Marco Invernizzi, Cristianità n. 402 (2020)
Quel che è accaduto e continua ad avvenire nella Chiesa italiana in tempo di coronavirus potrebbe essere l’occasione per una riflessione sullo stato del cattolicesimo italiano. Prendo come spunto un articolo di Matteo Matzuzzi su il Foglio, dove il giornalista fa stato della irrilevanza dimostrata dalla Chiesa italiana nella crisi successiva alla diffusione del morbo (1).
Il problema della presenza pubblica dei cattolici viene da lontano e ha una radice teologica nel grande dibattito sulla Chiesa costantiniana, cioè sulla domanda se la Chiesa debba cercare di orientare il potere secolare oppure astenersi completamente e limitarsi a testimoniare il Vangelo, come fanno — in una versione estrema ma che serve per capire il problema — i Testimoni di Geova. In fondo, la domanda potrebbe essere ancora più diretta: il potere è necessariamente e intrinsecamente corrotto oppure può essere santificato?
Non è questa la sede per affrontare quest’ultimo tema, ma posso ricordare come la dottrina sociale della Chiesa richiami la bontà del progetto originario di Dio sull’uomo, ferito ma non totalmente corrotto dal peccato originale, come pure il valore della Redenzione, che ha conseguenze anche sociali, operata dal sacrificio e dalla Resurrezione del Signore Gesù (2).
Dopo l’Editto di Milano del 313 dell’imperatore Flavio Valerio Aurelio Costantino (274-337), che concedeva alla Chiesa la libertà di professare la fede all’interno dell’impero romano, i cristiani divennero progressivamente protagonisti nella vita pubblica, arrivando ai vertici dell’impero stesso con figure come Flavio Teodosio I (347-395) a Roma (3) e Flavio Pietro Sabbazio Giustiniano (482-565) (4) a Bisanzio, e poi dall’anno 800 con la rinascita dell’impero in Occidente in seguito all’incoronazione di Carlo Magno (742-814) a Roma. I critici della «svolta costantiniana» contestano questa scelta e le contrappongono la Chiesa delle origini, povera e senza potere. L’opera che riassume queste diverse critiche — fra le quali la più conosciuta in ambito cattolico è quella del domenicano Marie-Dominique Chenu (1895-1990) (5) — comincia con una citazione del teologo protestante Karl Barth (1886-1968): «La cristianità volle essere qualcosa di più del popolo pellegrinante nel deserto, dell’uccello solitario sul tetto. Essa non volle più patire. Sotto il pretesto del bene dell’umanità essa aveva deciso di mettersi a suo agio. E così dimenticò che il suo tempo era quello tra l’ascensione e il ritorno di Gesù Cristo e quindi un tempo che a partire da un inizio correva incontro a una fine, un tempo breve nel quale, per coloro che sono prigionieri della libera grazia di Dio, si dà un cammino ma non una sosta, un incontrarsi ma non un legarsi, una tenda ma non una casa di pietra […]. L’“Europa cristiana” ritorna, sotto il sogghigno dell’inferno, alla sua originaria libertà selvaggia. E adesso il cristianesimo, come una ragazza sedotta, può piangere pure dietro il suo amante infedele. Perché questo cristianesimo ha voluto conservarsi in vita a spese dell’evangelo, invece di lasciar accadere che fossero le forze dell’evangelo a farlo vivere? Ciò che adesso capita al cristianesimo è solo la quietanza per la grande menzogna di cui si è reso chiaramente colpevole su tutta la linea, a partire dalla fatale era costantiniana» (6).
