Pubblichiamo una intervista al prof. Mauro Ronco, professore emerito di Diritto penale, Presidente del Centro Studi Livatino e dirigente di Alleanza Cattolica, in merito al prossimo referendum sulla legge costituzionale che introduce un taglio dei parlamentari della Repubblica. Si tratta di una breve e importante riflessione che aiuterà a votare con maggiore consapevolezza.
In che cosa consiste la legge costituzionale oggetto di referendum?
Si tratta di una legge semplicissima: consiste nel taglio del numero dei parlamentari: da seicentotrenta deputati a quattrocento deputati; da trecentoquindici senatori a duecento.
Lei è favorevole a mantenerla (Sì) oppure a cancellarla (No)?
Sono favorevole a cancellarla, perché è certamente la peggiore legge costituzionale che il Parlamento abbia mai approvato. Ciò per una ragione di fondo, relativa alla tecnica legislativa. Incidere sulle funzioni e sulla composizione di Camera e Senato è possibile, potrebbe essere anche utile; il farlo richiede scienza giuridica ed esperienza storica e politica; il tagliare il numero dei parlamentari (e lasciare il resto inalterato) è proprio di chi, non sapendo fare le leggi e non sapendo cosa scrivere nelle leggi a proposito di Camera e Senato, pensa di risolvere il problema ritenendo che la questione dell’autorevolezza politica di Camera e Senato sia un problema di quantità, e non di qualità, di scienza giuridica e di esperienza politica. Si tratta di un modello di legge che perviene a un livello di sfrenatezza demagogica mai prima di oggi riscontrato. Il contenuto della riforma non è un complesso razionale di disposizioni, bensì un monstrum con cui persone senz’arte né parte pensano di realizzare un miracolo.
Ma può scendere a considerazioni più specifiche circa la sua intenzione di voto nel senso del “no”?
Il primo motivo è il seguente: il numero di deputati e di senatori così improvvidamente ridotto lascerà prive di rappresentanza almeno trenta province italiane, lasciando così senza rappresentanza un numero notevole di territori, per lo più situati nelle aree meno sviluppate e più disagiate del paese. Lasciare questi territori senza rappresentanza parlamentare, significa isolare ancor più questi territori dal contesto dello sviluppo del paese e violare il principio fondamentale della rappresentanza, che vuole che ogni unità territoriale sia rappresentata in Parlamento affinché in sede nazionale siano valorizzate e protette le esigenze fondamentali di ciascuna unità locale.
Ma allora non era possibile ridurre il numero di parlamentari, che molti dicono siano troppi?
Sì, era possibile, ma occorreva previamente approvare una legge elettorale e una legge che ridisegnasse i collegi elettorali, affinché nessun territorio rimanesse escluso dalla rappresentanza in modo brutale e automatico.
Quale è il prevedibile risultato del taglio dei parlamentari quanto all’efficienza dei lavori del Parlamento?
Il risultato prevedibile è una sempre maggiore difficoltà dei parlamentari di svolgere il proprio lavoro. Il problema dei parlamentari non sta nel fatto che lavorino poco, bensì nel fatto che lavorano male. Tra riunioni di Commissioni e di Aula – oltre agli impegni di partito e politici – i parlamentari lavorano a tempo pieno senza concedersi un momento di riposo. Per questo parlano molto frequentemente a vanvera perché non sono in grado di conoscere i dossier su cui debbono pronunciarsi. Ora, riducendo il numero dei parlamentari, si accresceranno i doveri di presenza nelle commissioni e nelle varie istituzioni del Parlamento, tanto da rendere quasi impossibile che gli stessi studino i dossier. Quindi lavoreranno peggio. V’è un aspetto importante: nei paesi occidentali (non tutti, ma alcuni sì – la Germania per esempio ha un numero di parlamentari elevato) i deputati sono in numero minore di quello italiano; ma ogni deputato è un ufficio parlamentare, cioè ogni deputato ha uno staff di persone competenti assunte tramite concorso che compie il lavoro tecnico di preparazione per le prese di posizione del deputato. In Italia, nulla di tutto ciò; l’assistente parlamentare che gli è stato riconosciuto qualche decennio fa è una sorta di facchino di carattere attivistico, ma non un tecnico parlamentare. La riforma numerica, quindi, peggiorerà la qualità del lavoro dei parlamentari.
Ma allora, dal taglio dei parlamentari ne guadagnerà l’autorevolezza del Parlamento? Essendo in meno, faranno una migliore impressione?
No, tutto al contrario; riducendosi il numero dei parlamentari, si accrescerà il potere di controllo della cupola dei partiti. Per essere eletti occorreranno molti più voti, che potranno essere garantiti soltanto dalla cupola del partito che li presenta. E’ un effetto conseguenziale alla riforma che diminuirà notevolmente il livello di indipendenza del singolo parlamentare rispetto alla cupola che lo ha prescelto. Ciò provocherà una diminuzione dell’autorevolezza del Parlamento nel suo insieme, poiché spariranno i parlamentari, magari pochi, ancora oggi autorevoli e indipendenti.
E il risparmio per le casse dello Stato?
Questo è solo uno slogan demagogico. Il risparmio è cosa risibile sull’insieme delle spese che lo Stato devolve per il mantenimento delle sue articolazioni istituzionali.
E sul piano politico, che effetto avrà eventualmente la vittoria del sì, che viene annunciata come probabile?
Io credo che gli italiani vorranno sfuggire, almeno in larga misura, al richiamo banale della demagogia; se, però, dovesse vincere il “sì” la conseguenza più ovvia è che saranno impossibili le elezioni politiche almeno fino al 2023; ciò perché vi sarà un pretesto – oggettivamente non falso – per non fare elezioni anticipate, nonostante che la rappresentanza parlamentare oggi non rispecchi assolutamente più l’orientamento politico del Paese, il pretesto, cioè, che sarà indispensabile approvare una nuova legge elettorale e una legge di ridisegnazione dei collegi, la cui elaborazione e approvazione sarà lunga e laboriosa, richiedendo almeno due anni di tempo per essere completata.
Venerdì, 11 settembre 2020