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Ricerca genetica, progresso e morale 

19 Novembre 1994 - Autore: Alleanza Cattolica

Giovanni Paolo II, Cristianità n. 235 (1994)

 

Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, del 28-10-1994, in L’Osservatore Romano, 29-10-1994, nn. 4-5. Traduzione dall’originale in francese e titolo redazionali.

 

Ricerca genetica, progresso e morale

 

Il genoma rappresenta l’identità biologica di ogni soggetto; di più, esprime una parte della condizione umana dell’essere, voluto da Dio per sé stesso, grazie alla missione affidata ai suoi genitori. 

Il fatto di poter stabilire la mappa genetica non deve portare a ridurre il soggetto al suo patrimonio genico e alle variazioni che vi possono essere iscritte. Nel suo mistero, l’uomo supera l’insieme delle sue caratteristiche biologiche. È un’unità fondamentale, nella quale l’aspetto biologico non può essere separato dalla dimensione spirituale, familiare e sociale, senza correre il grave rischio di sopprimere quanto costituisce la natura stessa della persona e di farne un semplice oggetto d’analisi. La persona umana, per la sua natura e per la sua singolarità, è la norma di ogni ricerca scientifica. Essa «è e deve essere» «principio, soggetto e fine» di ogni ricerca (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 25).

La riflessione etica deve anche vertere sull’utilizzazione dei dati medici concernenti gli individui, in particolare di quelli che sono contenuti nel genoma e che potrebbero essere sfruttati dalla società a danno delle persone, per esempio eliminando gli embrioni portatori di anomalie cromosomiche o emarginando i soggetti colpiti dall’una o dall’altra malattia genetica; non si possono neppure violare i segreti biologici della persona, né esplorarli senza il suo consenso esplicito, né divulgarli per usi che non siano strettamente di ordine medico o che non abbiano finalità terapeutiche per la persona in questione. Infatti, indipendentemente dalle diversità biologiche, culturali, sociali o religiose che distinguono gli uomini, ogni persona ha un diritto naturale a essere ciò che è e a essere l’unica responsabile del proprio patrimonio genetico. 

Tuttavia, non bisogna lasciarsi affascinare dal mito del progresso, come se la possibilità di realizzare una ricerca o di applicare una tecnica permettesse di qualificarle immediatamente come moralmente buone. La bontà morale di ogni progresso si misura secondo il bene autentico che procura all’uomo, considerato nella sua duplice dimensione corporea e spirituale; così si rende giustizia a ciò che è l’uomo; non riferendo il bene all’uomo, che deve esserne il beneficiario, si dovrebbe temere che l’umanità corra a perdizione. La comunità scientifica è costantemente chiamata a mantenere l’ordine dei fattori situando gli aspetti scientifici nel quadro di un umanesimo integrale; essa terrà così conto dei problemi metafisici, etici, sociali e giuridici che si pongono alla coscienza e che i principi della ragione sono in grado di chiarire. 

Sono lieto che nel programma di questa sessione abbiate avuto cura, in quanto uomini di scienza, di mettere le vostre conoscenze al servizio della verità morale, riflettendo sulle implicazioni etiche e sui provvedimenti legislativi che sarebbe necessario proporre ai governi e alle équipe scientifiche. È auspicabile che la vostra autorevole voce contribuisca all’elaborazione di un consenso internazionale in un campo tanto delicato, consenso fondato sulla verità oggettiva dell’uomo compresa mediante la retta ragione. Su questa base bisogna sperare che le istituzioni interessate si impegneranno a favorire una riflessione approfondita, affinché ogni paese possa dotarsi dei regolamenti che tuteleranno la persona umana e il suo patrimonio genetico, promuovendo la ricerca di base e quella applicata alla salute degli individui. 

Giovanni Paolo II

 

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