È facile notare come la commistione con il potere temporale abbia nuociuto in alcune circostanze storiche alla Chiesa, favorendo per esempio la confusione dei due poteri e la degenerazione simoniaca; la lotta delle investiture, che restituì un po’ di libertà alla Chiesa rispetto alla confusione con il potere civile nata nell’Alto Medioevo; la ricchezza smodata della Corte pontificia e della Chiesa in Occidente nell’epoca in cui nacquero gli ordini mendicanti, nonché, nel Basso Medioevo e nell’epoca rinascimentale, quando la corruzione del clero favorì la Rivoluzione protestante. Tuttavia, è anche facile notare come la penetrazione nelle istituzioni abbia favorito la nascita degli ospedali e un’attenzione ai poveri sconosciute all’epoca pagana e alle abitudini dei popoli barbari, mettendo il malato e il povero al centro della vita pubblica. Lo storico tedesco della Chiesa don Karl Baus (1904-1994) risponde alle due principali critiche rivolte alla «svolta costantiniana»: quella che attribuisce alla Chiesa il «cesaropapismo», assorbito dall’impero d’Oriente, da Costantinopoli, e quella secondo cui la gerarchia della Chiesa non avrebbe saputo resistere alle lusinghe del potere e ai privilegi, accettando così di pregiudicare la sua credibilità missionaria ed evangelica. Baus risponde con un ragionamento che mi sembra convincente, anche se egli stesso non dimentica di segnalare i rischi inerenti al contatto con la cultura profana del tempo e le difficoltà nel rapporto con lo Stato a cui la Chiesa sarebbe andata incontro: «Anzitutto l’avvicinamento tra la religione cristiana e il potere romano, cui Costantino ha dato incremento, non ha quel carattere rivoluzionario che gli viene talvolta attribuito» perché «[…] anche la cristianità precostantiniana ha cercato di stabilire un rapporto sopportabile con lo stesso stato pagano perché, secondo l’insegnamento di san Paolo (Rm 13, 1-7), dietro ad ogni potere statale essa vedeva la volontà di Dio». Tuttavia, la tolleranza, o ancora meglio il rispetto del principio della libertà religiosa, era un valore ancora inesistente nella cultura politica del IV secolo: «L’idea di uno stato necessariamente neutrale in materia religiosa di fronte ad una società pluralistica è un anacronismo per il principio del IV secolo. Era quindi perfettamente normale che i cristiani del tempo si aspettassero che sotto un imperatore sulla cui sincera conversione alla loro fede non vi fosse da dubitare, il cristianesimo prendesse a poco a poco il posto del culto pagano» (7). Si tratta, secondo la bella ricostruzione fatta dalla storica livornese Marta Sordi (1925-2009), della cosiddetta «pax deorum», cioè della ricerca del favore degli dèi da parte degli imperatori scegliendo e seguendo la religione ritenuta vera: prima il paganesimo e poi, dopo Costantino, il cristianesimo, senza alcuno spazio per l’idea di libertà religiosa, anche se quest’ultima fu, di fatto se non di principio, la politica seguita da Costantino che appunto introdusse la libertà per la Chiesa, le concesse anche dei favori, ma non la fece mai diventare l’unica religione dell’impero: «La piena libertà religiosa — scrive la Sordi —, che scaturisce dall’accordo di Milano, rappresenta un equilibrio ideale che difficilmente una situazione storica, con i suoi molteplici condizionamenti concreti, riesce a conservare; delinea l’immagine di uno Stato che si definisce religioso e ritiene anzi il suo rapporto con la divinità fondamentale problema politico e si proclama nello stesso tempo aconfessionale, non in nome di un razionalismo scettico, ma in nome della sua confessata incompetenza a decidere, in quanto Stato, la natura teologica della divinità, il quicquid est divinitatis in sede caelesti, di uno Stato in cui il rapporto fra religione e politica nasce non dalla legge scritta, ma dalla legge non scritta, e il diritto della divinità ad essere adorata come vuole fonda la libertà di tutti a praticare il proprio culto e la propria fede religiosa secondo coscienza» (8). In effetti, conclude la storica, per Costantino «l’accordo di Milano era soltanto una fase interlocutoria, la ricerca di una possibilità di coesistenza col collega pagano, in attesa che i rapporti di forza, evolvendosi, permettessero a lui di essere l’unico imperatore e alla religione da lui scelta, la religione ufficiale di Roma», il tutto «[…] nella logica degli imperatori del III e IV secolo, nella logica della più arcaica pietas romana, per la quale la religione era innanzitutto una alleanza fra Roma e la divinità, per la salvezza di Roma e del suo impero» (9).
