Enzo Peserico, Cristianità n. 129-130 (1986)
Ray S. Cline e Alexander Yonah, Terrorismo: la pista sovietica, Reverdito Editore, Trento 1985, pp. 200, L. 15.000
«Ufficiale superiore della Germania dell’Est. Come risultato delle conversazioni tenutesi lo scorso ottobre tra l’assistente del ministro della Difesa e il vice-comandante dell’OLP, è stato convenuto che le reclute dell’OLP verranno assegnate e addestrate nelle nostre accademie militari. Desidero dirvi, compagni, che il nostro programma di addestramento è così composto:
1. Indottrinamento politico: introduzione alla sociologia e alla scienza politica come base dell’addestramento militare. Responsabile diretto di questa parte è un ufficiale.
2. Addestramento tecnico e tattico.
3. Addestramento fisico.
4. Vi sono anche corsi di matematica, di fisica e di lingua tedesca.
Il marxismo-leninismo è alla base di tutto l’addestramento. Avete qualche obiezione a questo proposito?
Risposta [della delegazione dell’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina]: No assolutamente».
Questo dialogo, contenuto nel rapporto sui colloqui avuti dalla Missione Militare Palestinese nella Germania dell’Est dal 14 al 19 aprile 1982, è uno dei significativi documenti che arricchiscono il volume di Ray S. Cline e Alexander Yonah, Terrorismo: la pista sovietica (pp. 183-184).
Ray S. Cline, membro anziano del CSIS, il Centro di Studi Strategici e Internazionali della Georgetown University, è stato negli anni Sessanta vice direttore per l’informazione della CIA. Negli Stati Uniti è un ascoltato esperto di terrorismo internazionale e di spionaggio, come ha riferito la stessa stampa italiana a proposito del «caso Yurcenko» (cfr. Corriere della Sera, 6-11-1985). Alexander Yonah è professore e direttore dell’Istituto di Studi sul Terrorismo Internazionale dell’università di Stato di New York e anche lui del CSIS. Autore di numerosi libri, dirige due riviste internazionali sul terrorismo e le relazioni politiche.
Se è vero che la pubblicistica sul tema del terrorismo internazionale riesce di rado a elevarsi dal piano dell’ipotesi giornalistica, mi sembra che i due autori americani superino agevolmente questa critica: la tesi da loro formulata è corredata da fatti, cioè da documenti di sicura affidabilità, che la rendono difficilmente contestabile.
L’opera si apre con una constatazione: «Nell’ultimo decennio la violenza rivoluzionaria e la guerriglia si sono diffuse sempre più in ogni continente; un’attenta lettura del materiale dottrinario sovietico evidenzia come tutto ciò sia stato pianificato da Mosca» (p. 6). Le dichiarazioni in tal senso dei segretari del Partito Comunista dell’Unione Sovietica si susseguono senza soluzione di continuità (pp. 21-34). «Però – proseguono gli autori – la paternità e la continuità del modello strategico e di quello del terrorismo, che operano nell’ambito della destabilizzazione politica internazionale, assistiti, se non direttamente controllati da Mosca, sono sfuggite alla maggior parte degli osservatori politici statunitensi e di altri Paesi occidentali. Da parte loro i mezzi di informazione, quando trattano di terrorismo, cercano sempre la “pistola fumante” che provi inoppugnabilmente il coinvolgimento sovietico. Essi trascurano il fatto che gli attivisti rivoluzionari protagonisti del terrorismo internazionale entrano in azione dopo essere stati protagonisti adeguatamente addestrati, ma di tale attività clandestina ogni traccia viene accuratamente occultata e di regola ogni complicità negata» (pp. 6-7).
Perciò lo sforzo di Ray S. Cline e Alexander Yonah vuole evidenziare, attraverso la mole di documenti raccolta, che «di “armi fumanti” o no ve ne sono in abbondanza, e dalle informazioni […] raccolte la struttura complessiva sovietica che sostiene il terrorismo esce certamente evidenziata al di là di ogni dubbio» (p. 7).
