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Per un fisco equo: legalità, imparzialità e trasparenza non bastano.

1 Aprile 2022 - Autore: Ferdinando Leotta

Fisco

Riflessioni sul discorso di Papa Francesco alla Delegazione dell’Agenzia delle Entrate

di Ferdinando Leotta

Il 31 gennaio scorso Papa Francesco ha ricevuto i rappresentanti dell’Agenzia delle Entrate. Il Santo Padre, traendo spunto dai princìpi di legalità, imparzialità e trasparenza contenuti nello Statuto dell’Agenzia, riconosce la grande attualità del tema fiscale, importante per il bene comune.

Evocando l’incontro di Gesù con il pubblicano Zaccheo e la chiamata di Matteo, ha ricordato che l’imposizione fiscale, a quei tempi, si concretizzava nel versamento della decima, cioè di un decimo dei frutti della terra o del bestiame, e che con il pagamento del tributo cresceva la consapevolezza dei singoli di non essere autosufficienti e il senso di corresponsabilità.

I principi di legalità, imparzialità e trasparenza sono definiti dal Pontefice una bussola preziosa per chi deve gestire i tributi. Papa Francesco, rivolgendosi ai rappresentanti dell’Ente incaricato della gestione tributaria, non ha toccato il tema del fisco equo, dal momento che l’emanazione di leggi fiscali giuste è compito del potere legislativo e non dell’esecutivo. Se si fosse rivolto ai membri del Parlamento, avrebbe richiamato, ritengo, i princìpi, costantemente affermati dalla dottrina sociale della Chiesa e desumibili dalla legge naturale, che caratterizzano la legge fiscale giusta. Di questi si può trovare una sintetica esposizione nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa e nel Dizionario di Dottrina Sociale della Chiesa, entrambi opera del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. In particolare, alla voce Politica Fiscale del Dizionario, ove si legge: Lo Stato deve impostare (…) un’adeguata politica fiscale, tenendo conto di quattro elementi fondamentali: il diritto dello Stato a riscuotere le tasse; il bisogno di una legge fiscale giusta; l’equità nell’uso dei fondi pubblici e, come corollario, l’obbligo – non soltanto legale ma anche morale – dei cittadini di pagare le tasse. (cfr. anche Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2240)

Il diritto dello Stato a riscuotere le tasse è, dunque, un diritto fondamentale, che a sua volta si fonda su principi di etica sociale: il principio del bene comune, per cui ogni cittadino ha il dovere di contribuire alla spesa pubblica in misura proporzionale alla sua capacità; il principio della destinazione universale dei beni della terra; il principio di solidarietà, per cui ognuno è responsabile del bene integrale degli altri.

Il Dizionario precisa che a queste responsabilità si risponde, in parte, mediante i servizi elargiti dallo Stato o dagli enti pubblici. La precisazione “in parte” sta a significare che la redistribuzione, che soddisfa la destinazione universale dei beni, e la solidarietà non si attuano solo ed esclusivamente attraverso lo Stato, che riscuote denaro dai contribuenti per poi ridistribuire beni e servizi, ma anche mediante l’azione dei corpi intermedi e con l’assunzione in proprio di oneri personali, familiari e sociali.

Lo Stato – come ha precisato Papa Francesco in altra occasione – non può concepirsi come l’unico ed esclusivo titolare del bene comune non consentendo ai corpi intermedi di esprimere, in libertà, tutto il loro potenziale. Sarebbe questa una violazione del principio di sussidiarietà che, abbinato a quello di solidarietà, costituisce un pilastro portante della dottrina sociale della Chiesa (Francesco, Pont. Accademia Scienze Sociali, 20 ottobre 2017)

Il Santo Padre, pur non affrontando il tema della giusta imposta, in un altro passo del discorso afferma: II fisco, quando è giusto, è in funzione del bene comune, garantisce l’eguaglianza, contrasta l’ingiustizia, la corruzione, le sperequazioni; tuttavia, si preoccupa di precisare il Pontefice, occorrono una certa formazione e un cambiamento culturale: Lavoriamo perché cresca la cultura del bene comune – questo è importante! – perché si prenda sul serio la destinazione universale dei beni.