Ma lasciamo la storia e la teologia per venire all’epoca moderna, quando la Chiesa e la fede perdono la loro centralità e, nell’epoca «delle ideologie», dopo il 1789, i cattolici diventano una parte della società accanto agli altri partiti espressione delle principali ideologie: il liberalismo, il nazionalismo, il democratismo e il socialismo. In questo contesto sorgono i movimenti cattolici, prima per difendere la libertà della Chiesa conculcata dai governi liberali e poi, soprattutto a partire dal magistero sociale di Papa Leone XIII (1878-1903), per elaborare un progetto di ricostruzione di una civiltà cristiana nel nuovo regime culturale pluralistico. Per due secoli la Chiesa si contrappone al progetto delle ideologie moderne di ridurre la fede a qualcosa di privato e a volte anche di perseguitare la Chiesa, per favorirne la definitiva scomparsa dalla sfera pubblica. Nel corso di questo lungo periodo (1789-1989) anche la modernità cambia, attenuando i suoi propositi laicisti, come ha sottolineato il Papa emerito Benedetto XVI (2005-2013) in un celebre discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 (10), così pervenendo in Occidente a una sorta di compromesso — spesso sancito da concordati — che ha garantito una certa coesistenza della Chiesa con i sistemi democratici. Di fronte alla sfida del socialcomunismo, soprattutto dopo la conquista della Russia nel 1917, alcuni regimi in Occidente perdevano la carica ideologica anticristiana delle origini e trovavano conveniente schierarsi a fianco delle Chiese cristiane. La Chiesa coesiste con quei sistemi politici, ma subisce una lenta erosione dovuta all’avanzare del processo di secolarizzazione, specialmente in concomitanza con la rinascita economica che investe l’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale a partire dagli anni 1950. Così la Chiesa comincia ad avvertire con forza l’urgenza di una nuova evangelizzazione nelle stesse nazioni cristiane che stanno tornando pagane, come sottolinea l’allora don Joseph Ratzinger nel 1959 (11). E prende corpo l’idea di rinnovare la pastorale in senso missionario, cioè di testimoniare i princìpi originari del cristianesimo e, innanzitutto, l’annuncio di Cristo, in un mondo ormai privo della speranza temporale che le stesse ideologie progressiste avevano suscitato. Papa san Giovanni XXIII (1958-1963) decise, in questa prospettiva, di convocare il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), proprio per permettere alla Chiesa di rivolgersi, annunciando Gesù Cristo, a un uomo sempre più secolarizzato, lontano dalla Chiesa e meno ostile che in passato solo perché più indifferente.
In questa nuova situazione si diffuse la prospettiva di una rinuncia della Chiesa al legame con il potere politico, che certamente ne aveva logorato l’immagine, specialmente in Italia, dove vi era stato un collateralismo con il partito della Democrazia Cristiana (DC), sempre al governo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Tale commistione aveva garantito al Paese il «miracolo economico» degli anni 1950, la rinascita dal punto di vista demografico e uno sviluppo equilibrato della società soprattutto attraverso l’estensione del ceto medio, anche se l’atteggiamento della DC, rinunciatario sui principi, non impedì la penetrazione del laicismo nella società, come già nel 1960 denunciarono i vescovi italiani (12).
Per questo i nemici della «Chiesa costantiniana» cominciarono ad operare per osteggiare la DC quale espressione visibile — ai loro occhi — di un «cristianesimo sociale» che voleva incarnarsi nella vita pubblica, intrecciando la fede con la politica. Nacque così la «scelta religiosa», cioè la denuncia dell’uso politico della fede nella prospettiva anticomunista, con la DC accusata di essere il braccio secolare da parte di una Chiesa compromessa con il potere. Nacque anzitutto all’interno dell’Azione Cattolica — la maggiore organizzazione del laicato cattolico — per colpire chi, come Luigi Gedda (1902-2000) (13), era visto dai sostenitori della scelta religiosa come il rappresentante per eccellenza di questo uso politico della fede, assecondato dal venerabile Papa Pio XII (1939-1958) e invece ostacolato, oltre che dai sostenitori di questa posizione culturale, anche da chi nella DC operava per fare imboccare al partito una prospettiva culturale e politica diversa, intesa a ricostruire la società in senso anti-occidentale, dando vita a una sorta di «laburismo cristiano» in concorrenza con il Partito Comunista Italiano (PCI) ma da posizioni «di sinistra» (14).
