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Riflessioni sul pellegrinaggio di Papa Giovanni Paolo II in Lituania

29 Settembre 1993 - Autore: Alleanza Cattolica

Stanislaw Grygiel, Cristianità n. 220-221 (1993)

 

Riflessioni sul pellegrinaggio di Papa Giovanni Paolo II in Lituania

 

Trascritte dall’inserto Giovanni Paolo II in Lituania, in Lettonia e in Estonia, a cura di Sergio Trasatti e Mario Pozzi, supplemento a L’Osservatore Romano, n. 200, 1-9-1993, p. 3, dove sono comparse con il titolo Un popolo che ha coraggiosamente difeso l’identità nazionale durante una lunga notte durata cinquant’anni. Il nuovo titolo è redazionale.

 

I

Ogni pellegrinaggio del Papa è una parola. Essa rac­chiude un messaggio che può essere compreso so­lo con tutto il proprio essere e mai con la sola ra­gione. La ragione infatti comprende soltanto, per co­sì dire, l’aspetto astratto delle parole. Il pel­le­gri­nag­gio del Papa, invece, ricorda agli uomini tutta la re­altà personale dell’uomo, la cui base è il legame con Dio. Annuncia perciò verità fondamentali, e quin­di le più semplici che l’uomo o la società, no­­nostante tutte le apparenze, desiderano più del pa­ne e dell’acqua.

Il dono delle più sem­pli­­ci verità, portato dalle parole del Papa, non è un suo dono. La fede la­­boriosa intravede nella testimonianza del Pa­pa la presenza della Paro­la Incarnata dalla cui Ve­ri­­tà scaturisce la libertà del­l’uomo. Le verità fon­da­­mentali sono difficili per­ché, essendo il perno del­la personale esistenza dell’uomo, lo obbli­ga­­­no a convertirsi alla Pa­rola di Dio. Senza una quo­tidiana conversione ad Essa non si può essere se stessi.

L’uomo riceve il dono del­la Verità non in teoria, cioè sempre allo stesso modo. Egli lo riceve sem­pre nella situazione in cui, hic et nunc, deve con­quistare la libertà. In altre parole, egli lo riceve se­condo lo stato attuale del suo essere se stesso, es­sere affascinato e com-preso dall’eternità del Dono del­la Verità. L’eternità di questo Dono rende manife­sta la malattia dell’essere personale dell’uomo nel tem­po e porta la medicina per essa.

II

Giovanni Paolo II in Lituania visita per la prima volta uno di quei paesi che, come risultato della violenza politica quale è stato il patto Ribbentrop-Molotov firmato nel 1939 tra Germania e URSS, non solo hanno perso l’indipendenza, come la Polonia e la Cecoslovacchia, ma sono stati brutalmente incorporati nell’Unione Sovietica. Durante questa notte durata cinquant’anni, la Lituania ha coraggiosamente difeso la propria identità nazionale. E ha avuto successo; anzi, è diventata più cosciente della propria particolarità. Tuttavia, anche la sua società, che veniva distrutta moralmente, culturalmente e religiosamente, ha ceduto alla demoralizzazione. Lottando per liberarsi dal giogo sovietico, la società lituana (così come quella di altre nazioni imprigionate nell’impero sovietico) ha infatti, in misura non insignificante, dimenti­ca­to l’essenza della stessa libertà. Saper dire «no!» e sottolineare che si è diversi, è soltanto una condizione dell’essere liberi. Quando questa condizione viene adempiuta, si presenta la necessità di imparare quotidianamente la difficile libertà. Bisogna non solo saper ri­con­qui­stare ciò che è proprio, ma anche, e forse so­prat­­tutto, saperlo dare agli altri. Solo imparare tale libertà — imparare che forma la vita personale e sociale — lentamente trasformerà la politica e l’economia in un processo creativo dal punto di vista culturale.

Giovanni Paolo II va in Lituania per dare coraggio agli uomini che, liberatisi, con difficoltà cominciano a comprendere che la libertà è per la Verità e non per la sua mancanza. Giovanni Paolo II visita i lituani per cercarla in Cristo insieme a loro, nella loro situazione; essere liberi si può soltanto in due. Tale è la natura del dono.

Un ruolo essenziale nella lotta dei lituani per il loro essere personale e nazionale hanno avuto la fede religiosa e il legame con Pietro. La loro vittoria però finirebbe tragicamente se indugiassero convinti che adesso si possono mettere da parte questa fede e questo legame. Questi non sono infatti strumenti che dopo l’uso vengono gettati in un magazzino dove rimarranno fino al momento in cui ci saranno di nuovo utili. Dire alla Verità che ci aspetti, significa dimenticare se stessi. L’uomo, però, non si libera per poter dimenticare se stesso e per perdere il controllo di sé. La liberazione non è per la licenza ma per la libertà.

