Ettore Ribolzi, Cristianità n. 146-147 (1987)
Intervista con Laszek Moczulski
Per una Polonia indipendente
Nel 1939, in Polonia, per far fronte alle occupazioni nazionalsocialista e comunista, nasce la prima organizzazione clandestina della Resistenza europea, l’AK, l’Armata Segreta polacca. Il sovietologo Pietre Faillant de Villemarest ha ricostruito la storia e la tragedia di questa forza armata della nazione cattolica polacca sulla base di documenti e delle memorie di Jan Nowak, un agente di collegamento fra l’Armata Segreta stessa e il governo inglese (cfr. Courier from Varsaw, Collins/Harvill, Londra 1982), descrivendone l’insurrezione contro le truppe d’occupazione nazionalsocialiste il 1° agosto 1944 e l’abbandono da parte degli Alleati, che la espone a una durissima repressione prima per opera dei nazionalsocialisti poi dei sovietici, quando le truppe comuniste subentrano a quelle hitleriane, dopo aver assistito inerti alla distruzione di Varsavia e al massacro dei combattenti polacchi (cfr. La tragedia di Varsavia e dell’Armata Segreta polacca, in Cristianità, anno XII, n. 114, ottobre 1984).
Provvidenzialmente, si tratta di un’epoca assolutamente non conclusa. Infatti, dall’Armata Segreta deriva direttamente la KPN, la Confederazione per una Polonia Indipendente. Ufficialmente fondata il 1° settembre 1979 e radicata in tutto il paese, questa organizzazione ha tra i suoi primi responsabili lo storico e giornalista Laszek Moczulski ed eroiche figure della seconda guerra mondiale come Anton Padjak, uno dei pochi sopravvissuti negli anni Settanta agli avvenimenti del 1945, quando i diciotto capi dell’Armata Segreta vengono attirati a Mosca con il pretesto di discutervi di un futuro governo nazionale polacco, quindi arrestati, torturati e fucilati.
Dal 1976, studi e volantini fatti circolare clandestinamente dagli attuali dirigenti della KPN annunciano la crisi che colpirà, dopo il 1980, il regime comunista nell’Unione Sovietica e nei paesi da essa a diverso titolo occupati, sottolineando il fatto che questa crisi in gestazione avrebbe potuto cominciare dalla Polonia.
Nell’ottobre del 1979, Laszek Moczulski pubblica Una rivoluzione nella rivoluzione, in cui indica nello sciopero il miglior strumento per lottare contro il totalitarismo comunista. Dal 1956 non ha mai smesso di insistere sulla necessità che la battaglia per l’indipendenza e per la sovranità della nazione si appoggi sulla Costituzione e sulle leggi vigenti, costringendo il governo ad applicarle e così giungendo all’indizione di elezioni veramente libere.
Oggi, dei suoi cinquantasei anni di vita, Laszek Moczulski ne ha già trascorsi sei in carcere. Condannato nel 1982 a sette anni di prigione, successivamente liberato grazie all’amnistia del 1984, viene di nuovo arrestato il 9 marzo 1985 e quindi rimesso in libertà, dopo qualche mese, in seguito a pressioni internazionali, prova del rispetto che nutrono nei suoi confronti sia i suoi concittadini in Polonia che i polacchi all’estero — quali che siano le loro tendenze politiche — in considerazione delle sue qualità umane, del suo coraggio, del suo disinteresse e della sua cultura.
Il 18 aprile 1986, nel corso dell’ultimo processo cui è sottoposto, Laszek Moczulski non manca di avvertire i giudici che intende continuare a lottare instancabilmente, nell’ambito della legislazione vigente, perché la Polonia riconquisti la sua indipendenza. Quindi, approfittando di un visto di soggiorno temporaneo all’estero, si reca negli Stati Uniti — dove incontra il vicepresidente George Bush e i membri della commissione parlamentare per gli Affari Esteri —, poi in Inghilterra, facendo finalmente tappa a Parigi dove, il 29 maggio 1987, è protagonista di un’affollata conferenza stampa organizzata dall’Association des Combattants de la Résistance Intérieure polacca — cioè dall’associazione dei reduci in Francia dell’AK — e dalla Conférence Internátionale des Résistances en Pays Occupés, la CIRPO. Il responsabile della KPN — uno dei movimenti cattolici, nazionali e non socialisti fra gli undici attualmente operanti in Polonia e radicati in tutto il paese, dei quali ha fatto l’inventario, il 14 ottobre 1986, un bollettino edito clandestinamente — è presentato da Pierre Faillant de Villemarest, presidente della CIRPO-France, che fra l’altro informa relativamente a difficoltà avute dall’ospite per ottenere il visto d’entrata.
