In corso la causa di beatificazione del religioso domenicano
di Massimo Martinucci
Succede a volte nel corso della nostra vita che la Provvidenza ci faccia incrociare personaggi speciali, dei quali immediatamente percepiamo la santità e che poi nel tempo rimangano presenti nel nostro cuore e nel nostro ricordo, accompagnandoci discretamente nel nostro cammino. A metà degli anni Ottanta, in occasione di incontri organizzati a Bologna da Alleanza Cattolica, ho avuto la fortuna di conoscere padre Tomas Tyn, di conversare con lui diverse volte e di assistere alla Messa da lui celebrata ascoltando dunque alcune delle sue potenti omelie.
A distanza di tanti anni non ho dimenticato come tutto in lui esprimesse desiderio di Paradiso, come fosse appassionata la sua predicazione, come il suo viso esprimesse serenità ed insieme severità, come la profondità sempre ponderata dei suoi giudizi teologici e la fluidità nel parlare una lingua non sua denotasse una straordinaria chiarezza di pensiero, frutto di grande intelligenza e di molto, molto studio. Anche per queste sue caratteristiche la notizia, nel gennaio del 1990, della sua breve malattia e prematura morte ha immediatamente sortito una reazione, in chi lo conosceva, certamente di dolore per la perdita di un così notevole personaggio, ma non certo di disperazione: è sembrato semplicemente che — pur troppo presto per i nostri parametri umani — fosse giunto al suo traguardo e avesse ottenuto già il suo premio; il gesto più naturale è stato quello non di pregare per lui, ma di pregare lui. Del tutto spontaneo dunque pensare a padre Tomas come ad un amico in Cielo e ad un santo che possa essere pregato ed invocato anche con tutti i crismi dell’approvazione della Chiesa; infatti nel febbraio del 2006 l’Arcivescovo di Bologna, Cardinale Carlo Caffarra, ha introdotto la Causa per la sua beatificazione nel cui decreto si può leggere che «la figura di Padre Tomas si presenta come persona ferma nella fede, in mezzo alla persecuzione sistematica della religione o alla tentazione di seguire le vie di un umanesimo secolarizzato e consumista. Oggi la sua beatificazione e canonizzazione è desiderata e richiesta da numerose persone che mantengono viva la memoria della sua virtù e fama di santità già riconosciuta da tanti quando era in mezzo a noi».
Padre Tomas era nato nel 1950 a Brno, in Cecoslovacchia, oggi Repubblica Ceca, da una famiglia cattolica e quindi sottoposta a molte difficoltà a causa del duro regime comunista di quegli anni, ma si distinse fin da giovanissimo vincendo una borsa di studio che gli permise di continuare a studiare in Francia, a Digione, poi in Germania, a Wartburg, dove la sua famiglia si era rifugiata dopo l’invasione della sua patria da parte dell’Unione Sovietica del 1968. Nel frattempo maturava la sua vocazione e nel 1972 decise di trasferirsi a Bologna per entrare nel convento di San Domenico. Nel 1975 fu ordinato sacerdote a Roma da papa san Paolo VI e, dopo essersi addottorato all’Angelicum, tornò a Bologna dove gli fu affidato l’insegnamento di Teologia dogmatica continuando qui gli studi che compendiò nel suo maggior lavoro pubblicato con il titolo «Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis».
Chi lo ha conosciuto in quegli anni nella vita quotidiana testimonia che nonostante la sua impressionante scienza che lo portava con la massima naturalezza ad essere punto di riferimento per chi gli stava accanto, mantenne sempre una grandissima umiltà per cui accettava prontamente i compiti e gli incarichi più gravosi o noiosi, quelli che spesso erano scansati dagli altri confratelli. Alla fine del 1989 si manifesta improvvisamente l’inesorabile malattia per cui si trasferisce dai genitori (entrambi medici) in Germania, che lo curano senza potergli evitare la morte che lo coglie il 1° gennaio 1990, all’età quindi di soli quarant’anni non ancora compiuti. Soltanto dopo la sua morte si è venuti a conoscenza del fatto che poco prima del sorgere della malattia padre Tomas aveva confidato ad un giovane confratello che il 29 giugno del 1975, il giorno della sua ordinazione, proprio mentre il Santo Padre poneva le mani sul suo capo, aveva offerto al Signore la propria vita in sacrificio di espiazione per ottenere la libertà della sua patria ancora oppressa dal comunismo ateo.
Ad uno sguardo di fede non può certo sfuggire una impressionante coincidenza: proprio tra l’estate del 1989 ed il gennaio del 1990, in perfetta sincronia con il manifestarsi del male che ha stroncato la vita di padre Tomas, si è svolto il processo che ha portato alla liberazione della Cecoslovacchia dall’inumano giogo comunista. Evidentemente il Signore ha accettato il sacrificio del teologo domenicano che a buon diritto può essere considerato un vero “padre della patria”. Nei suoi scritti e nelle sue omelie, per tutta la vita padre Tomas Tyn ha difeso in modo deciso e battagliero la dottrina cattolica in particolar modo attaccata da modernisti e progressisti che rifacendosi ad un preteso “spirito del Concilio” operavano una spaccatura con gli insegnamenti precedenti.
Per questo era considerato un tradizionalista e la cosa gli procurò molte incomprensioni in un periodo storico post-conciliare nel quale, nonostante incessanti e ripetute puntualizzazioni papali — prima san Paolo VI e poi san Giovanni Paolo II, i quali hanno sempre affermato la perfetta continuità degli insegnamenti del Vaticano II con tutto il Magistero cattolico precedente —, queste posizioni erano ampiamente minoritarie in ambito ecclesiale. In questo dibattito padre Tomas ebbe una visione chiarissima della situazione, e in un momento in cui sembrava che le posizioni teologiche contrapposte fossero quelle dei progressisti e quelle dei tradizionalisti, capì quello che vent’anni più tardi Benedetto XVI esplicitò con felice sintesi definendo l’«ermeneutica della riforma nella continuità» opposta all’«ermeneutica della rottura». Non quindi “tradizionalismo vs progressismo”, bensì una posizione fedele alla dottrina cattolica — che va sempre letta ed interpretata in continuità con tutto il Magistero — opposta ad un atteggiamento di rottura che può essere sia di segno “progressista” nel caso si veda con favore il rifiuto degli antichi dogmi, sia di segno “tradizionalista” nel caso contrario.
Anche le sue posizioni in campo liturgico erano su questa linea: ogni sua celebrazione era caratterizzata da una intensità e compostezza difficile da riscontrare comunemente, percorsa da un afflato mistico che rendeva percepibile il soprannaturale. Padre Tomas non nascondeva affatto la sua preferenza per la forma antica del rito romano, che celebrò regolarmente soltanto dopo averne ottenuto il permesso e sempre in comunione con tutta la Chiesa, senza mai alcun cedimento che potesse mettere a rischio la fedeltà alla Chiesa dei partecipanti alle sue celebrazioni. Sulla sua tomba, a Neckargemund in Germania, sono riportate le parole del salmo 42, quelle che ha pronunciato tante volte iniziando la S. Messa: «Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat juventutem meam». Un perfetto suggello sulla vita di un uomo e di un sacerdote del quale la Chiesa si appresta a dichiarare la santità.
Martedì, primo dicembre 2020