Giovanni Cantoni, Cristianità n. 14 (1975)
Lettera aperta al cardinale Poletti
RISVEGLIO ANTICOMUNISTA IN DIFESA DELLA FEDE E DELL’ITALIA
Eminentissimo e Reverendissimo Signor Cardinale,
l’ultima decade di ottobre è stata foriera di una gradevolissima nuova per l’orecchio di ogni uomo e di ogni cattolico giustamente preoccupato per le terribili prospettive politico-sociali, e quindi anche religiose, che si intravvedono nel futuro prossimo dell’Italia e del mondo.
Da Roma, caput mundi, è giunta, a chi ha voluto e potuto ascoltarla, una parola da tempo inaudita; da Roma e dal vicario generale del Vescovo di Roma, successore di san Pietro e vicario di Cristo nostro Signore!
Nel corso dell’incontro mensile del 19 ottobre con i parroci-prefetti, presente anche il vicegerente S.E. mons. Giovanni Canestri e i vescovi ausiliari e delegati, Vostra Eminenza ha detto testualmente: “[…] incominciamo un anno difficile. Difficile non tanto per avvenimenti singolari di vita ecclesiastica che si possono anche prevedere nella diocesi: non sono questi […] che destano timore. Lo ritengo e lo prevedo difficile, invece, con una interiore sensazione, indefinibile ma concreta, soprattutto per l’inevitabile riflesso che situazioni civili, sociali e politiche, immanenti non solo nella nostra Città e nel nostro Paese, ma anche in tutto il mondo, avranno sulle comunità cristiane, in particolare in questa nostra Città, più d’ogni altra punto di convergenza delle tensioni umane.
“[…] Le tensioni e le sofferenze della nostra Chiesa romana non sono che l’eco, l’estensione di una sofferenza più vasta […] che ha invaso tutto il mondo cristiano e non cristiano […].
“Tuttavia, all’inizio del nuovo anno pastorale, esiste una prospettiva melanconica, tutta nostra, la quale appunto perché romana potrà avere un’eco allarmante anche nella Chiesa universale.
“Fra qualche mese, forse per nostra responsabilità, la Città di Roma potrebbe essere irresponsabilmente consegnata ad una amministrazione marxista, con tutte le conseguenze che ne derivano.
“[…] Ciò implicherà una serie di rapporti che sorpasseranno la città, coinvolgendo questioni di equilibrio mondiale […]). (1).
Il quadro è descritto con puntualità. L’Urbe e l’Orbe sono visti nella loro costante interazione: tutto ciò che accade nel mondo influisce su Roma: tutto quanto avviene a Roma ha conseguenze per il mondo intero.
E quanto si può ipotizzare per Roma è fonte di “un timore che non deriva da interessi e preoccupazioni materiali, ma solo dall’inevitabile confronto che scaturirà tra la Città di Dio, che è la Chiesa, e la Città senza Dio, che nel materialismo marxista coinvolgerà la sorte spirituale di molti fedeli.
“Nessuno – neppure con semplicistica illusione – può cancellare con un colpo di spugna queste realtà.
“Il comunismo è anche oggi – come sempre è stato e sarà – il materialismo marxista: tatticamente può ricercare altre espressioni di tolleranza, ma nella sua essenza, nella sua sostanza è e rimarrà materialista ed ateo. Forse, per opportunità, non si metterà subito contro Dio, ma vorrà sempre una Città senza Dio. Qui si giocano la Fede e le anime.
“Non è dunque per un interesse politico o amministrativo, ma solo per dovere di fede che noi dobbiamo affermare la nostra posizione di fronte alla Città e davanti al mondo che ci guarda […].
“[…] A scanso di ogni equivoco, contro ogni affermazione tendenziosa io desidero affermare, senza alcuna possibilità di smentita, che ogni cedimento al comunismo o al marxismo non mi potrà mai trovare consenziente. In nessun modo, in nessun tempo; né lo posso ammettere in nessuno dei miei collaboratori” (2).
Eminenza Reverendissima, abbiamo voluto riascoltare insieme a Voi, che le avete pronunciate, le parole della Vostra memorabile esortazione, perché il loro suono ci è dolce e perché siano presenti a quanti vorranno benevolmente seguire le considerazioni che su di esse e a partire da esse di seguito verremo facendo. Come non sospirare, dopo averle sentite, per il dispiacere di non essere nati in diocesi di Roma? Ma subito ci sovveniamo che, in ultima analisi, tutta la Chiesa è diocesi di Roma, e che Voi siete il vicario generale del “dolce Cristo in terra“.
Freniamo quindi immediatamente le nostre fantasie canoniche e passiamo al fatto. E il fatto è il passo del Vostro intervento in cui, in un inciso, il temuto confronto tra la Città di Dio e la Città senza Dio si dice possibile e venturo forse per nostra responsabilità“. Sullo stesso tema ritornate più oltre, con espressioni che prima non abbiamo riportate per non turbare la drammaticità della descrizione: “Quale può essere la nostra parte di responsabilità o per assenteismo rinunciatario o per irriflessione […]?” (3).