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D. Qual è l’attuale situazione della Polonia?
R. Attualmente la Polonia si trova in una situazione difficile, nello stesso tempo carica di speranze e di pericoli.
Da un certo punto di vista la situazione appare tragica. Dopo quarant’anni di governo comunista è probabilmente il paese più disastrato d’Europa: l’ambiente naturale è il più deteriorato del continente e la mortalità infantile è la più alta d’Europa. Inoltre, più della metà della popolazione non arriva alla vecchiaia, mentre l’attrezzatura tecnica dell’industria è ormai per il settantacinque per cento logorata. Da questo punto di vista, quindi, è come se fossimo usciti da una grande guerra perduta.
Per altri aspetti, tuttavia, la situazione polacca è molto migliore di quella degli altri paesi comunisti, dal momento che la società polacca è riuscita a ottenere molte conquiste in decine d’anni di lotta. Tre aspetti, in particolare, differenziano la Polonia. Il primo è costituito dalla completa autonomia della Chiesa cattolica, che è la prima educatrice della società. Sebbene l’ateismo faccia parte dell’ideologia ufficiale, la quasi totalità degli abitanti è educata nella religione cattolica.
In secondo luogo, per quanto l’economia sia dominata dallo Stato, tuttavia il settore agricolo si trova quasi interamente in mani private.
Infine, nonostante la Polonia abbia un regime monopartitico, da più di dieci anni esistono partiti politici d’opposizione riconosciuti, almeno di fatto, dall’autorità.
Tutto ciò differenzia notevolmente la Polonia dagli altri paesi del cosiddetto campo comunista. Ma la differenza non deriva dal fatto che le autorità comuniste polacche siano più liberali che altrove, anzi, a mio avviso, in Polonia il potere comunista è anche meno liberale che altrove. La causa della diversa situazione sta piuttosto nel fatto che il rapporto di forza fra la società e il potere imposto è diverso rispetto ad altri paesi. In sintesi, noi polacchi non abbiamo ricevuto nulla da nessuno, ma tutto quello che abbiamo attualmente ce lo siamo conquistato, e con grandi difficoltà.
Nel corso degli ultimi dieci anni il potere comunista ha cercato con la forza di obbligare i polacchi all’ubbidienza. Così, cinquantamila persone sono state incarcerate in prigioni e campi di concentramento. Tuttavia il potere non è riuscito a spezzare la società né ad annientare l’opposizione, ed è stato quindi obbligato a fare marci indietro. In altri termini, il potere ha perso la battaglia di questi ultimi cinque anni. Conseguentemente, l’immediato futuro della Polonia sarà determinato non solo dai tre fattori che ho nominato poc’anzi, ma anche da questa recente sconfitta del potere.
La Chiesa educa i polacchi all’amore per il proprio paese e per la religione, e fra pochi giorni tutti potranno vedere quanto i polacchi siano attaccati a questi valori.
L’agricoltura privata nutre quegli stessi uomini che il regime vorrebbe condannare a morte per fame e una lotta clandestina ha potuto sopravvivere perché quanti combattevano nella clandestinità hanno avuto di che sfamarsi grazie all’agricoltura privata. Di fatto vi è un’opposizione democratica forte e capace di far progredire la società. Essa si compone essenzialmente del sindacato Solidarnosc e di numerosissimi partiti che, ora che si sono ricostituiti, rappresentano un ventaglio completo di tutte le tendenze politiche, da destra a sinistra.
