «pensiamo al pianto di san Pietro, che lo porterà a un amore nuovo e molto più vero: è un pianto che purifica, che rinnova. Pietro guardò Gesù e pianse: il suo cuore è stato rinnovato. A differenza di Giuda, che non accettò di aver sbagliato e, poveretto, si suicidò. Capire il peccato è un dono di Dio, è un’opera dello Spirito Santo».
L’uomo moderno si illude di potersela vedere “a tu per tu” con Dio senza dichiarare esplicitamente il proprio pentimento davanti a un altro uomo come il confessore, ma, assicura Francesco, «noi, da soli, non possiamo capire il peccato. È una grazia che dobbiamo chiedere. Signore, che io capisca il male che ho fatto o che posso fare». E aggiunge, il Papa, una citazione tratta dalla Patristica greca: «uno dei primi monaci, Efrem il Siro (306-373), dice che un viso lavato dalle lacrime è indicibilmente bello (cfr Discorso ascetico). La bellezza del pentimento, la bellezza del pianto, la bellezza della contrizione! Come sempre la vita cristiana ha nella misericordia la sua espressione migliore». Allora «saggio e beato è colui che accoglie il dolore legato all’amore, perché riceverà la consolazione dello Spirito Santo che è la tenerezza di Dio che perdona e corregge».
Giovedì, 13 febbraio 2020