III

Il pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Lituania darà un giudizio sulla politica dei più forti attuata contro i più deboli sia in campo internazionale che in quello nazionale. Forse lo farà senza menzionare una tale politica. Sarà sufficiente se dirà come gua­rire le ferite da essa inferte ai cuori e alle menti degli uomini; ferite che non solo provocano dolore ma causano la morte talvolta fisica e sempre spirituale.

La convalescenza di nazioni come la Lituania sarà lunga. Non si tratta solo di una convalescenza po­litica o economica. I malesseri più pericolosi del­le nazioni violentate e demoralizzate dalla politica di forza sono di natura spirituale. Lo spirito guarisce lentamente perché lentamente si converte l’uomo dall’odio all’amore. Affinché nazioni come la Lituania, violentate dal comunismo, possano guarire, bisogna aiutarle a ripensare quelle realtà senza le quali nessuna società può essere se stessa. Sono realtà che l’uomo può pensare soltanto con tutto se stesso. La sola ragione non basta per poter intravedere cosa significa essere se stesso oppure, in altre parole, cosa significa fare giustizia, amore e misericordia. Farli ovunque: nel matrimonio, nella famiglia, nel posto di lavoro, nel parlamento, nel governo, nelle relazioni con individui e nazioni… Nazioni come la Lituania devono imparare la difficile arte di perdonare…

Le riflessioni sulle cose più semplici, indispensabili per la vita della persona e per quella della so­­cietà, si possono fare soltanto nell’unione con gli altri. Per poter riflettere, la Lituania ha bisogno della presenza personale e sociale degli altri. Senza una tale presenza tutti i «doni» politici o economici, pri­ma o poi, risulteranno essere dei cavalli di Troia. Ma, perché gli altri possano aiutare la Lituania, prima devono essi stessi convertirsi. Giovanni Paolo II, perciò, in Lituania parlerà a tutta l’Europa, a tutto il mondo. Il suo pellegrinaggio indica quella realtà per la quale oggi dovrebbe essere la libertà di tutti coloro ai quali la provvidenza ha risparmiato la prova a cui sono stati sottoposti la Lituania e i paesi vicini. Più grande sarà la presenza dell’uomo per l’uomo, più piccola sarà la violenza perpetrata dai forti sui deboli!

Nessuno è maturo per la libertà. Tutti la dobbiamo imparare. Possiamo farlo soltanto in due…

Alla presenza del Pontefice in Lituania aggiunge una simbolica espressione il fatto che Giovanni Paolo II sia polacco e sia stato vescovo di Cracovia. Come tale rievoca il battesimo della nazione lituana ricevuto dalla Chiesa Occidentale attraverso la Polonia, battesimo che era legato al matrimonio del Granduca della Lituania, Ladislao Jagellone, con la beata Edvige, regina della Polonia. Il loro matrimonio aveva unito la Lituania e la Polonia nella buona e nella cattiva sorte per quattro secoli, dando vita alla Repubblica delle Due Nazioni. Come in ogni matrimonio, così anche in questo c’erano conflitti. Tuttavia, in esso non c’era violenza. Questo grande e difficile amore delle due nazioni è stato distrutto dalla violenza su di loro perpetrata da Russia, Prussia e Austria.

IV

Il pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Lituania annuncia i suoi pellegrinaggi negli altri paesi dell’ex Unione Sovietica dove lo aspettano uomini che, in questo orribile campo di concentramento, sono sopravvissuti nella fedeltà a Dio e quindi a se stessi. Il pellegrinaggio del Santo Padre inoltre avvicina l’incontro tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa Russa, non come istituzioni legate a ben definiti ter­ritori; un incontro, invece, nelle persone che abitano l’una accanto all’altra. Pensare la Chiesa in un modo che è proprio di Yalta e che, secondo alcuni, divide l’Europa canonicamente in due parti ecclesiali, è in conflitto con il Cenacolo, con l’Eucaristia e con il discorso di commiato di Cristo. Principio di unità delle Chiese è il Cristo presente negli uomini e non questa o quella teoria della coesistenza di due separate istituzioni. Non si può parlare di una qualche iuxta­po­si­tio delle Chiese. La presenza di Cristo negli uomini esige da loro la presenza degli uni per e negli altri, cioè l’amore. Soltanto grazie a questa presenza di Cristo l’uomo è in grado di amare la diversità dell’altro e di arricchirsi di essa. È una presenza che non si può realizzare senza l’Eucaristia. L’ecumenismo sarà o un costruire la casa eucaristica dell’alleanza, o una semplice tregua e una reciproca indifferenza di individui e gruppi sociali. Quest’ultimo tipo di «ecumenismo» risveglia i nazionalismi. Quando gli uomini identificano con essi la fede religiosa, la libertà viene meno.

Perisce infatti la libertà religiosa che costituisce l’essenza stessa della libertà. E dove non c’è la li­bertà, non c’è la pace.

Giovanni Paolo II, celebrando l’Eucaristia in Lituania, porta all’Europa la pace, non quella che il mondo propone, ma quella data da Cristo.

Stanislaw Grygiel

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