L’azione sovversiva sovietica segue fondamentalmente tre direttrici:
a. La propaganda e l’informazione deformante, che utilizza tecniche sofisticate di influenza sull’opinione pubblica occidentale. Questa guerra psicologica è interessantissima ma, come un fiume carsico, raramente lascia trapelare i propri segreti; due recenti eccezioni riguardano la battaglia delle spie, con il già citato «caso Yurcenko», e la documentata presenza sovietica dietro l’organizzazione pacifista internazionale Greenpeace (cfr. Jean Montaldo e Jean Louis Remilleux, Greenpeace, ovvero pace rossa, in Il Sabato, anno VIII, n. 39, 28-9-1985).
b. Il terrorismo contro individui considerati nemici mortali del comunismo. Gli autori fanno riferimento anche al tentato omicidio di Papa Giovanni Paolo II, basandosi sulle indagini della giornalista Claire Sterling (cfr. pp. 18 e 47-48) che, sulla scorta anche del materiale istruttorio raccolto dai magistrati italiani, gettano pesanti indizi sui servizi segreti bulgari, notoriamente longa manus del KGB sovietico (cfr. Claire Sterling, Anatomia di un attentato, trad. it., SugarCo, Milano 1984).
c. L’appoggio ai cosiddetti «movimenti di liberazione nazionale» e ai gruppi terroristici di paesi considerati ostili. Su questo tema si concentra l’attenzione dei due autori: a fronte delle guerre convenzionali, dispendiose e rischiose, che l’Unione Sovietica anima soltanto nei pressi dei propri confini – come in Afghanistan – «stanno da anni i cosiddetti conflitti di “bassa intensità”, che nel loro aspetto interno e internazionale interagiscono nel quadro politico e strategico mondiale. Essi sono caratterizzati dall’uso diffuso di violenze, sabotaggi, rivolte, colpi di Stato e guerre civili, che sono strumenti comuni ai gruppi in lotta in molti Paesi per vantaggi sociali e per il potere. […] Tuttavia, essi sono mantenuti sempre al di sotto di quel livello critico che una volta superato potrebbe trasformare i conflitti di “bassa intensità” in guerre convenzionali estese oltre il puro ambito locale. […]
«Nel contesto dei conflitti di “bassa intensità”, le situazioni più pericolose si hanno quando gli antagonismi ideologici e politici che agitano un Paese vengono spinti a un livello critico dalle forze ribelli urbane ed extraurbane politicamente e materialmente sostenute dall’esterno. Infatti, se i gruppi terroristici ricevono finanziamenti, addestramento, armi e munizioni e sono politicamente guidati da santuari siti fuori dal Paese, essi possono minacciare seriamente la stabilità politica, sociale ed economica. Inoltre, in tale modo, di fatto essi entreranno a far parte di un fronte di guerra internazionale, il cui fine, localmente, è quello di arrivare al controllo politico del Paese, del suo popolo e delle sue risorse. In conseguenza, un Paese che sostiene la violenza terroristica in un altro Paese è impegnato in una guerra di “bassa intensità” per estendere la propria sfera di influenza politica» (pp. 12- 13).
Ray S. Cline e Alexander Yonah portano numerosi esempi della promozione da parte dell’Unione Sovietica di tali conflitti di bassa intensità. Il centro nevralgico delle operazioni è costituito dal Dipartimento Internazionale del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica guidato da Boris Ponomarev, dal Servizio di Sicurezza Sovietica, il KGB, e dal Servizio Militare di Informazione, il GRU (pp. 89-92). Emissari dell’Unione Sovietica sono, in Africa come in America Latina, soprattutto Cuba e la Germania dell’Est. Viene documentata la presenza cubana in Nicaragua e in Salvador: «Nel 1979, in Nicaragua, nei sei mesi successivi alla conquista del potere da parte dei sandinisti, i cubani hanno inviato nel Paese circa 2000 persone tra insegnanti, militari e tecnici. […] Consiglieri militari cubani sono presenti in ogni unità militare nicaraguegna, e al Quartiere Generale della guerriglia salvadoregna, nei pressi di Managua, ufficiali cubani operano con i comandanti sandinisti e con i capi della guerriglia salvadoregna quali consiglieri in materia di tattica, di scelta degli obbiettivi e nel fornire informazioni» (p. 112). Altri dati riguardano l’azione comunista in Angola (su cui cfr. Lucio Lami, Così Italia e Occidente aiutano l’Angola cubana, in il Giornale, 15-11-1985) e l’appoggio sovietico al braccio terroristico dell’African National Council sudafricano, l’Umkonto We Sizwe, «La lancia della nazione» (pp. 97-98).
