In Venezuela e Nicaragua una persecuzione continua nel silenzio dell’Occidente
di Marco Invernizzi
Venezuela e Nicaragua insieme non raggiungono i 40 milioni di abitanti, molti dei quali costretti all’esilio negli ultimi anni, ma non per questo meritano così poca attenzione, nella situazione drammatica in cui si trovano, da parte dei media e delle opinioni pubbliche occidentali.
In Venezuela è in corso un braccio di ferro fra il governo di Nicolas Maduro, sostenuto dall’esercito, e le opposizioni unite, che affermano di avere vinto le recenti elezioni politiche con il loro candidato Edmundo Gonzalez Urrutia. Mentre queste ultime hanno mostrato l’80% dei certificati elettorali, che dimostrano la vittoria ampia del candidato delle opposizioni e continuano a scendere in piazza a centinaia di migliaia (anche a un mese dal voto, il 28 agosto, per la quarta volta), guidate dalla leader Maria Corina Machado, che vive in clandestinità ma appare nelle manifestazioni parlando alla folla di «una lotta anche spirituale» in Venezuela e mostrandosi con la corona del rosario al collo, il governo ha proclamato la vittoria di Maduro, ma non vuole mostrarne le prove. Lo stesso governo ha avviato una grave repressione delle proteste, arrestando oltre duemila oppositori (fra cui più di venti italiani: gli ultimi sono stati Biagio Pilieri e suo figlio Jesus, ma mancano dati ufficiali sul numero complessivo), tra i quali, nelle ultime ore, anche il legale di Machado, Perkins Rocha, e uccidendo alcune decine di manifestanti. L’arresto di Rocha sembra essere stato voluto dal nuovo ministro dell’interno, Diosdado Cabello, nominato da pochi giorni: un fedelissimo di Maduro, oltre che vice-presidente del Partito socialista unito del Venezuela. Due cardinali venezuelani, Baltazar Porras e Diego Padròn, che vivono all’interno del Paese, hanno pubblicato un documento che abbiamo postato sul sito www.alleanzacattolica.org, dove si denunciano con molti particolari i meccanismi che il regime sta usando per negare la sconfitta elettorale. Soprattutto dimostra come la Chiesa venezuelana abbia ormai preso una posizione decisa a favore della libertà del popolo, contro il regime che sta violando, da anni, il bene comune della nazione venezuelana.
In Nicaragua sta avvenendo, da decenni ormai, qualcosa di simile, con la differenza che il regime sandinista di Daniel Ortega ha individuato soprattutto nella Chiesa cattolica il nemico che può ostacolare la propria permanenza al potere, scatenando una feroce persecuzione contro di essa, in particolare in alcune diocesi, espellendo e arrestando centinaia di sacerdoti e i due vescovi Rolando Alvarez e Isidoro Mora, impedendo fisicamente la celebrazione di processioni e cerimonie religiose in occasioni di festività importanti. Martha Patrizia Molina, un avvocato in esilio che ha steso un Rapporto sulla persecuzione in Nicaragua, ha documentato 9.688 casi di persecuzione in sei anni a danni della Chiesa e delle comunità evangeliche.
Ora bisogna capire perché ci sia così poca attenzione in Occidente verso questa sistematica e ripetuta violazione dei diritti umani. Certamente c’è una ragione di prudenza. Le diplomazie dei Paesi occidentali e della Santa Sede stanno lavorando e speriamo con buoni e veloci risultati per ottenere la liberazione dei prigionieri e garantire per quanto possibile l’incolumità dei due popoli. Tuttavia, non c’è alcuna autentica ed efficace mobilitazione da parte dell’opinione pubblica e dei media occidentali. Sappiamo per esperienza quanto entrambe siano importanti nella lotta per la libertà dei popoli, come si è dimostrato per esempio durante la Guerra fredda, quando si è cominciata a conoscere l’esistenza di un forte dissenso in Unione Sovietica negli Anni Settanta, soprattutto dopo gli accordi internazionali di Helsinki nel 1975, e quando, nel decennio successivo, il governo americano di Ronald Reagan (1911-2004) ha cominciato a sostenere le Resistenze dimenticate nei paesi comunisti. Questi sostegni e la diffusione di notizie sul dissenso furono fondamentali per contribuire alla caduta dell’Impero del male, per dare speranza a chi lo combatteva dall’interno e anche per incoraggiare la battaglia per la libertà nei Paesi occidentali, all’interno dei quali esisteva una forte componente ostile a qualsiasi forma di sostegno alle resistenze anticomuniste.
Forse oggi si sta ripetendo questo problema. Certamente i motivi del mancato sostegno alla lotta dei popoli del Nicaragua e del Venezuela sono anche di natura organizzativa, perché mancano centri di raccolta e di diffusione delle informazioni sulla resistenza, perché le forme di denuncia da parte dei venezuelani residenti all’estero sono generose e numerose, ma limitate nel tempo e prive di sostegno organizzativo adeguato. Tuttavia, credo che esista soprattutto un problema ideologico. Per Giulio Regeni e Patrick Zaki in Italia si è mobilitato il mondo politico e intellettuale, per gli italiani arrestati in Venezuela e deportati nel carcere di massima sicurezza El Helicoide, l’ex-centro commerciale diventato il simbolo della ferocia governativa, non sta avvenendo nulla, se non lo sforzo del Ministero degli esteri per portarli in Italia. Per i “giornaloni” Nicaragua e Venezuela non meritano più di qualche riga ogni tanto per salvare la faccia, perché sono la dimostrazione del fallimento di ogni forma di socialismo, anche quello “temperato” e umanitario del XXI secolo in America Latina. E le redazioni sono ancora piene di giornalisti che sentono con rimpianto questo fallimento.
E allora che fare? Noi non possiamo mobilitare le folle, né scrivere o parlare sui grandi mezzi di comunicazione, ma dobbiamo tenere accesa la candela di una verità che non si spegne, non si deve spegnere, anche se non interessa ai potenti. E prestare attenzione al futuro, perché non si ripeta quanto avvenne dopo il 1989, quando si palesò davanti al mondo intero la perversità del comunismo, di cui la Chiesa aveva denunciato l’intrinseca perversità fin dalla sua origine: allora tanti che erano stati dei traditori o dei complici silenziosi cercarono, e spesso riuscirono, a salire sul carro della storia che cambiava, provocando danni e confusioni che rimangono ancora oggi. Cerchiamo che questo non avvenga anche per il prossimo fallimento (speriamo) del socialismo del XXI secolo.
Venerdì, 30 agosto 2024