Un’importante lectio di Rémi Brague cerca di spiegare le cause profonde dell’incredibile involuzione della cultura occidentale contemporanea
di Leonardo Giordano
Il quotidiano Il Foglio, nel suo numero del 30 novembre scorso, ha pubblicato la Lectio Magistralis di Rémi Brague presso la Fundacion Neos di Madrid, dal titolo Perché l’uomo occidentale si è ridotto ad odiare se stesso. Chi è Rémi Brague? Filosofo e antropologo, egli insegna Filosofia medioevale e araba presso la Sorbonne di Parigi e Filosofia delle religioni presso l’Università “Ludwig Maximilian” di Monaco di Baviera. Nel 2017, insieme a Roger Scruton, Robert Spaemann e Pierre Manent, fu tra gli estensori e i primi firmatari di un manifesto di 36 punti dal titolo significativo: Un’Europa in cui possiamo credere, noto come “Dichiarazione di Parigi”, cui diedero la propria adesione ben 100 intellettuali europei con l’eloquente assenza di un qualsiasi esponente della cultura italiana.
Nella Lectio Magistralis di Madrid, Brague si propone di affrontare, dal punto di vista non dello storico ma del filosofo, in particolare del filosofo delle religioni, il tema delle cause che sarebbero alla base di fenomeni come il woke, la cancel culture, l’acritica adesione dell’intellighenzia occidentale all’ideologia gender, all’eutanasia e all’ecologismo ideologico, fenomeni tutti riconducibili ad un odio che l’uomo occidentale proverebbe verso se stesso. Egli afferma in premessa: «Sono un filosofo o, per meglio dire, uno storico delle idee o un filosofo travestito da storico delle idee. Per questo motivo, è chiaro che ho una tendenza a sovrastimare la dimensione filosoficamente rilevante dei fatti e a escludere dalla sfera i fattori economici, politici, ecc. della situazione presente che non rientrano nella mia competenza.»
Non si tratta di una precisazione superflua o ridondante, perché questo approccio dell’intellettuale francese al tema dell’odio dell’Occidente verso la propria storia e la propria civiltà va molto in profondità, evitando di soffermarsi su di una superficiale descrizione di ciò che è il prodotto di cause più profonde. Non è la fenomenologia, ma l’eziogenesi di questa forma di cupio dissolvi dell’Occidente e dell’uomo occidentale che interessa Brague.
Secondo Brague (qui emerge l’antropologo) tutto ha origine dall’affermarsi della concezione per cui il mondo attuale, la sua biosfera e l’uomo stesso sarebbero frutto del caso e della necessità, che non animano e dinamizzano un processo evolutivo, ma fondano un’entità astratta, definita “evoluzione”, che oramai sembra aver sostituito Dio. Afferma il filosofo francese: «L’uomo della strada attribuisce tutto alla “Evoluzione”. Questa evoluzione non la immagina come un processo, come qualcosa che si sviluppa, ma piuttosto come un soggetto attivo, che fa qualcosa, che produce, per esempio, esseri viventi. […] Ciò che intendiamo dire quando invochiamo l’Evoluzione è che gli esseri viventi sono il risultato di un concorso fortuito di forze cieche, cioè del caso e della necessità».
Se quindi siamo determinati, senza possibilità di scelta alcuna, da una sorta di astratta entità (l’evoluzione) che è la risultante di altre due componenti (caso e necessità), è facile, come è davvero accaduto secondo Brague, che si sviluppi un sentimento di invidia nei confronti dell’individuo che avremmo voluto essere e che è diverso e differente da quello reale che il caso e le necessità ci avrebbero costretti ad essere. Di qui lo svilupparsi di una forma di odio nei confronti di sé stessi, della propria natura, della propria storia e della propria civiltà. È l’invidia, quindi, che muove questo atteggiamento dell’uomo occidentale, tanto sul piano individuale quanto su quello comunitario e sociale.
«Ha l’uomo postmoderno il sogno impossibile di un’autodeterminazione radicale di sé e per sé, di un’anima che sorvola la realtà e si posa sul corpo che sceglie, sull’epoca che decide, sul luogo che preferisce ecc.. Per questo il soggetto e l’oggetto di questo amore sono una punta fine dell’individualità in cui non c’è esistenza concreta, cioè carnale e storica. Ama ciò che vorrebbe che fosse, odia ciò che è, tutto ciò che fa. […] A mio parere, l’odio verso sé stessi che si trova nell’uomo occidentale di oggi è una manifestazione di invidia». L’invidia verso il sé stessi che non si è e che si desidererebbe essere si tramuta, quindi, in odio verso il sé stessi che si è nella realtà concreta.