Su una cosa i fautori della scelta religiosa, nemici della «Chiesa costantiniana», hanno oggi ragione e cioè sul fatto che quest’ultima non esiste più. Per decenni, fino al 1992, la DC ha mantenuto la titolarità del governo e goduto di un importante potere in Italia, ma la cultura dominante andava in un’altra direzione senza che la DC facesse grandi sforzi per ostacolare questa deriva. Quello che secondo il pensiero contro-rivoluzionario è una delle caratteristiche della Rivoluzione, il processo di emarginazione del cristianesimo dalla società e dalle istituzioni, violento o subdolo, nasceva fuori e contro la Chiesa, ma trovava in essa forze che si «vergognavano» di tutto un passato e non volevano che la Chiesa vi si opponesse. La DC, non i democristiani che la votavano e spesso la rappresentavano nelle istituzioni locali, ma i suoi principali dirigenti e intellettuali, riteneva più importante mantenere il potere per evitare che questo passasse nelle mani del partito comunista. In realtà la DC, e in generale il cattolicesimo «democratico» — cioè i cattolici organici alla Rivoluzione, secondo la felice espressione del filosofo comunista Antonio Gramsci (1891-1937) (15) —, assecondavano questo processo, a volte cercando di moderarlo o di rallentarlo, coinvolgendo per esempio i partiti della sinistra nell’area di governo per stemperarne l’animosità rivoluzionaria, ma non si opposero mai realmente al processo rivoluzionario, come ha spiegato Giovanni Cantoni nella lunga serie di articoli pubblicati su Cristianità dal 1973 fino allo scioglimento della DC.
Poi è arrivato il 1989, con la «svolta della Bolognina», decisa dal segretario del PCI Achille Occhetto, e la trasformazione del PCI in Partito Democratico della Sinistra (PDS) (16), che abbandonava la prospettiva rivoluzionaria marxista-leninista a favore di quella di un «partito radicale di massa» (17), accettando il patrimonio ideologico della modernità radicale e liberale e rinunciando all’utopia dell’«uomo nuovo» e del «mondo nuovo» del socialismo da forgiare attraverso la dittatura del proletariato.
In questa nuova fase della storia la Chiesa non arrivava impreparata nel suo magistero supremo. Vi erano certamente quelli che non si rassegnavano alla fine dell’era costantiniana, nonché i nostalgici della DC, che non volevano rinunciare ai privilegi del potere in un mondo sempre meno cristiano; così come, dall’altra parte, vi erano e vi sono quelli che vogliono accelerare questo processo, teorizzando una scelta religiosa radicale, una sorta di assenza della Chiesa dal dibattito pubblico, come se non avesse una propria architettura e una propria dottrina sociale con cui rendere migliore il mondo. Spesso, come la storia ha dimostrato, questa scelta religiosa diventa de facto una sudditanza al potente di turno e da questa prospettiva sono nati i vari clericalismi, il cattolicesimo liberale, il clerico-fascismo, il catto-comunismo e varie altre ibridazioni.
Tuttavia il Magistero, almeno a partire dal pontificato di Pio XII, aveva intuito il declino della modernità, l’esaurirsi dell’epoca delle ideologie e quindi la necessità di ricostruire un mondo, e ancora prima un uomo, dominati dalla disperazione del nichilismo, del relativismo, di un «pensiero unico» e di un potere che governava in nome di sé stesso, senza neppure sforzarsi di trovare una giustificazione in qualche ideologia. Questo è il senso della «nuova evangelizzazione», iniziata da Pio XII e rilanciata con vigore da san Giovanni Paolo II (1978-2005).
Essa però necessitava di un nuovo atteggiamento o, meglio, di recuperare lo spirito di missionarietà, il desiderio dell’apostolato, la voglia di comunicare la fede ricevuta, senza tenerla per sé e senza stupirsi perché non è più la fede della maggioranza degli italiani. Un nuovo atteggiamento che riconoscesse la realtà storica e partisse da essa per incidere su di essa, non per accettarla supinamente, ma neppure prescindendo da essa e così andando incontro alle peggiori delusioni.
