Giovanni Cantoni, Cristianità n. 66 (1980)
In occasione del suo pellegrinaggio apostolico in Francia, il Santo Padre Giovanni Paolo II è intervenuto nella ormai annosa querelle relativa a «progressismo» e «integrismo». I termini della definizione pontificia di «integrismo» sembrano aprire la via alla identificazione – sempre più indispensabile e urgente nel nostro tempo post-conciliare – della posizione cattolica integrale, cioè semplicemente cattolica.
Contributo pontificio alla chiarificazione dei termini
«Progressismo», «integrismo» e cattolicesimo integrale
Sono ormai a tal punto abituato a essere qualificato, con intento evidentemente offensivo e jettatorio, come «integrista», che – lo confesso senza timore alcuno – ho finito per affezionarmi a questo epiteto e per considerarlo semplicemente come qualificativo e non assolutamente come offensivo.
Non è stato così sempre. Ricordo, anzi, che quando muovevo i primi passi nel mondo cattolico in genere, e in quello della cultura cattolica in specie, era tale il piacere e il legittimo orgoglio che provavo nel dichiararmi e nel sentirmi cattolico sic et simpliciter, che ogni qualificazione ulteriore mi pareva più riduttiva che specificante. A questa avversione per tutto quanto non fosse semplicemente cattolico – e al conseguente istintivo senso di disagio – contribuiva certamente, e in modo rilevante, il ricordo significativo della fondata invettiva dantesca che denuncia come «un Marcel diventa / ogni villan che parteggiando viene» (1). Ma, come la storia umilia le nazioni, così la vita ridimensiona i singoli uomini anche nelle loro più lecite aspirazioni; perciò, con il passare del tempo – talora anche per comprensibile condiscendenza verso interlocutori non particolarmente profondi, oppure un poco pigri – ho finito per accettare questa specificazione e per rassegnarmi a questa definizione, fino al punto, come dicevo, di affezionarmi a essa; e, quindi, non senza un certo sforzo per trovarne una spiegazione adeguata.
Stando così le cose, ho provato una certa emozione unita a un comprensibile imbarazzo e a un corrispondente timore quando, quest’estate, in occasione del pellegrinaggio apostolico di Giovanni Paolo II in terra di Francia, ho appreso dai mass media – sempre volontariamente o inconsapevolmente approssimativi – che il Pontefice, durante il discorso tenuto ai vescovi della «figlia primogenita» della Chiesa, aveva condannato il «progressismo» e l’«integrismo». Attendendo di leggere in integro il testo dell’intervento pontificio, andavo ripetendo fra me e me per quanto potesse essere in analogia con il tema in questione – il bel proposito di un autore che mi è particolarmente caro, il conte Joseph de Maistre. In esso, il nobile savoiardo afferma perentoriamente che, di fronte a una inequivocabile presa di posizione de «la sola potenza che abbia una autorità legittima sulla credenza umana», si terrebbe a questa regola: «non esiterei un istante, e invece di avere, in questo momento, la certezza di aver ragione, avrei allora la fede di aver torto» (2).
Intimamente rasserenato dalla meditazione del proposito maistriano, ho finalmente accostato il testo del discorso pontificio. Il Santo Padre, dopo avere ricordato che «bisogna “realizzare il Concilio” tale quale è, e non come certi vorrebbero vederlo e comprenderlo», affronta il sempre spinoso tema del post-concilio nei termini seguenti: «Non c’è da meravigliarsi che in questa tappa “post-conciliare” si siano sviluppate con una intensità abbastanza grande anche certe interpretzioni del Vaticano II che non corrispondono al suo magistero autentico. Si tratta qui di due tendenze ben conosciute: il “progressismo” e l’”integrismo”. Gli uni sono sempre impazienti di adattare perfino il contenuto della fede, l’etica cristiana, la liturgia, l’organizzazione ecclesiale ai cambiamenti di mentalità, alle esigenze del “mondo”, senza tener conto abbastanza, non soltanto del senso comune dei fedeli, che sono disorientati, ma dell’essenziale della fede, già definita, delle radici della Chiesa, della sua esperienza secolare, delle norme necessarie alla sua fedeltà, alla sua unità, alla sua universalità. Essi hanno l’ossessione di “avanzare”, ma verso quale “progresso” in definitiva? Gli altri – rilevando taluni abusi che noi siamo evidentemente i primi a riprovare e a correggere – si irrigidiscono fissandosi ad un dato periodo della Chiesa, ad un dato stadio della formulazione teologica o dell’espressione liturgica di cui essi fanno un assoluto, senza penetrare abbastanza il senso profondo, senza considerare la totalità della storia e il suo sviluppo legittimo, temendo le domande nuove, senza ammettere in definitiva che lo Spirito di Dio è all’opera oggi nella Chiesa con i suoi Pastori uniti al successore di Pietro» (3).
