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Quote rosa e pillola abortiva: due facce della stessa medaglia?

10 Agosto 2020 - Autore: Cristina Cappellini

Pubblicato sul sito del Centro Studi Livatino il 10 agosto 2020

Tornato alla ribalta il tema delle quote rosa in materia di legge elettorale, con esso si ripropone il quesito: quanto serve introdurre ex lege un rilevante numero di donne candidate – fino a quando sarà lecito adoperare il termine “donna”? da quando si dovrà andare davanti al giudice in caso di rifiuto dell’uso del termine “individuo con le mestruazioni” o “individuo con cervice uterina”? – se non si aiutano le donne a superare i veri problemi che limitano il loro pieno realizzarsi nella famiglia, nel lavoro e nella società?

Che senso ha avere più donne in Parlamento se a troppe donne, magari della stessa età, è ancora negata la possibilità di formare una famiglia o di conciliare gli impegni famigliari con quelli lavorativi? Se una gravidanza diventa una seconda scelta rispetto al fatto di dover portare a casa uno stipendio? Se scegliere di essere mogli e madri senza lavorare è diventato quasi impossibile o una condizione che ormai il mainstream considera non dignitosa? Casalinga: che brutta parola! Non sia mai!

Quindi non importa se una donna è costretta a lavorare perché altrimenti la famiglia non riuscirebbe a pagare il mutuo o l’affitto della casa, le spese per l’istruzione dei figli, le cure per i genitori anziani: l’importante è che le venga garantito di potersi sedere in Parlamento, nei consigli regionali e comunali, nei cda! Si è arrivati persino a modificare, anzi a storpiare, la lingua italiana per coniare le declinazioni di ministra, sindaca, consigliera… E così abbiamo risolto tutti i problemi! Invece non abbiamo risolto niente: lo dico avendo ricoperto ruoli importanti, indipendentemente dalle quote rosa.

Quante donne vengono candidate non perché più meritevoli ma solo per l’esigenza di riempire liste elettorali con persone di sesso femminile? È sufficiente scorrere qualche curriculum. E quante volte nelle varie tornate elettorali si è sentito ripetere che servivano donne da candidare, solo per rispettare la legge?

Non penso che l’imposizione normativa sia un grande traguardo: non sono queste le battaglie da fare in nome del sesso femminile. A maggior ragione quando constato che mentre lo Stato tratta la donna come una specie protetta – nelle aule parlamentari, nelle assemblee regionali, comunali, nei cda -, lo Stato medesimo non riesce ad aiutarla nella vita di tutti i giorni: a diventare moglie, madre, lavoratrice, e anzi l’ultima trovata del Ministro della Salute Roberto Speranza è la possibilità di utilizzare la pillola abortiva senza ricovero ospedaliero anche fino alla nona settimana di gravidanza!

Questi sono gli aiuti dei paladini del gentil sesso (fino a quando si potrà dire gentil sesso senza essere imputati di discriminazione?). Il messaggio è: avanti donne! In nome dei vostri diritti e delle vostre libertà vi siano aperte le porte della carriera politica, istituzionale e manageriale, ma – attenzione! – meno figli fate e meglio è. Il volto dell’Occidente cosiddetto avanzato (con lungimiranza Alessandro Manzoni ricordava che “non sempre ciò che vien dopo è progresso”) è il consumo usa e getta, e quindi l’aborto per tutti, l’eutanasia per tutti, le quote rosa a tutti i costi, in attesa della rivendicazione e del varo delle quote fluide, transgender, ecc. È la maggiore attenzione portata per un cane abbandonato che per un bambino abortito; è lo scandalo di fronte a un agnello arrosto sulla tavola pasquale, e non di fronte a un bambino disabile a cui viene imposta l’eutanasia di Stato; è la lotta anche politica per salvare la vita a un orso (bene, anche a me piacciono gli orsi); è la gara a scattare foto e video da postare sui social di un essere umano in fin di vita.

È la società dei diritti à la carte con sempre meno doveri, senza prospettiva verticale e senza futuro. Cui non ci si deve arrendere: la consapevolezza della deriva raggiunta impone il lavoro per invertire la rotta. Subito.

Cristina Cappellini
già Assessore alla Cultura e Identità della Regione Lombardia

Lunedì, 10 agosto 2020

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Info Cristina Cappellini

Nata a Brescia il 28 maggio 1978, risiede a Soncino (CR).
Nel 2002 si è laureata in Giurisprudenza, presso l’Università degli Studi di Brescia, con una tesi in diritto pubblico comparato avente ad oggetto “Il ruolo dei partiti politici europei nella crisi dello Stato nazionale”.
Dal 2002 al 2004 ha svolto il praticantato forense, approfondendo al contempo la materia del diritto costituzionale.
Dal 2004 al 2013 ha maturato una serie di esperienze lavorative nel settore legislativo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento per le riforme istituzionali) e la Camera dei deputati, occupandosi prevalentemente di riforme costituzionali, di monitoraggio dell’attività di governo e parlamentare, di studio e ricerca in diritto pubblico.
Dal 2005 al 2009 ha ricoperto il ruolo di componente del Consiglio di amministrazione dell’Istituto per gli Affari Sociali (IAS) - in precedenza Istituto Italiano di Medicina Sociale (IIMS).
Dal 2013 al 2018 ha ricoperto il ruolo di Assessore alle Culture, Identità e Autonomie della Regione Lombardia, con le seguenti deleghe: Patrimonio culturale; Servizi e attività culturali; Autonomie.
Dal 2015 al 2018 è stata membro del Consiglio di amministrazione del Piccolo Teatro-Teatro d’Europa di Milano e dal 2016 al 2018 del Consiglio di amministrazione del Teatro alla Scala di Milano.
Con una spiccata passione per la cultura, in particolare per l’attività letteraria, è autrice di testi poetici e di narrativa. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti in concorsi letterari a livello nazionale. Nel 2011 ha pubblicato la raccolta di racconti “Di sole non ce n’è mai abbastanza”, edito da Aletti Editore.
Attualmente è impegnata in nuove opere letterarie e in diverse iniziative culturali.

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