In tempi facili allo scoraggiamento, bisogna continuare a costruire tenacemente il bene, amando l’uomo oltre e nonostante il suo peccato, come sostenuto da Dostoevskij nei Fratelli Karamazov
di Michele Brambilla
Papa Francesco evidenzia, introducendo l’Angelus del 13 novembre, che «il Vangelo odierno ci porta a Gerusalemme, nel luogo più sacro: il tempio. Lì, attorno a Gesù, alcune persone parlano della magnificenza di quel grandioso edificio, “ornato di belle pietre” (Lc 21,5). Ma il Signore afferma: “Di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta” (v. 6). Poi», quasi a rafforzare un monito che può apparire cupo e pessimista, «rincara la dose, spiegando come nella storia quasi tutto crolla: ci saranno, dice, rivoluzioni e guerre, terremoti carestie, pestilenze e persecuzioni (cfr vv. 9-17). Come a dire: non bisogna riporre troppa fiducia nelle realtà terrene: passano».
«Sono parole sagge», commenta il Pontefice, «che però possono darci un po’ di amarezza: già tante cose vanno male, perché anche il Signore fa discorsi così negativi?». Bisogna comprendere, allora, che al centro dell’insegnamento della liturgia odierna sta una parola particolare: «la perseveranza. Che cos’è? La parola indica l’essere “molto severi”; ma severi in che senso? Con sé stessi, ritenendosi non all’altezza? No. Con gli altri, diventando rigidi e inflessibili? Nemmeno. Gesù chiede di essere “severi”, ligi, persistenti in ciò che a Lui sta a cuore, in ciò che conta», spiega il Papa, «perché, quel che davvero conta, molte volte non coincide con ciò che attira il nostro interesse: spesso, come quella gente al tempio, diamo priorità alle opere delle nostre mani, ai nostri successi, alle nostre tradizioni religiose e civili, ai nostri simboli sacri e sociali. Questo va bene, ma gli diamo troppa priorità. Sono cose importanti, ma passano. Invece Gesù dice di concentrarsi su ciò che resta», ovvero la Sua parola di vita eterna.
«Ecco allora che cos’è la perseveranza: è costruire ogni giorno il bene. Perseverare è rimanere costanti nel bene, soprattutto quando la realtà attorno spinge a fare altro»: Francesco fa l’esempio della preghiera, ma di questi tempi il rispetto di qualsiasi insegnamento morale cristiano è diventato un’impresa quasi eroica, data la pervasività (soprattutto mediatica) della cultura contraria. «Ancora: faccio un servizio nella Chiesa, per la comunità, per i poveri, ma vedo che tanta gente nel tempo libero pensa solo a divertirsi, e allora mi vien voglia di lasciar stare e fare come loro» perché in quello che faccio per Gesù non vedo risultati “appaganti”. Tutto, ai nostri tempi, si misura con il metro dei “like”. «Perseverare, invece, è restare nel bene», anche quando le mie scelte sembrano “impopolari” secondo i criteri postmoderni. Solo così saremo riconosciuti da Gesù come “figli della Luce” quando Egli tornerà nella gloria, perché Cristo è certamente fedele, come bene ha dimostrato la Pasqua del Signore. «Se perseveriamo – ci ricorda Gesù – non abbiamo nulla da temere, anche nelle vicende tristi e brutte della vita, nemmeno del male che vediamo attorno a noi, perché rimaniamo fondati nel bene. Dostoevskij scrisse: “Non abbiate paura dei peccati degli uomini, amate l’uomo anche col suo peccato, perché questo riflesso dell’amore divino è il culmine dell’amore sulla terra” (I fratelli Karamazov, II,6,3g)». In questo modo, «la perseveranza» degli uomini «è il riflesso nel mondo dell’amore di Dio, perché l’amore di Dio è fedele, è perseverante, non cambia mai».
Lunedì, 14 novembre 2022