di Marco Respinti
Scandalo. «Facebook ha venduto spazi pubblicitari politici a una società russa per un periodo di due anni ‒ quello che conduce dall’avvio della campagna elettorale per la Casa Bianca fino allo scorso maggio ‒ utilizzati per influenzare l’opinione pubblica americana». Lo dice Facebook, riporta meravigliatissimo il Corriere della Sera . Sui conti del popolarissimo social network ballerebbero infatti circa 100mila dollari di spese pubblicitarie per 3.300 post che hanno promosso 470 account tra profili e pagine riconducibili molto probabilmente alla Russia. Più altri 50 mila dollari in altre pubblicità apertamente politiche.
Secondo The Washington Post, le cui fonti sono funzionari di Facebook ascoltati dalla Commissione sull’intelligence della Camera federale degli Stati Uniti, questo oceano d’inserzioni pubblicitarie provengono dall’Internet Research Agency (IRA) di Sanpietroburgo, un’azienda nota in gergo come “Trolls from Olgino”, che in passato ha allestito campagne a favore del Cremlino. Quindi eccola qua la prova del “Russiagate”, ovvero del legame malandrino fra Trump e Vladimir Putin all’insegna della “reazione” di cui si parla da mesi e mesi ma che nessuno ha mai provato e per colpa della quale la povera Hillary Clinton, paladina specchiata del miglior progressismo di sempre, avrebbe perso la Casa Bianca.
Ma che, scherziamo? E quale sarebbe il reato? Della pubblicità regolarmente fatturata? Come se la rivale di Trump, Hillary Clinton, non avesse fatto pubblicità per vincere le elezioni, spendendo tra l’altro molto ma molto più di Trump giacché forte di un budget molto ma molto più milionario di quello di Trump, raggranellato fra George Soros e jet-set del femminismo abortista?
Eliminato il reato, resta il malcostume. Sbagliato. I committenti delle pubblicità su Facebook fatturate regolarmente dall’IRA avranno avuto i loro motivi per sposare Trump contro la Clinton; magari sono motivi spregevoli, ma questo attiene alla morale o forse solo alla valutazione politica. Finché nessuno viola la legge, anche quella morale, se si vuole, non c’è affatto dolo. E qui, sinora, la legge, compresa quella morale, non l’ha proprio violata nessuno.
Resta quindi la valutazione politica.
Se fosse vero, ma va dimostrato, che Putin è il mandante delle pubblicità regolarmente fatturate dell’IRA russa, quindi di nessun reato, e se fosse vero, ma va dimostrato, che Putin avrebbe preferito Trump alla Clinton, la nostra valutazione politica dovrebbe domandarsi “perché?”.
E iniziare a rispondersi tenendo presente quattro dati che nessuno ricorda nemmeno separatamente, figuriamoci in sequenza.
Primo, se mai la Russia ha lucrato da commerci con gli Stati Uniti cioè è avvenuto quando la Clinton era Segretario di Stato, allorché, grazie alla di lei mediazione, si è accaparrata il 20% di un asset strategico (anche per la sicurezza nazionale) qual è l’uranio, mentre il presidente Barack Obama era evidentemente molto distratto e la Clinton Foundation (l’organizzazione filantropica e ricchissima di Bill, Hillary e Chelsea Clinton che fra i donatori ha pure il ministero dell’Ambiente italiano e il Monte dei Paschi di Siena) guadagnava milioni e milioni di dollari.
Secondo, la politica estera renitente del tandem Obama-Clinton (e poi anche di John F. Kerry, che nel 2013 ha sostituito Hillary alla Segretaria di Stato) ha permesso per anni a Mosca di conquistare spazi che forse il Cremlino nemmeno sperava, soprattutto in Medioriente. La politica estera muscolare di Trump ha riportato gli Stati Uniti dentro scenari in cui il tandem Obama-Clinton (e Obama-Kerry) li aveva esclusi, soprattutto in Medioriente. Perché Putin avrebbe dovuto preferire Trump alla Clinton?
Terzo, i rapporti fra Russia e Stati Uniti, per queste ragioni, sono da tempo ai minimi termini. Il famoso discorso pronunciato da Trump a Varsavia il 6 luglio 2017, pubblicato in traduzione italiana sul n. 386 di luglio-agosto 2017 del bimestrale Cristianità , un discorso in cui il presidente statunitense loda l’“Iniziativa dei tre Mari” (l’unione che tocca Mar Baltico, Mar Nero e Mar Mediterraneo fra Austria, Bulgaria, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria, promosso proprio dalla Polonia, praticamente un “Patto di Varsavia” all’inverso), non è stato esattamente un discorso filorusso.
Quarto e ultimo, se tutto ciò è vero, allora forse l’unico motivo per cui Putin, se è stato Putin a commissionare la pubblicità Facebook regolarmente fatturata dell’IRA, è intervenuto nella campagna elettorale dell’anno scorso non è per influenzare, ma per confondere. Per ora, infatti, le uniche evidenti ingerenze russe nella politica statunitense sono due. Una è il losco affaire dell’“Uraniumgate già ricordato” su cui però non si spende molto inchiostro, il secondo è l’avere, proprio l’IRA, soffiato sul fuoco delle tensioni razziali. Che non è certo un favore fatto a Trump.
Marco Respinti