A queste affermazioni Papa Francesco, che poco prima aveva ricordato che non basta avere la mente lucida ma occorre anche un cuore caldo, ha fatto seguire un’ esortazione al Direttore dell’Agenzia: Lei ha elencato tra quelle cose che il fisco sostiene, i medici. Per favore, continuate con il sistema sanitario gratuito, per favore! E questo viene dal fisco. Difendetelo. Perché non dovremo cadere in un sistema sanitario a pagamento, dove i poveri non hanno diritto a nulla. Una delle cose belle che ha I’Italia è questo: per favore, conservatelo.

In effetti si tratta di una richiesta rivolta, ex abundantia cordis, ai gestori del tributo, che, in quanto tali, ben poco, se non nulla, possono fare per difendere il sistema sanitario. Questa difesa è innanzitutto compito dei manager sanitari e di chi scrive le leggi e non di chi applica le leggi fiscali. Tuttavia l’esortazione del Pontefice offre spunti di riflessione a chi si occupa di politica fiscale: se non possiamo più permetterci un sistema sanitario universalmente gratuito, perché, invece di promuovere una politica sanitaria di tagli e restrizioni universali, cioè per tutti, non si pensa a una nuova spending review secondo il modello della sussidiarietà fiscale? Secondo questo modello la gratuità delle cure potrebbe essere graduata secondo la capacità contributiva, cioè in base al reddito effettivo, prevedendo, per coloro che – essendo economicamente capienti – dovessero sostenere in tutto o in parte le spese mediche, la piena deducibilità fiscale. In tal modo al risparmio di spesa sanitaria per lo Stato e per le Regioni corrisponderebbe un risparmio di imposte per i contribuenti e per le famiglie.

Riferendosi, poi, al principio di imparzialità contenuto nello Statuto dell’Agenzia fiscale, il Santo Padre ha sottolineato: L’imparzialità del vostro lavoro afferma che non esistono cittadini migliori di altri in base alla loro appartenenza sociale, ma che a tutti è riconosciuta la buona fede di essere leali costruttori della società. Si tratta di un’affermazione giustamente rivolta ai gestori del tributo, ma che, ancor più decisamente, andrebbe rivolta al Legislatore, perché troppo spesso nelle leggi fiscali si colgono discriminazioni che sanno di pregiudizio ideologico. Si potrebbe fare un lungo elenco. Basti qui ricordare, a titolo di esempio, che, fino all’emanazione della legge sull’AUU (Assegno Unico Universale), i lavoratori autonomi titolari di partita IVA erano inspiegabilmente esclusi dall’assegno per il nucleo familiare. Egualmente contraria al principio di imparzialità e discriminatoria è la norma contenuta nel TUIR (Testo Unico delle Imposte Dirette, artt. 54 e 60), che non ammette in deduzione per il lavoratore autonomo i compensi corrisposti al coniuge o ad altro familiare regolarmente assunto. Legiferare in modo imparziale, correlando alla capacità contributiva il reddito effettivo, sarebbe la migliore misura per contrastare il malcostume dell’evasione fiscale e riacquistare la fiducia dei contribuenti.

Infine, con riferimento alla trasparenza, terzo principio ispiratore dell’azione dell’Agenzia delle Entrate, Papa Francesco ha osservato: II fisco è spesso percepito in modo negativo se non si capisce dove e come viene speso il denaro pubblico. Si rischia di alimentare il sospetto e il malumore. A chi gestisce il patrimonio di tutti il Santo Padre ha rammentato la grave responsabilità di non arricchirsi, citando don Primo Mazzolari che, nel 1948, rivolgendosi ai politici cattolici eletti in Parlamento, scriveva: Ridurre Io star male del prossimo non è sempre possibile: non prelevare per noi sulla miseria, è sempre possibile.

Il discorso di Papa Francesco offre spunti di riflessione per giungere a questa conclusione: per un fisco equo, la legalità, l’imparzialità e la trasparenza sono requisiti necessari, ma non sufficienti senza la giusta imposta.

Venerdì, primo aprile 2022

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