Giovanni Paolo II, Cristianità n. 315 (2003)
Discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale delle Antille in visita ad limina Apostolorum, del 7-5-2002, n. 4, in L’Osservatore Romano, 8-5-2002. Titolo redazionale.
In Ecclesia in America ho osservato che: “è quanto mai necessario che i fedeli passino da una fede abitudinaria […] ad una fede consapevole, vissuta personalmente. Rinnovarsi nella fede sarà sempre la via migliore per condurre tutti alla Verità che è Cristo” (n. 73). Per questo, è essenziale sviluppare nelle vostre Chiese particolari una nuova apologetica per il vostro popolo affinché possa capire ciò che la Chiesa insegna ed essere quindi in grado di dare ragione della propria speranza (cfr. 1 Pt. 3, 15). In un mondo in cui le persone sono continuamente sottoposte alla pressione culturale e ideologica dei mezzi di comunicazione sociale e all’atteggiamento aggressivamente anti-cattolico di molte sette, è essenziale che i cattolici sappiano che cosa insegna la Chiesa, capiscano quell’insegnamento e sperimentino la sua forza liberatrice. La mancanza di comprensione porta alla carenza di quell’energia spirituale che è invece necessaria alla vita cristiana e all’opera di evangelizzazione.
La Chiesa è chiamata a proclamare una verità assoluta e universale al mondo in un momento in cui molte culture provano profonda incertezza sull’esistenza o meno di tale verità. Quindi, la Chiesa deve parlare con la forza della testimonianza autentica. Nel considerare ciò che tale compito implica, Papa Paolo VI ha identificato quattro qualità, che ha definito perspicuitas, lenitas, fiducia, prudentia — chiarezza, mitezza, fiducia e prudenza (cfr. Lettera Enciclica Ecclesiam suam, n. 81).
Parlare con chiarezza significa spiegare in maniera comprensibile la verità della Rivelazione e gli insegnamenti della Chiesa che ne derivano. Quanto insegniamo non è sempre immediatamente o facilmente accessibile alle persone di oggi. Per questo, bisogna spiegare e non solo ripetere.
Intendevo proprio questo quando ho detto che abbiamo bisogno di una nuova apologetica, adatta alle esigenze di oggi, che consideri che il nostro compito non consiste nel conquistare argomenti, ma anime, nell’impegnarci in una specie di lotta spirituale, non in una disputa ideologica, nel difendere e promuovere il Vangelo, non noi stessi.
Questa apologetica avrà bisogno di respirare uno spirito di mitezza, quell’umiltà e quella compassione che comprendono le ansie e gli interrogativi delle persone e, al contempo, non cedono a una dimensione sentimentale dell’amore e della compassione di Cristo, separandoli dalla verità. Sappiamo che l’amore di Cristo può fare molte richieste, proprio perché queste non sono legate al sentimentalismo, ma alla verità che sola rende liberi (cfr. Gv. 8, 32).
Parlare con fiducia significherà non perdere mai di vista la verità assoluta e universale rivelata in Cristo e il fatto che essa è la verità alla quale tutti anelano, indipendentemente da quanto disinteressati, ostili o restii possano sembrare.
Parlare con quella saggezza pratica e quel buon senso che Papa Paolo VI definisce prudenza e che Gregorio Magno considera una virtù dei coraggiosi (Moralia, 22, 1) significherà dare una risposta chiara a chi chiede: “che cosa dobbiamo fare?” (Lc. 3, 10, 12, 14). In questo la grave responsabilità del nostro ministero episcopale appare in tutta la sua difficoltà. Dobbiamo pregare ogni giorno affinché lo Spirito Santo ci illumini, possiamo parlare secondo la sapienza di Dio, e non secondo quella del mondo, “perché non venga resa vana la croce di Cristo” (1 Cor. 1, 17).
Papa Paolo VI ha concluso osservando che parlare con perspicuitas, lenitas, fiducia e prudentia “ci farà sapienti; ci farà maestri” (cfr. Ecclesiam suam, n. 83) e che questo è ciò che siamo soprattutto chiamati a essere: maestri di verità, che non smettono mai di implorare “la grazia di vedere la vita intera e la forza di parlarne efficacemente” (Gregorio Magno, Su Ezechiele, I, II, 6).