Come i pifferi di montagna del noto proverbio, Lula, convinto di vincere al primo turno con grande vantaggio, per ora non ha suonato ma è stato suonato. Le elezioni presidenziali brasiliane, svoltesi dopo una campagna elettorale fortemente polarizzata, non hanno visto nessun vincitore al primo turno e si andrà al ballottaggio il 30 ottobre
di Stefano Nitoglia
Nonostante parecchi sondaggi della vigilia delle elezioni presidenziali brasiliane del 2 ottobre dessero il candidato del partito di sinistra PT (Partido dos Trabalhadores, Partito dei lavoratori, di sinistra con diverse anime: cristiani progressisti, socialisti, marxisti, socialdemocratici e comunisti) Luiz Inácio Lula da Silva, più noto come “Lula” (“calamaro” in portoghese), vincente già al primo turno con ampio margine, si andrà al ballottaggio tra Lula e il presidente uscente, Jair Bolsonaro (PL), di idee populiste e vagamente di destra, il 30 ottobre prossimo. I sondaggi – molti dei quali accusati dai “bolsonaristi” di essere taroccati a favore di Lula – si sono quindi rivelati sbagliati.
La seconda fase delle elezioni – prevista per il 30 ottobre – è stata confermata dal Tribunale elettorale superiore (TSE). Secondo i dati del tribunale, il PT ha ricevuto 57.243.297 voti, equivalenti al 48,30% dell’elettorato brasiliano. Al secondo posto l’attuale presidente Bolsonaro, con il 43,20% dei voti, che rappresenta 51.068.724 elettori. Le schede bianche sono state l’1,59% e i voti nulli il 2,82%. A seguire Simone Tebet, del MDB (Movimento Democratico Brasiliano), che si è classificata terza e ha ottenuto il 4,16% dei voti (4.915.058) facendo una campagna elettorale centrista e social-liberale. Il candidato Ciro Gomes del PDT, Partito socialdemocratico affiliato all’Internazionale socialista, ha raggiunto il 3,04% (3.598.936 voti) e si è piazzato al quarto posto.
Le elezioni sono state contrassegnate da una grande polarizzazione tra i due principali candidati, Bolsonaro e Lula. Quest’ultimo ha riacquistato i diritti politici nel marzo 2021, quando il Tribunale Supremo Federale (STF), massima assise giudiziaria brasiliana, ha ribaltato la sentenza di secondo grado che lo aveva condannato a 12 anni di reclusione per corruzione nell’ambito dell’indagine giudiziaria “Lava Jato” (Operazione Autolavaggio), con l’accusa di aver ricevuto denaro dalla Petrobras, la compagnia petrolifera statale brasiliana (una sorta di Eni sudamericana), oltre a diversi favori da parte di imprese commerciali, come la costruzione di un ranch e di un appartamento con vista mare.
La polarizzazione della campagna elettorale – con entrambi i candidati principali che si sono aggrediti nei dibattiti televisivi senza costrutto e senza l’esposizione di un programma di governo (coloro che li hanno seguiti non hanno saputo dire se si fosse trattato di baruffe da scolaretti o di una commedia) ha lasciato poco spazio alla cosiddetta “terza via”, che si è dissolta nel corso della campagna. Nomi come l’ex-governatore di San Paolo, João Doria, del PSDB, partito la cui collocazione all’interno dello spettro politico è ancora molto discussa (loro si proclamano di centrosinistra, altri dicono che siano di centrodestra) e l’ex-giudice Sergio Moro (União Brasil), protagonista della “mani pulite” brasiliana, quindi una sorta di Antonio Di Pietro brasiliano, sono rimasti indietro. Un’abile quanto spregiudicata mossa del PT è stata di abbinare alla candidatura di Lula, quale vicepresidente, quella di Geraldo Alckmin (PSB), candidato della destra neoliberale e conservatrice, che è stato uno dei fondatori del PSDB, partito storicamente concorrente in contese presidenziali con il PT e per questo accusato da molti di tradimento.
In generale, il risultato di questa domenica è considerato una vittoria – seppur modesta –di Bolsonaro, il quale, nell’ultima settimana, ha utilizzato tutte le strategie possibili per far sì che la disputa non fosse definita al primo turno. In altre parole, l’obiettivo principale era impedire una vittoria anticipata per Lula, cosa che di fatto è avvenuta. E in un mese possono accadere molte cose. Comunque vada, anche in caso di vittoria al ballottaggio Lula non avrà vita facile. Il partito di Bolsonaro (Partido Liberal) ha stravinto le elezioni alla Camera dei deputati, dove resta primo partito, passando da 76 a 99 seggi, e anche al Senato, assicurandosi 14 seggi su 27 in palio. Per non parlare degli 8 governatori, con il rischio di aggiungerne altri 8 al ballottaggio, prendendo il controllo del 60% degli Stati federati.
A risentirci il 30 ottobre, dunque.
Mercoledì, 5 ottobre 2022