In questo ventaglio il partito che dirigo, la KPN, si distingue per il suo impegno irremovibile per la libertà e per l’indipendenza della Polonia. Siamo l’unico partito, per il momento, che mira in modo assoluto alla liberazione della Polonia dall’egemonia sovietica e a un cambiamento radicale di regime. Vogliamo uno Stato libero, democratico, fondato su un’economia di mercato.
I tre fattori di cui ho parlato, l’agricoltura, la Chiesa e l’opposizione, sono fattori costanti della nostra vita politica. Il quarto fattore, invece, ha un carattere temporaneo, ed è conseguenza del fallimento del regime subito lo scorso autunno, quando il potere è stato obbligato ad abolire la legge marziale. Questo ha creato una situazione del tutto nuova sul piano psicologico e politico, ed è solo questione di tempo per arrivare a ottenere una piena attività politica da parte della società polacca, favorita in ciò dall’attuale situazione internazionale. Pertanto, per i prossimi anni — forse anche per l’anno venturo — si possono attendere cambiamenti politici fondamentali. Si assisterà a un nuovo riconoscimento ufficiale di Solidarnosc; ma non ci fermeremo qui, andremo più avanti.
Ritengo che l’evoluzione di questa situazione favorevole alla Polonia sia favorevole anche a tutto il resto d’Europa, perché penso che giovi a tutti l’allargamento della democrazia nel nostro paese. Inoltre, l’uscita di esso dall’egemonia sovietica non può che aumentare la sicurezza europea. Sono
quindi persuaso che la nostra lotta non giovi solo alla Polonia, ma che contribuisca anche a far sì che pure gli altri Stati della nostra parte d’Europa possano un giorno imitarci, e credo anche che la nostra lotta giovi all’unità di tutta l’Europa e alla pace mondiale.
D. Su che cosa si basa questa congiuntura che definisce «favorevole»?
R. La nostra attuale situazione favorevole si basa principalmente sul fatto che, finché i russi cercano un’intesa con gli Stati Uniti, è poco probabile un intervento armato russo in Polonia. E se non dovesse avere luogo un intervento militare sovietico, da parte nostra sappiamo benissimo come sbrigarcela da soli. In primo luogo abbiamo creato un sindacato libero, Solidarnosc; poi un pluralismo politico, cosa che potrebbe sembrare paradossale in uno Stato totalitario. Il terzo passo sarà ricuperare la libertà.
D. Quelle descritte sono, evidentemente, le sue speranze. Quali sono i rischi legati alla loro realizzazione?.
R. Certo, dopo aver visto le speranze bisogna vedere anche quali sono i pericoli. Ve n’è uno in particolare: i progressi della democrazia in Polonia possono anche significare l’eclissi dei sogni di dominazione di certi Stati sulla nazione, sui nostri connazionali all’interno e all’esterno del nostro paese. Non è escluso che questi Stati, per difendere le loro posizioni, facciano appello a mezzi pericolosi.
Inoltre, vi è un altro rischio: se il progresso della Polonia fosse troppo lento, rischiamo di avere un’esplosione sociale nel nostro paese. Secondo alcuni quest’esplosione è inevitabile, ma se così fosse milioni di persone ne sarebbero colpite. E, senza dubbio, si tratterebbe di un’esplosione molto più grande e molto più brutale di quella che ha portato alla nascita di Solidarnosc, all’inizio del 1980. Il rischio è quindi quello di un’esplosione violenta, di carattere generale e fuori da ogni controllo, e non solo fuori dal controllo del regime. Questo potrebbe condurre a conseguenze assolutamente imprevedibili, e la stabilità di tutta l’Europa ne risulterebbe minacciata. Infatti, se per il succedersi degli avvenimenti dovessimo far fronte a un intervento armato dell’Unione Sovietica, non solo l’Europa, ma il mondo intero si troverebbe in una situazione politica nuova.
