Di Mimmo Muolo da Avvenire del 13/05/2021
Quarant’anni dopo sarà ancora a Roma. Per celebrare questa mattina la Messa sulla tomba di san Giovanni Paolo II, in occasione del quarantennale dell’attentato. Ma per il cardinale Stanislaw Dziwisz quei momenti sono incisi in maniera indelebile nella memoria e nel cuore. E ad ascoltarli dalla sua viva voce, i particolari sembra di riviverli in presa diretta. Come se fossimo su quella jeep negli attimi immediatamente posteriori agli spari.
«Continuo ancora a sentire il suo corpo scivolare come paralizzato e cadere tra le mie braccia – dice il porporato, segretario personale del Papa fino alla sua morte, che quel giorno come sempre gli era accanto –. Vedo il suo sangue colare sulla sua bianca veste pontificia, macchiando le mie mani e i miei vestiti. Sento anche una continua sempre più debole ripetizione dell’invocazione: “O Maria, o Madre mia!”. Da quel giorno so ormai cosa abbia sentito l’apostolo Giovanni sostenendo sulle sue braccia il corpo di Cristo tolto dalla croce».
Un’immagine potente, che si riflette nello sguardo ancora velato di sofferenza di don Stanislao, come in quegli anni veniva affettuosamente chiamato da tutti. Oggi il cardinale Dziwisz ha 82 anni, dal 2016 ha lasciato la guida della diocesi di Cracovia, dopo aver ospitato nell’estate di quell’anno la Gmg e la visita di papa Francesco. Ma quando lo incontri è facile cogliere nelle sue parole che di tutti i momenti passati accanto al Papa ora santo, quelli del 13 maggio 1981 sono stati quelli che hanno maggiormente inciso nella sua esperienza di uomo, di consacrato e di cristiano.
«Non potrò mai dimenticare – confida – il rumore dei colpi di pistola dell’attentatore, che in un solo momento avrebbero potuto porre termine a quello straordinario pontificato».
E naturalmente ripassano davanti ai suoi occhi, altre immagini. «La terribile gara col tempo per non perdere la sua vita», quando da piazza san Pietro l’ambulanza con il papa gravemente ferito a bordo si inerpicò sulla collina di Monte Mario per raggiungere il Gemelli.
«Ricordo i dottori – continua il cardinale Dziwisz –, il personale medico e tutti i servizi e le persone la cui collaborazione permise la salvezza di san Giovanni Paolo II». E non può passare in secondo piano quella grande catena di preghiera che unì tutto il mondo, a partire da Roma e dalla Polonia. In particolare «la Marcia Bianca di Cracovia – dice il cardinale – e tutte le altre iniziative intraprese sino ai confini della terra per la salvezza del Santo Padre».
A quarant’anni di distanza il cardinale Dziwisz conferma la lettura mistica dell’attentato che fin dai giorni successivi all’evento dette san Giovanni Paolo II. «Quel pomeriggio una mano ha sparato ma un’altra Mano ha guidato le pallottole», afferma citando proprio le parole di papa Wojtyla. E aggiunge: «Il 13 maggio 1981 si avverarono le parole del Signore: “Prenderanno in mano serpenti e se berranno qualcosa di avvelenato, non nuocerà loro”».
Tuttavia l’anziano porporato non può fare a meno di pensare che cosa sarebbe successo se il tentativo del killer turco avesse messo fine alla vita del Pontefice. «Quanto poveri e diversi sarebbero stati il mondo e la nostra Polonia, senza la sua testimonianza di fede e di dottrina, senza le sue indicazioni e i suoi ammonimenti di fronte ai pericoli e ai turbini che possono minacciarci nel mondo contemporaneo».
Una domanda, specialmente, ritorna nella mente del cardinale. «Saremmo stati capaci di capire noi stessi; la Chiesa che egli con tanto impegno riformò e guidò nello spirito del Concilio Vaticano II; la famiglia per la quale ha combattuto in ogni angolo del globo; la gioventù che egli radunò intorno a Cristo, sorgente di vero amore, di bellezza e di purezza; infine la vita per la quale esigette rispetto dalla concezione alla morte naturale?». E «quanto sarebbe «stato difficile vivere senza la sua scuola di preghiera e quel totale affidamento a Dio attraverso Maria?».
La Mano che sviò il proiettile permise anche di realizzare tutto questo. «A Lei – dice Dziwisz – il grazie per quel miracolo di salvezza del 13 maggio 1981». Così come pure la preghiera fiduciosa, conclude il cardinale, per la «fine della pandemia, per cui ci affidiamo all’intercessione di san Giovanni Paolo II».
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