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Ho letto e riletto, con la necessaria attenzione e il dovuto rispetto, il brano che ho integralmente citato e, con mia grande soddisfazione, si è venuta sviluppando e rafforzando in me la morale certezza di non essere assolutamente caduto sotto la legittima e autorevolissima censura papale. Infatti, l’«integrismo» stigmatizzato dal regnante Pontefice si caratterizza principalmente per l’attaccamento «ad un dato periodo della Chiesa, ecc.»; ergo, l’«integrista» viene quasi a confondersi con il classico laudator temporis atti, con l’estimatore del passato in quanto passato, con il nostalgico dello ieri, mentre, quanto a dottrina, gli viene imputato, eventualmente, un certo rachitismo, una certa fossilizzazione nella verità insufficientemente svolta.
So perfettamente che questo tipo umano esiste, nella Chiesa e nel mondo cattolico, e per questo tipo umano confesso di provare comprensione e per esso non manco di cercare talora facili giustificazioni, che, per altro, il post-concilio offre con dovizia. Ma, ciononostante, questo tipo umano non mi esaurisce. Infatti, pur essendo chiaramente intenzionato a lottare affinché – sotto speciose esigenze di «progresso» – non si cancelli la «memoria storica», cioè la tradizione, che di ogni progresso autentico è indispensabile premessa; pur osservando con spirito critico ogni mutamento, pronto a denunciare qualsiasi tentativo, almeno maldestro e scoperto, di «gettare via il bambino con l’acqua del bagno», non riesco però a pensare con nostalgia profonda – cioè radicata oltre l’emotività e il sentimento – a nessun tempo storico, anche se distinguo, con la massima precisione concessa al giudizio storico, tra i diversi tempi sufficientemente caratterizzati e fra essi opportunamente gerarchizzo, sulla base de «l’ordine sociale fondamentale» (4), che «auspicherebbe che la legge civile stessa fosse di aiuto per l’elevazione dell’uomo» (5). Così, per esempio, pur amando quella che è stata felicemente definita come «la dolce primavera della fede», cioè la civiltà cristiana del Medioevo europeo, non posso negare di sentirmi molto più attratto dalla ipotesi di una sua «continuazione» verso una calda «estate della fede», che tragga vantaggio da cinque secoli di errori teorici e pratici, che da una sua improbabile e inimmaginabile «restaurazione» materiale, con in sé tutte le tossine e i virus che sono storicamente esplosi nell’epoca della Rivoluzione e senza poter tenere conto della loro identificazione. Così ancora, pur amando la Scolastica, non riesco a immaginare un amore per essa che giunga al disprezzo per la Patristica, e così via.
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Mentre fra me e me vado rimuginando queste tesi e svolgendo queste considerazioni, e mi rassereno sempre di più quanto alla mia posizione e alla sua correttezza in relazione al Magistero, si insinua e cresce nel mio spirito il dubbio che il significato «storico», con cui il Pontefice connota in modo rilevante l’«integrismo», non lo esaurisca; non esaurisca, cioè, il senso che alla qualifica attribuiscono quanti lo usano polemicamente – sarei tentato di dire: «balisticamente»!
Ricordo., infatti, un articolo dei padri Bartolomeo Sorge S.J. e Giuseppe De Rosa S.J. nel quale, alla definizione «storica» del termine, faceva seguito una definizione che voleva essere «dottrinale» (6); ricordo tanti usi recenti, e perfino recentissimi, di fonte triviale! ma proprio per questo significativi di una mentalità, in cui, con il termine «integrista» si definisce non tanto chi idolatra il passato e si oppone acriticamente al Concilio o almeno allo «spirito del Concilio », ma chi, di fatto, pretende che il cattolico, nel suo agire privato e pubblico, tenga conto di tutta la legge, non solo di qualche parte di essa, dal momento che «chiunque osserverà tutta la legge, ma mancherà in un punto solo, diventerà reo di tutto. Poiché chi disse: “Non fornicare”, ha detto pure: “Non ammazzare”. Ora se tu non fornicherai, ma ammazzerai, sarai trasgressore della legge» (7).