Tuttavia, l’attuale situazione internazionale è dominata dalla ricerca estremamente difficoltosa di un’intesa fra Est e Ovest. Ora, se i carri armati sovietici dovessero entrare a Varsavia, sarebbe molto difficile continuare a parlare di una politica Est-Ovest. Si assisterebbe contemporaneamente alla caduta di Varsavia e alla caduta dell’attuale politica di Gorbaciov. Ancora una volta, quindi, penso che su questo punto gli interessi della Polonia, dell’Europa e del mondo siano convergenti. Il fatto che la situazione si sviluppi pacificamente, e che la nostra nazione conquisti progressivamente i propri poteri, penso sia non solo interesse nostro, ma interesse di tutti. Ma se, viceversa, si cercherà di tenerci in schiavitù con la forza, questo fatto sarà una disgrazia per tutti, non solo per noi.
D. Qual è la sua opinione relativamente alla politica di Mikhail Gorbaciov? La giudica affidabile?
R. A noi polacchi è stato insegnato che, in materia di politica, non ci si può fidare di nessuno. Ma saremo molto felici se Gorbaciov farà riforme democratiche nell’Unione Sovietica. Sarebbe bene che l’Unione Sovietica, dato che occupa la Polonia da molto tempo, impari a dare inizio a un’agricoltura individuale privata, a una Chiesa libera e a un’opposizione. Solo a questo livello, infatti, si può parlare di progresso.
Vorrei però dire che l’attuale politica di Gorbaciov comporta per noi certe opportunità politiche, che d’altra parte possono riservare pericoli forse anche maggiori. Comunque cercheremo di approfittare delle opportunità e di evitare i pericoli. E nello stesso tempo auguriamo a Gorbaciov buona fortuna in tutto quanto di buono intraprende!
D. Dopo aver trascorso — ultimamente — un certo tempo negli Stati Uniti e aver avuto molti contatti significativi con ambienti politici americani, quali speranze ritiene di potervi ricollegare?
R. Durante le mie settimane di soggiorno negli Stati Uniti ho avuto un centinaio di incontri con personalità americane. Il mio contatto a più alto livello è stato il colloquio con il vicepresidente Bush, ma ho parlato con molti uomini politici di tutte le correnti, dai liberal all’estrema destra.
Penso, poiché questo era il mio scopo principale, di essermi fatto un’idea adeguata delle differenti correnti e delle possibilità offerte dall’attuale panorama politico americano.
Come ho già detto, la Polonia si trova davanti a decisioni estremamente importanti e tra breve, senza dubbio, dovremo prendere risoluzioni che riguarderanno la sorte di milioni di persone. Pertanto, non avremo il diritto di commettere errori. E in materia di politica estera è molto più facile commettere errori, quando ci si illude che altri possano fare qualcosa in vece nostra. Il disastro della Polonia dopo la seconda guerra mondiale è stato appunto causato dalle illusioni dei nostri uomini politici del tempo. Per questo il mio scopo principale era di sbarazzarmi di tutte le illusioni, e penso di essermene sbarazzato.
Credo, comunque, che vi sia anche un lato più ottimistico del mio viaggio negli Stati Uniti. Ho inteso infatti sensibilizzare gli uomini politici americani su alcuni problemi polacchi, e soprattutto sulla loro importanza alla luce della politica mondiale globale. Penso di esservi riuscito, almeno in qualche misura. Credo comunque che questo problema debba continuare a essere discusso e che gli Stati Uniti, amici nostri oggi e domani, continueranno questo lavoro.
In ogni caso è stato stabilito il contatto fra gli uomini politici americani e l’opposizione indipendente polacca e penso abbia la sua importanza il fatto di aver condotto colloqui al medesimo livello del rappresentante ufficiale della repubblica polacca.
D. Si può senza difficoltà notare come la maggior parte dell’establishment occidentale non abbia — per dire il meno — come primo obiettivo la liberazione dell’Europa centrale e orientale occupata dai comunisti. Come ha cercato di interessare gli esponenti di questo establishment al caso polacco?
