Di Massimo Calvi da Avvenire del 11/12/2021
In un editoriale apparso su un sito statale dell’internet cinese è stato chiesto a tutti i 95 milioni di iscritti al Partito comunista di avere tre figli. Senza scuse e senza sconti, perché la Cina sta implodendo demograficamente e dunque avere almeno tre figli significa essere responsabili e fare il bene della nazione.
Dopo le proteste, l’articolo è stato rimosso, ma inutilmente, perché ha lasciato traccia sui social network statali.
Al di là delle note folkloristiche, l’incidente riflette quella che è una reale preoccupazione nel grande Paese asiatico. Dopo quasi mezzo secolo di imposizione del figlio unico – una politica che si può ben definire ‘criminale’, per la devastazione umana e sociale che ha prodotto, e la violazione di elementari diritti umani, con milioni di aborti forzati ogni anno e sanzioni durissime per gli inadempienti – oggi la Cina è seriamente preoccupata per le nascite in calo (1,3 figli per donna), l’invecchiamento della popolazione (quasi il 19% ha più di 60 anni) e tutto quello che ciò comporterà in termini di sostenibilità e di sviluppo economico.
Dal 2016 Pechino ha infatti annullato l’imposizione che era entrata in vigore nel 1979 e dal 2020 ha incominciato a fare pressione sulle coppie perché andassero anche oltre il secondo figlio.
Il problema è che, come insegnano gli esperti di demografia, non è difficile costringere le famiglie ad avere meno figli, ma è estremamente complicato ottenere il contrario, soprattutto se le persone si sono ormai abituate a vivere in un certo modo e se nel frattempo il contesto culturale e sociale è profondamente cambiato.
L’Italia ne sa qualcosa.
L’aspetto interessante di questa vicenda, infatti, è che da un punto di vista demografico il nostro Paese si trova in condizioni peggiori della Cina, cioè se guardiamo a come vanno le nascite e all’invecchiamento della popolazione. Oggi il tasso di fecondità è di 1,24 figli per donna,le persone con più di 65 anni sono il 23,2% e fra trent’anni avremo un’età media della popolazione di 50,7 anni, record del mondo, e un solo giovane ogni 3 anziani.In questa situazione non ci troviamo a causa di una politica attiva messa in pratica con modalità traumatiche, come quella attuata in Cina, ma ci siamo arrivati con una analoga caparbietà, per le decisioni colpevolmente non prese e le riforme sbagliate messe in campo già a partire dagli anni 80-90 del Novecento. L’obiettivo (non voluto) del figlio unico, è stato raggiunto senza fare troppo male, disincentivando consapevolmente per anni la messa al mondo di bambini e comprimendo in modo surrettizio la possibilità di una famiglia con fratelli e sorelle.
Mentre negli altri Paesi europei al cambiare del contesto venivano infatti confermate o rafforzate le politiche pro-natalità, l’Italia ha continuato a privilegiare la tutela dei diritti previdenziali acquisiti, la spesa (elettoralmente premiante) a favore delle generazioni anziane, e a distribuire bonus fiscali o benefici trascurando totalmente l’emergenza demografica che si stava configurando. L’anno in cui si può dire che qualcosa è finalmente incominciato a cambiare, se non altro come presa di coscienza, è proprio questo 2021 che si sta chiudendo, se consideriamo la riforma dell’Assegno unico come una fondamentale inversione di tendenza, insieme a quel Family Act in cui il nuovo beneficio è di fatto inserito.
Tuttavia, considerato l’esiguo stanziamento di risorse, 6 miliardi, quella che è stata messa in campo è soprattutto una (giusta) misura redistributiva, di sostegno ai redditi medio-bassi con prole, ma non un modo per far ripartire le nascite come si dovrebbe e come servirebbe, anche solo per assecondare i desideri di genitorialità che ancora esprimono i giovani. Di recente l’Ocse ha fatto notare che anche a causa della crisi demografica italiana la generazione che incomincia a lavorare oggi, se va bene, andrà in pensione a 71 anni, 9 in più rispetto ad ora.
Lo stesso presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha confermato che il sistema pensionistico italiano è ‘fragile’ perché mancano all’appello 6,7 milioni di lavoratori e i giovani sono già troppo pochi. Alla luce di questo ci si dovrebbe chiedere qual è il senso di una riforma fiscale che non distingue tra famiglie con figli a carico e single, o che destina ulteriori risorse ai pensionati senza guardare, come invece si fa sempre con le famiglie, alla loro condizione economica complessiva, o ancora a cosa miri veramente una mobilitazione sindacale se non coglie che per rendere il presente accettabile si deve essere in grado di programmare un futuro sostenibile.
La realtà è che il carico di cui si può disporre, oggi dovrebbe essere speso in una sola direzione: per aumentare le nascite e sostenere i giovani, con tutte le misure possibili, abbandonando ogni retaggio ideologico, e cessando di mettere le generazioni in conflitto. Come farlo, non è difficile, se si ha il coraggio e l’umiltà di copiare le migliori esperienze europee. Insomma, la richiesta dei tre bambini per essere iscritti al Partito cinese non dovrebbe far sorridere, ma preoccupare, se proviene da una realtà che ha colto prima di noi la drammaticità della situazione, e se in un Paese comunista e campione di pragmatismo si arriva a dire: sposatevi, e fate figli.