La parte più interessante del volume è però costituita dai documenti che riguardano il rapporto tra l’Unione Sovietica e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Nel giugno del 1982, l’occupazione israeliana del Libano portò all’acquisizione di documenti «che provano chiaramente l’uso che i sovietici fanno dell’OLP quale strumento di destabilizzazione politica del Medio Oriente e di vettore del terrorismo nel mondo» (p. 7). Il brano che ho riportato in apertura ne è un esempio.
L’OLP, che rappresenta in Medio Oriente un vero e proprio «Stato della diaspora palestinese», dotato di una organizzazione economica potentissima (cfr. James Adams, Le finanze del terrorismo, trad. it., SugarCo, Milano 1985, pp. 83-138) riceve dall’Unione Sovietica sostegno politico e diplomatico, oltre che assistenza nell’addestramento militare e nell’armamento (pp. 72-85). In cambio, «l’OLP ha svolto un ruolo attivo nel promuovere e nel perseguire gli obbiettivi di Mosca in Medio Oriente e altrove, ed Arafat ha dato il tono a questa politica» (p. 66). Proprio Yasser Arafat, nel gennaio del 1982, così si rivolse a una delegazione sovietica in visita a Beirut: «Le nostre relazioni con l’Unione Sovietica hanno carattere strategico e rispecchiano il fatto che siamo nella stessa trincea, nella stessa posizione contro l’imperialismo, il sionismo, il colonialismo razzista, il fascismo» (ibidem); e aggiunse: «Contiamo su di voi, compagni, sul Comitato Centrale del Partito Comunista Sovietico e sul blocco socialista, pieni di speranza, da amici ad amici, [per] il punto di vista che l’Unione Sovietica vorrà adottare nel considerare i problemi della liberazione e del progresso nel mondo» (ibidem).
Abd Rabhi, nel 1980 responsabile del Dipartimento dell’Informazione e della Cultura dell’OLP, dichiarò che «l’impegno russo in Afghanistan è un punto di riferimento importante per tutte le forze rivoluzionarie che si oppongono all’espansione americana in Medio Oriente» (p. 69).
L’appoggio sovietico all’OLP è emblematico per comprendere come l’Unione Sovietica si muova sempre sul piano del realismo nell’attuazione della propria strategia egemonica: «Infatti, all’OLP chiedono di perseguire quanto può essere raggiunto piuttosto che di cercare di realizzare tutte le aspirazioni dichiarate (pp. 70-71), in ciò differenziandosi dall’azione quasi suicida di altri gruppi terroristici palestinesi, sostenuti direttamente dalla Siria e dalla Libia, come ha mostrato la strage di Fiumicino del 27 dicembre 1985, perpetrata dal gruppo di Abu Nidal, già capo di Settembre Nero.
In conclusione, Ray S. Cline e Alexander Yonah non giungono ad affermare che la maggior parte delle operazioni terroristiche che si registrano nel mondo sia alimentata dai sovietici. La grande mole di informazioni raccolte suggerisce loro di fare propria la posizione già espressa nel 1976 da lord Chalfont: «Non credo che le forze del terrorismo internazionale siano ispirate o controllate da un unico centro, ma ritengo però che quando ciò torna utile ai loro scopi, le forze del comunismo internazionale aiutano in ogni parte del mondo i gruppi terroristici» (p. 28). La realtà complessa e spesso oscura del fenomeno terroristico internazionale può autorizzare soltanto questo giudizio prudente: se fosse condiviso dai paesi liberi, sarebbe già raggiunto un risultato straordinariamente importante.
Enzo Peserico