R. È vero che per l’Occidente non è un punto d’interesse essenziale la liberazione dell’Europa centrale od orientale. Se lo fosse stato, già da tempo saremmo stati liberati. Per questo, appunto, nel corso dei miei colloqui negli Stati Uniti ho cercato di collegare i nostri problemi alla politica globale, dal momento che i nostri problemi hanno per la politica globale un interesse molto maggiore di quello che comunemente si pensa. Di conseguenza posso dire che l’attenzione che ci riserveranno i paesi liberi è proporzionale all’attività che sapremo dispiegare da noi stessi. Dovunque io sia andato in Occidente la parola «solidarnosc» risvegliava reazioni positive, di simpatia, e ciò è dovuto al fatto che Solidarnosc può contare su dieci milioni di aderenti attivi. E, quindi, se riusciamo a far sì che milioni di persone continuino a essere attive in Polonia, allora essa si troverà, o continuerà a trovarsi, al centro dell’interesse politico dell’Occidente.
D. Nella descrizione dell’attuale situazione polacca ha messo in adeguato rilievo l’importanza della Chiesa. In questa prospettiva, che portata attribuisce alla terza visita pontificia in Polonia, in occasione della celebrazione del secondo Congresso Eucaristico nazionale?
R. Do molta importanza alla visita del Papa, ma vi sono più aspetti da analizzare.
Il primo riguarda più direttamente il Congresso Eucaristico. Sotto questo aspetto il viaggio del Papa assume un’importanza capitale dal punto di vista politico e sociale. Milioni di polacchi si raduneranno assieme, nel medesimo luogo, e ciò permetterà di vedere la nostra forza. A questi milioni di persone il Santo Padre parlerà del bisogno della verità e del bisogno di combattere per la verità, e senza dubbio ciò sarà molto importante per i polacchi.
A mio avviso, poi, la visita avrà anche un aspetto specificamente politico. Spero, infatti, che in questa occasione vengano restituiti alla Chiesa alcuni diritti che le sono stati tolti dopo la rottura del Concordato.
Inoltre, la visita avrà per me anche un momento di carattere personale: il Santo Padre sarà per la terza volta in Polonia, ma sarà la prima volta in cui potrò vederlo da quando se ne ti andato. Infatti, quando è venuto la prima volta ero stato messo agli arresti domiciliari, mentre la seconda volta ero più semplicemente in prigione. Ma penso che stavolta potrò incontrare il Papa da uomo libero.
D. Qual’è stata e quale può essere la funzione di Solidarnosc?
R. Solidarnosc è stata molto importante: durante i mille anni della nostra storia non abbiamo mai avuto un altro movimento che abbia inglobato così massicciamente la nostra popolazione. Con la creazione e l’attività di Solidarnosc si è avuto un riassunto di tutto quanto vi è di meglio in Polonia. Ho potuto constatare spesso che, in Occidente, si identifica Solidarnosc con la Polonia, e ne siamo soddisfatti e anche fieri.
Walesa è stato un uomo notevole e ha compiuto un lavoro importante. A dire il vero, i nostri contatti sono per lo più avvenuti prima dell’agosto del 1980 — perché poi sono stato incarcerato —, ma già allora si vedeva quanto notevole fosse l’uomo. Penso che abbia trovato un posto nella storia della Polonia, e non solo per quanto ha creato, ma anche per quello che potrà ancora fare.
Ma, per favore, ricordatevi che tutto cambia. Anche la Resistenza francese fu importante, ma non credo che per la Francia sarebbe stata la soluzione migliore se fosse rimasta al livello della Resistenza della seconda guerra mondiale.
Vi sarebbe di che rammaricarsi se l’organizzazione dei polacchi si fermasse allo stadio di un sindacato, anche di un sindacato che conta dieci o venti milioni di aderenti.
Naturalmente vogliamo sindacati indipendenti, ma prima di tutto vogliamo uno Stato libero. Solidarnosc è stata molto importante, ma non più della stessa Polonia. Adesso lo stadio di Solidarnosc è stato superato, il livello di sviluppo della Polonia ha superato Solidarnosc. Anche se la nostra meta politica più prossima è la ricostituzione di Solidarnosc, questa è soltanto una tappa.