L’invidia è un sentimento diabolico nella misura in cui essa non è rivolta a Dio, ma all’uomo, che si teme possa prendere, nella relazione con Dio, il posto che Lucifero/Satana aspira a tenere. Da questo paradigma di ordine demonologico si svilupperebbe la deriva antropologica odierna. Secondo Brague «Satana non è nemico di Dio, ma piuttosto dell’uomo. Crede in Dio, lo dice l’Epistola di Giacomo (2,19), ma diffida dell’uomo. […] Quello che vuole Satana è che l’uomo dubiti del proprio valore, della grandezza e della nobiltà del suo destino, della misericordia di Dio, che potrebbe permettergli di recuperare la sua dignità perduta. Satana lo fa proprio per invidia».
Questo sentimento non attecchisce solo sulla sfera propriamente individuale e personale dell’uomo, ma anche su quella sociale e comunitaria, provocando l’odio verso la propria civiltà e, con l’ideologia ecologista, verso la propria specie, ritenuta ingombrante e dannosa per la biosfera. Brague non nega gli errori commessi dall’Occidente e dall’uomo occidentale, che spiega con una sorta di parabola: quella dell’elefante santo e del topolino malvagio nella cristalleria. «Chi farà più danno? ‒ si chiede Brague ‒ Ovviamente l’elefante, a causa della sua enorme stazza, nonostante le sue buone intenzioni, e non il topo, nonostante la sua intenzione di fare tutto a pezzi». L’Occidente nel corso della storia ha raggiunto livelli di potenza tali (e con essi anche responsabilità proporzionate a questa potenza) da dovere, in forza anche delle imperfezioni umane, produrre danni insieme a tante altre cose virtuose.
Fuor di metafora, Brague chiarisce che «ora, nella storia reale, l’elefante europeo non era santo, ma una persona normale, un peccatore come noi, solo più forte e più grande; e i topi indiani e cinesi, africani, islamici, ecc. non erano mostri, ma persone normali, peccatori come tutti, ma molto più piccoli e deboli». Come mai, allora, la cancel culture si rivolge solo ai simboli occidentali, abbattendo statue, bruciando immagini, sfregiando opere d’arte appartenenti alla storia dell’Occidente e non pure a quanto di turpe avrebbero commesso anche “i topolini malvagi” di altre culture e civiltà? Tamerlano è stato un massacratore islamico, che sterminò milioni di uomini. Nessuno, però, nei Paesi in cui passò si è mai sognato di abbatterne la statua. L’Uzbekistan è disseminato di effigi e statue di questo massacratore.
I successi dell’Occidente e dell’Europa sono stati considerati, al contrario, come prodotti dal cieco caso più che dal lavoro, dall’impegno, dall’ingegno, dagli sforzi di generazioni e generazioni di europei ed occidentali, verso cui è scattato, da parte delle ultime generazioni di europei ed occidentali, questo sentimento di invidia e di odio, che sembra assumere sempre più i contorni di un vero e proprio cupio dissolvi. «L’invidia, lo ripeto, costituisce una forma di odio, e l’odio cerca la distruzione di ciò che si odia. Ciò che si potrebbe chiamare “auto – invidia” porta con sé il desiderio di “auto – distruzione”».
Questa visione secondo cui ciò che siamo è prodotto dal caso, quindi da fattori del tutto accidentali e fortuiti, esclude del tutto la fede in un Essere supremo, creatore e promotore di senso di tutte le cose, cioè la fede in Dio. Quella che Nietzsche chiamava “morte di Dio” implica, come fase successiva, la “morte dell’uomo”. Per uscire da questa situazione è necessario, secondo Brague, recuperare «la fede in un amore provvidenziale, la fede nella creazione». In questa situazione c’è, accanto al rischio concreto della “morte dell’uomo”, anche un’opportunità di risalita, «l’opportunità di riscoprire l’urgenza vitale della fede». Siamo in pratica nella situazione ipotizzata nel Deuteronomio (30,19): «Ho posto davanti a te la vita e la morte, a te spetta scegliere la vita». Mai come ora, senza infingimenti e vincendo ogni pigrizia dilatoria, si pone la necessità impellente di effettuare questa scelta.
Martedì, 10 dicembre 2024