Perciò – mentre vado meditando sul rischio tutt’altro che remoto che la qualifica di «integrista» non mi abbandoni, nonostante la precisazione pontificia, che vale una definizione – mi consolo pensando che a questo stesso destino si è esposto, oltre a san Giacomo, il Santo Padre, sia quando ha – a suo tempo parlato di Concilio «integrale» (8): sia quando ha poi ricordato che «non bisogna barare con la dottrina della Chiesa come è stata chiaramente esposta dal Magistero, dal Concilio, dai miei predecessori, ecc.» (9); sia – infine e per limitarsi al Magistero espresso nel corso del pellegrinaggio francese – quando ha ripetuto che i comandamenti del decalogo sono «le esigenze fondamentali della natura umana» (10); quando ha affermato che «dialogo» «non significa né l’indifferentismo, né in alcun modo l’ “arte di confondere i concetti essenziali”», e, dopo avere notato come «quest’arte è molto spesso riconosciuta come l’equivalente dell’attitudine al “dialogo”», ha insistito dicendo: «Tanto meno esso significa “velare” la verità delle proprie convinzioni, del proprio “credo”» (11).
Mi fermo, per il momento, moralmente certo – nel caso continui a essere qualificato come «integrista» – di essere in buona compagnia, mentre prende sempre più corpo in me il sospetto che esistano due «integrismi», cui si possono forse applicare le stesse considerazioni a suo tempo svolte da san Gregorio di Nazianzo: «Una lentezza inerte ed un ardore indisciplinato sono ugualmente inutili perché la prima non si avvicina al bene e il secondo cade dall’altra parte, volendo fare più del giusto. Il divino Salomone ben sapendo ciò dice: “Non deviare né a destra né a sinistra”. Vale a dire: Non cadere per vie opposte in un uguale inconveniente, cioè nel peccato. Eppure altrove, lodando quello che è retto per natura, dice: “Le vie di destra le conosce Iddio, ma quelle di sinistra sono storte”. Perché mai loda la destra e poi ci ritrae dalla destra? Evidentemente ci allontana da ciò che sembra destra, ma non lo è» (12).
Giovanni Cantoni
Note:
(1) DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia. Purgatorio, canto VI, vv. 125-126.
(2) JOSEPH DE MAISTRE, Eclarcissement sur les sacrifices, in IDEM, Les soirées de Saint-Petersbourg ou entretiens sur le gouvernement temporel de la Providence, Vitte, Lione-Parigi 1924, tomo II, p. 295.
(3) GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Conferenza Episcopale Francese, dell’1-6-1980, in L’Osservatore Romano, 2/3-6-1980.
(4) IDEM, Discorso ai giovani, al Parc-des-Princes, dell’1-6-1980, ibid.
(5) IDEM, Discorso ai Champs Elysées del 30-5-1980, in L’Osservatore Romano, 1-6-1980.
(6) Cfr. BARTOLOMEO SORGE S.J. e GIUSEPPE DE ROSA S.J., Fede cristiana ed integrismo, in La Civiltà Cattolica, anno 129, n. 3064, 18-2-1978, pp. 313-324. Cfr. anche il mio L’anti-integrismo come dis-integrazione della fede, in Cristianità, anno VI, n. 37, maggio 1978, ora raccolto in La «lezione italiana», Cristianità, Piacenza 1980, pp. 203-219, nonché il commento di AUGUSTO DEL NOCE, Riflessioni sulla «lezione italiana», in Cristianità, anno VIII, n. 62-63, giugno-luglio 1980.
(7) Giac. 2, 10-11.
(8) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla riunione plenaria del Sacro Collegio, del 6-11-1979, in L’Osservatore Romano, 7-11-1979. Sull’argomento cfr. anche il mio Il Concilio «integrale», in Cristianità, anno VII, n. 56, dicembre 1979.
(9) GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai membri del Centre de Liaison des Equipes de Recherches e ai membri del consiglio di amministrazione della Fédération Internationale d’Action Familiale, del 3-11-1979, in L’Osservatore Romano, 4-11-1979.
(10) IDEM, Discorso ai giovani, al Pare-des-Princes, dell’l-6-1980, cit.
(11) IDEM, Discorso alla Conferenza Episcopale Francese, dell’1-6-1980, cit.
(12) SAN GREGORIO DI NAZIANZO, Discorso XXXII, in GREGORIO DI NAZIANZO, Teologia e Chiesa: Esperienza di fede e riflessione teologica, ed. it. a cura di Enzo Bellini, Jaka Book, Milano 1971, p. 61.