Da questo punto di vista è molto utile il libro-inchiesta del sociologo torinese Franco Garelli Gente di poca fede (18). Esso ci informa del decremento, sempre più forte dal 1996 a oggi, del numero dei cattolici «impegnati» e dell’esistenza, invece, di una percentuale importante di cattolici «identitari» che si richiamano meno alla fede e più alla tradizione cristiana d’Italia. Questo dato sociologico in primo luogo dovrebbe spingere i cattolici a riconoscere di essere una minoranza e quindi ad assumere nei confronti del Paese quell’atteggiamento missionario che appunto è alla base della nuova evangelizzazione. In secondo luogo, se i risultati contenuti nel libro ci ricordano che questi cattolici «identitari» non hanno bisogno del «primo annuncio» di Cristo, va tuttavia loro ricordato che il cristianesimo non è solo una identità culturale, ma anche una dottrina e uno stile di vita che trova nelle beatitudini evangeliche e nel Catechismo qualcosa di irrinunciabile.
Il presupposto di tutto ciò, il punto di partenza di questo atteggiamento richiesto dal magistero della Chiesa e non sempre presente nelle comunità cristiane, è dunque lo spirito missionario.
Papa Francesco, a questo proposito, ha detto: «Ma prima di partire, quando apparve agli Undici, disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). C’è la missionarietà della fede. La fede, o è missionaria o non è fede. La fede non è una cosa soltanto per me, perché io cresca con la fede: questa è un’eresia gnostica. La fede ti porta sempre a uscire da te. Uscire. La trasmissione della fede; la fede va trasmessa, va offerta, soprattutto con la testimonianza: “Andate, che la gente veda come vivete” (cfr v. 15)» (19). E poi, nella stessa omelia, ha ricordato un episodio significativo: «Qualcuno mi diceva, un prete europeo, di una città europea: “C’è tanta incredulità, tanto agnosticismo nelle nostre città, perché i cristiani non hanno fede. Se l’avessero, sicuramente la darebbero alla gente”. Manca la missionarietà. Perché alla radice manca la convinzione: “Sì, io sono cristiano, sono cattolico…”. Come se fosse un atteggiamento sociale. Nella carta d’identità ti chiami così e così… e “sono cristiano”. È un dato della carta d’identità. Questa non è fede! Questa è una cosa culturale» (20).
Negli anni successivi al Concilio Ecumenico Vaticano II sono nati diversi movimenti e associazioni in seno alla Chiesa, che hanno assunto questo atteggiamento di missionarietà e forse hanno trovato nell’istituzione del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione una conferma importante della direzione da loro intrapresa (21).
Il lavoro di Garelli e la riduzione in tempo di coronavirus da parte dello Stato italiano della religione a qualcosa di equivalente al barbiere, certamente meno importante del tabaccaio, ci possono aiutare a riflettere su quanto scriveva Matzuzzi, cioè sull’irrilevanza della Chiesa italiana nella situazione attuale. Una irrilevanza che può essere affrontata con lo spirito delle minoranze che hanno coscienza di esserlo, che si sforzano di assumere l’atteggiamento missionario verso il loro prossimo indicato dal Magistero, senza rimpianti inutili e controproducenti e trattando con lo Stato e con le altre istituzioni come tratta una minoranza che non si illude di essere o di rappresentare quello che non è, ma neppure si abbatte, anzi.
L’«epoca costantiniana» è finita, ma ne va presentata la memoria difendendone gli aspetti positivi e rifiutando la demonizzazione a cui è stata sottoposta, anche in ambiente ecclesiale. Se ne è già esistita una ed è durata dieci secoli, una cristianità nuova può tornare a esistere. Come diceva Joseph de Maistre (1753-1821) dopo la Rivoluzione: «[…] non vi sarebbero per caso più uomini in Francia?» (22).
Note:
(1) Cfr. Matteo Matzuzzi, La Waterloo della Cei, in il Foglio quotidiano, Roma 28-4-2020.
(2) Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 2005, parte I, cap. 1, Il disegno di amore di Dio per l’umanità.