D. Illustrando i pericoli ai quali è espostala Polonia, ha parlato di un ipotetico intervento militare sovietico e di una altrettanto ipotetica esplosione sociale…
R. Sono profondamente persuaso che, attualmente, si può evitare l’esplosione in Polonia. Vogliamo evitare ogni esplosione sociale, vogliamo evitare alla Polonia, che è già in una situazione tanto grave, altre perdite. Tutta la nostra azione mira all’interesse della società, anche se, nello stesso tempo, ci rendiamo conto che, avendo come campo il corpo stesso della nazione, potrebbe pure provocare sofferenze e mali, come l’esperienza insegna.
Per questo dunque, sebbene il partito che rappresento non ami i comunisti, al limite siamo anche disposti a discutere con loro, nella misura in cui ciò può evitare perdite umane. Ma, da questo punto di vista, oggi tutto si trova nelle mani del regime: infatti, è il potere che non vuole discutere con la società, perché ha paura. Ha paura di discutere con l’opposizione, perché sa che, intraprendendo la via della discussione, si metterebbe su una discesa scivolosa, che lo porterebbe alla non esistenza politica. Ma anche così, sia o non sia disposto a discutere, il regime si trova già su una discesa scivolosa, che lo condurrà alla non esistenza politica.
E, dunque, il pericolo di una esplosione potrebbe nascere qualora il potere dovesse opporre resistenza. Invece, se il potere dovesse decidersi per una politica di concessioni, saremo pronti a discutere le condizioni senza far torto a nessuno, e fino alla completa amnistia per coloro che hanno quasi assassinato la Polonia per quarant’anni.
D. Tornando all’ipotesi di un intervento militare sovietico, quali sono le possibilità di una resistenza, per esempio come quella afgana?
R. Guardi, la Polonia si trova al centro dell’Europa e la nostra è una situazione particolare. Abbiamo poche montagne e poche foreste, ne sono rimaste ben poche dopo la guerra. Inoltre abbiamo perso sei milioni di abitanti, in media duecentoventidue morti ogni mille polacchi. La resistenza afgana è una cosa magnifica, ma terribile. È magnifico che si lotti così per la propria libertà, ma queste perdite sono tragiche. Vorremmo avere una Polonia indipendente senza però avere perdite: ad ogni modo faremo tutto il possibile per evitarle.
D. Oltre alle ipotesi di un intervento militare e di un’esplosione sociale, esclude l’eventualità di una politica fatta di piccole concessioni come quella attuata dal regime comunista in Ungheria?
R. Non si deve dimenticare che la rivolta ungherese è stata domata con carri armati, non certo con piccole concessioni.
Accetteremmo volentieri dal potere anche concessioni minori, ma resta il fatto che, dal punto di vista comunista, la situazione in Polonia potrebbe essere domata solo mediante i carri armati, perché solo di fronte a essi non saremmo in grado di resistere. Ma se non arriveranno i carri armati, allora sapremo farcela da soli.
E garantiremo agli aderenti al partito comunista il libero esercizio, supponendo che ne rimanga qualcuno.
D. A proposito, vi sono ancora comunisti per convinzione in Polonia?
R. Può anche essere che vi siano in Polonia comunisti convinti. Personalmente ne conosco uno solo. Anzi, no, ne ho incontrati altri: in prigione!
D. È sicuro di poter fare ritorno in Polonia?
R. La Polonia è la mia patria. Lì è il mio posto e vi farò ritorno certamente, venerdì 5 giugno alle ore 15, quando atterrerò all’aeroporto.
Non credo che qualcuno mi respingerà, e se, nonostante tutto, qualcuno volesse impedire il mio ritorno, troverei comunque la strada per ritornare in Polonia.
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L’8 giugno 1987 — come riferisce il CEI, il Centre Européen d’Information (cfr. la lettre d’information, supplemento settimanale telex, anno VII, n. 25, 21-6-1987) —, cioè tre giorni dopo il previsto, Laszek Moczulski rientra in Polonia. Subito arrestato, dopo dieci ore viene rilasciato, quindi nuovamente tratto in arresto e poi liberato, con tipico procedimento intimidatorio e con la minaccia di nuovi anni di prigione. Comunque, il 14 giugno è presente, nella chiesa della Santa Croce, a Varsavia, quando il Santo Padre Giovanni Paolo II incontra il mondo della cultura e dell’arte.
A cura di Ettore Ribolzi