Con l’intervento di Alfredo Mantovano, vicepresidente del Centro studi Livatino si conclude la serie di interventi di esponenti dello stesso Centro studi dedicato alla riforma sottoposta a referendum. Chiunque desideri ulteriori approfondimenti può consultare il sito www.centrostudilivatino.it. Ricordiamo che, trattandosi di referendum confermativo, non è necessario il quorum: chi non condivide la riforma non può confidare su un numero elevato di astenuti: la sola strada per manifestare il proprio dissenso è votare No.
Come larga parte degli italiani, vorrei votare senza la sgradevole sensazione – mentre sono nella cabina elettorale con la scheda e la matita – del freddo di un revolver appoggiato alla tempia. I cui proiettili hanno il nome di spread, fallimento di banche, ripercussioni in borsa, caduta del Governo, Italexit, opere pubbliche bloccate, giovani costretti ad andare all’estero per lavorare, instabilità del Governo, impossibilità di future riforme… Vorrei votare, come hanno esortato i Vescovi italiani, facendo riferimento esclusivo alle modifiche dei 47 articoli della Costituzione interessati dalla riforma, e magari pure alle ricadute che di modifiche sugli altri articoli della Costituzione. Vorrei votare senza temere che dal mio voto discenda l’incremento dello spread, la chiusura di otto istituti di credito, il blocco degli investimenti verso l’Italia. Vorrei votare avendo avuto risposta seria ai non pochi quesiti irrisolti che pone la riforma: come farà a occuparsi di norme europee un Senato formato da sindaci e consiglieri regionali? che cosa accadrà in caso di conflitto sulle politiche europee fra il nuovo Senato e il Governo? come evitare una nuova stagione di ricorsi alla Corte costituzionale ogni qual volta il Governo azionerà la clausola di supremazia nei confronti di una o più regioni? quale estensione e portata avranno la sovranità popolare e la effettiva rappresentanza degli elettori col link tra riforma e Italicum? Una serie di problemi affrontati uno dopo l’altro su questo giornale negli ultimi tre mesi da esponenti del Centro studi Livatino.
Promemoria per votare senza condizionamenti. Probabilmente inutile: ma non si sa mai.
1. Lo spread. Avendo come parametro il rendimento dei titoli del debito pubblico, lo spread è in diretta correlazione con l’entità dell’indebitamento più che con l’abolizione del Cnel o con le nuove funzioni del Senato. Il debito è cresciuto a dismisura negli ultimi due anni, soprattutto negli ultimi mesi, con misure prive di respiro strategico: sono tali i 500 euro elargiti a ogni diciottenne per comprare il biglietto del cinema o i cd preferiti?
2. Gli investimenti dall’estero in Italia. Dipendono più dalla riduzione del numero dei senatori o da scelte come la rinuncia a organizzare le Olimpiadi a Roma? l’ipotetico allontanamento degli investimenti deriva dalla conferma del bicameralismo paritario o dal mantenimento di una pressione fiscale che dissuade qualsiasi imprenditore?
3. La realizzazione di opere pubbliche. Dipendono più dal fatto che legifera una sola Camera o da scelte legittime bloccate da burocrazie perverse e/o da decisioni giudiziarie quasi sempre in seguito riformate? con l’effetto di far perdere tempo prezioso e di far sfumare i finanziamenti.
4. Il fallimento di alcuni istituti di credito. Sarei cauto a utilizzare quest’argomento: dopo un’iniziale insistenza, non è il più gettonato dai fautori del Sì. Perché sottende il messaggio che il Governo in carica è “amico” delle banche, e che se al suo posto ne venisse un altro la disponibilità a salvataggi (a spese di tutti) sarebbe ridotta. Certamente il Governo in carica ha avallato senza riserve il bail-in, e questo non entusiasma i clienti-risparmiatori delle banche oggi in equilibrio precario.
5. I giovani capaci che vanno a lavorare all’estero. Rinunceranno ad andarci perché entrerà il vigore la “legge a data certa”? O continueranno a migrare a causa dei meccanismi chiusi di tante università che privilegiano il potere consolidato e incrociato rispetto al merito? I giovani medici, per esempio, verrebbero trattenuti in Italia più da meccanismi di impiego e di carriera collegati ai risultati e ai successi che dai meccanismi della riforma.
6. La permanenza in Europa. Come è stato spiegato su questo quotidiano, di Europa la riforma si occupa di passaggio, quando all’art. 117 Cost. cambia il termine “ordinamento europeo” in “ordinamento dell’Unione europea”: se non passa questa straordinaria modifica, l’Italia esce dalla UE? Siamo seri…
7. La stabilità del Governo. La vita di un Esecutivo copre nella migliore delle ipotesi l’arco di una Legislatura, una Costituzione dura di più. Sarebbe poi interessante conoscere da chi teme che il Governo in carica cada quali sono le travolgenti ragioni per le quali la prosecuzione della sua esistenza (solo per un altro anno: il time out invalicabile è febbraio 2018) è più importante dello stravolgimento di una Costituzione. Non è una domanda retorica: vorrei sapere quali concreti successi sono stati raggiunti in poco meno di tre anni quanto a incremento dell’occupazione, abbassamento delle tasse, rapporto Pil/debito, immigrazione, sicurezza nelle città, ruolo internazionale dell’Italia.
8. O adesso o mai. E perché? Nell’ultimo quarto di secolo la Costituzione è stata modificata una decina abbondante di volte: dal quorum per l’amnistia e l’indulto al principio del “giusto processo”, dalle pari opportunità al titolo V, fino al pareggio di bilancio. Nessuno di questi interventi ha mai avuto l’ampiezza dell’attuale, ma il loro numero certifica che cambiare la Costituzione è possibile.
9. Il cambiamento è necessario: il No è vecchio, il Sì guarda al futuro. Il cambiamento è necessario: quel che cambia con le norme sottoposte al referendum ignora i motivi di una riforma vera e seria. Su quali punti qualificanti? a. Nel 1948 le istituzioni europee non esistevano: oggi si stima che l’80% delle norme che disciplinano la nostra vita quotidiana sia di provenienza comunitaria. Nella Costituzione italiana l’esistenza di un ordinamento europeo, sovraordinato a quello nazionale, è ignorato per la semplice ragione che 70 anni fa non c’era: sarebbe fondamentale rendere più chiari e precisi i meccanismi – in salita – di collaborazione nazionale alla formazione delle norme europee e – in discesa – di corretto recepimento di queste ultime. Nella riforma, tranne quell’inutile cenno all’art. 117, il tema non è nemmeno sfiorato. b. Nel 1948 beni oggi individuati come prioritari non comparivano neanche all’orizzonte: si pensi alla privacy e al peso che essa ha assunto in settori come la sanità e la sicurezza. La riforma non dà spazio al proprio interno alla disciplina di beni giuridici come questo. c. Nel 1948 quando si parlava di matrimonio si pensava a un uomo e a una donna e si dava per scontato che il diritto alla vita fosse prioritario e prevalente nell’ordinamento. In un ordinamento nel quale sono stati di fatto introdotti il matrimonio same sex e l’utero in affitto, è fuori luogo rendere esplicito in Costituzione ciò che 70 anni fa era da per acquisito? Ma anche questo non trova riscontro nella riforma. d. Nel 1948 la magistratura non pretendeva di creare il diritto prima del Parlamento, come invece accade da qualche decennio. L’esigenza di un equilibrio fra i poteri dello Stato, che renda più marcati i confini dell’uno e dell’altro è un problema di democrazia, purtroppo ignorato dalla riforma.
Ecco, adesso posso andare a votare sereno.
Alfredo Mantovano