(3) Cfr. Hartmut Leppin, Teodosio il Grande, trad. it., Salerno, Roma 2008.
(4) Cfr. Pierre Maraval, Giustiniano. Il sogno di un impero cristiano universale, trad. it., 21 Editore, Palermo 2017.
(5) Cfr. Marie Dominique Chenu-Mauro Pesce, La fine dell’era costantiniana, Morcelliana, Brescia 2013.
(6) Cit. in Gianmaria Zamagni, Fine dell’era costantiniana. Retrospettiva genealogica di un concetto critico, il Mulino, Bologna 2012, pp. 10-11. Queste parole del pastore calvinista sono del 1935 e hanno influenzato il successivo dibattito ancora per molti anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945).
(7) Karl Baus, Le origini. La Chiesa apostolica e subapostolica. Vita e letteratura ecclesiastica dalle persecuzioni all’avvento di Costantino. I-IV secolo, in Storia della Chiesa, diretta da don Hubert Jedin (1900-1980), 10 voll. in 16 tomi, Jaca Book, Milano 2006, vol. I, pp. 70-545 (pp. 543-544).
(8) Marta Sordi, I cristiani e l’impero romano, nuova ed. riveduta e aggiornata, Jaca Book, Milano 2011, p. 182.
(9) Ibid., p. 183.
(10) «Nel frattempo, tuttavia, anche l’età moderna aveva conosciuto degli sviluppi». Per esempio, «ci si rendeva conto che la rivoluzione americana aveva offerto un modello di Stato moderno diverso da quello teorizzato dalle tendenze radicali emerse nella seconda fase della rivoluzione francese» (Benedetto XVI, Discorso ai Cardinali, agli Arcivescovi, ai Vescovi e ai Prelati della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi, del 22-12-2005).
(11) Cfr. Joseph Ratzinger, I nuovi pagani e la Chiesa, trad. it., in Cristianità, anno XLV, n. 384, marzo-aprile 2017, pp. 29-40.
(12) Cfr. Francesco Pappalardo, «Il laicismo. Lettera dell’Episcopato italiano al clero» del 25 marzo 1960, ibid., anno XXXV, n. 340, marzo-aprile 2007, pp. 13-18.
(13) Su Gedda, cfr. il mio Luigi Gedda e il movimento cattolico in Italia, prefazione di Giovanni Cantoni (1938-2020), Sugarco, Milano 2012.
(14) Cfr. il mio Nota su Giuseppe Dossetti e sul dossettismo, in Cristianità, anno XXV, n. 263, marzo 1997, pp. 3-6.
(15) Sul punto e in generale sul «cattolicesimo democratico», cfr. G. Cantoni, La lezione italiana. Premesse, manovre e riflessi della politica di compromesso storico sulla soglia dell’Italia rossa, in appendice: l’atto di consacrazione dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria, Edizioni di «Cristianità», Piacenza 1980.
(16) Cfr. il mio «Dal PCI al PDS: le tappe e i contenuti di una trasformazione rivoluzionaria, in Cristianità, anno XXII, n. 225-226, gennaio-febbraio 1994, pp. 5-9.
(17) «Fermiamo il partito radicale di massa», intervista a G. Cantoni, ibid., pp. 10-12.
(18) Cfr. Franco Garelli, Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, il Mulino, Bologna 2020.
(19) Papa Francesco, Omelia «La fede va trasmessa, va offerta, soprattutto con la testimonianza» durante la celebrazione mattutina trasmessa in diretta dalla cappella di Casa Santa Marta, del 25 aprile 2020.
(20) Ibidem.
(21) Istituito da Papa Benedetto XVI con la Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio «Ubicumque et semper», del 21 settembre 2010; per informazioni sul Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione è utile consultare il sito web <pcpne.va>.
(22) Joseph de Maistre, Lettera al visconte de Bonald, del 29-5-1819, in Idem, Oeuvres Complètes, nouvelle édition contenant ses Oeuvres posthumes et toute sa Correspondance inédite, 14 voll., Imprimerie Vitte & Perrussel, Lione 1886, vol. XIV, VI. 1817-1821, pp. 166-170 (pp. 168-169).