Come leggere quel “nostra“? Plurale maiestatico, più che legittimo in un principe della Chiesa e nel vicario generale della Città di Roma? Riferimento ai presenti tutti, oppure ai cattolici, almeno italiani?
In una società gerarchica come la Chiesa, senza nulla togliere alle responsabilità dei minores – e noi siamo pronti a confessare subito le nostre -, certo sono i maiores a dover rispondere in grado eminente, i sacerdoti più dei fedeli, quanti hanno la pienezza del sacerdozio più dei semplici sacerdoti, e così via.
In questa prospettiva e secondo questa angolazione ci pare lecito esaminare, a mo’ di esempio, episodi recenti e recentissimi, per vedere che fondamento abbia quel “forse“, che attenua le responsabilità fino a renderle vaghe – quasi prodotto di ineluttabili premesse -, e per quindi osare apprezzamenti sulla situazione presente.
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Dunque, la Città di Dio e la Città senza Dio – che sant’Agostino chiamerebbe Città del diavolo – stanno per puntualizzare il loro confronto in Roma, caput mundi.
Dalla Città di Dio si leva una voce allarmata e allarmante, che ricorda la incompatibilità radicale tra le due Città, tra i due spiriti che le animano, il cristianesimo e il comunismo, e tra i due amori che le hanno originate e le conservano in vita.
Quindi, dopo avere ipotizzate le metamorfosi e i camaleontismi della Città senza Dio, si riconosce l’importanza dell’azione politica – “È per questo che chiediamo agli uomini politici, che hanno fede, una profonda revisione della loro condotta” – per la salvezza delle anime – “Qui si giocano la Fede e le anime“.
Ripercorriamo in una sequenza diversa i passaggi sopra descritti. Un popolo vivente in un regime democratico moderno sceglie dei rappresentanti – con il margine di libertà reale concessa dalla democrazia moderna – che non ostacolano, anzi pare favoriscano la presa del potere civile da parte dei nemici del nome cristiano. Questo popolo è per la gran parte tradizionalmente cristiano. Dando per scontata la pressione scristianizzante dei nemici del cristianesimo, dove trovare altre cause se non nella responsabilità di qualche cristiano? Se le responsabilità immediate sono evidentemente operative e laicali, è impossibile non ipotizzare, a monte, responsabilità in chi ha la missione apostolica piena.
Come non dare, allora, un senso più preciso, meno sfumato a quella “nostra responsabilità” ?
Se il ragionamento precedente ha senso, è insostenibile la pretesa di non trovarsi nella situazione in cui “fra qualche mese” saremo, avendo presente la situazione nella quale ci troviamo da qualche anno, per non arretrare troppo nel tempo e assumendo come terminus a quo, per esempio, la pastorale dell’episcopato italiano del 1963. Cosa ricordare, da allora in avanti, di significativamente anticomunista, almeno sul piano delle affermazioni, oltre i riferimenti occasionali, gli incisi e i richiami ellittici? Vorremmo imputare la non risposta alla nostra pessima memoria, ma i repertori purtroppo non aiutano.
Frughiamo nel passato prossimo, senza successi apprezzabili, e non possiamo non chiederci come sia concesso attendere una società civile che protegga da un determinato morbo sociale, da un popolo cui non si insegna da anni che si tratta di un morbo sociale. Da quando chi semina vento raccoglie qualcosa di diverso da tempesta?
In una anonima nota dell’Osservatore Romano su cui compare la Vostra esortazione, si legge: “La linea della Chiesa di fronte al comunismo è ben nota e non è cambiata” (4). Leggiamo con gioia la dichiarazione circa l’invarianza, ma ci permettiamo di contestare che sia nota. Da che si dovrebbe notare, Eminenza? Dal Vostro discorso a dodici anni dal 1963?
E poi altri fatti, ugualmente e più noti, lasciano grandi dubbi non sull’invarianza della dottrina, almeno in noi, ma sulla notorietà di questa invarianza.
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È sempre penoso fare confronti, ma come non essere tentati di mettere a paragone le Vostre dichiarazioni con quelle rilasciate di recente dal cardinale di Torino, monsignor Michele Pellegrino?
Nel corso di un convegno diocesano sul tema “Evangelizzazione e promozione umana“, tenuto alla fine di agosto a Sant’Ignazio, una località nei pressi di Lanzo Torinese, mons. Pellegrino ha detto tra l’altro: “[…] debbo essere molto chiaro. Ci sono delle dottrine, delle ideologie con cui il cristiano non potrà mai patteggiare perché il contrasto è diretto, chiaro, esplicito. Ora il grande equivoco dei nostro tempo è che il marxismo ha una sua ideologia, ma è anche uno strumento di analisi della realtà sociale, economica, politica; il marxismo si traduce poi in un sistema di governo, di azione politico-economica. Ora, in quanto ideologia è chiaro che l’opposizione è radicale. Per il resto, in tutto ciò che serve alla promozione umana la collaborazione è, non dico legittima, ma doverosa: bisogna lavorare per questo, ma qualsiasi cedimento al pensiero, all’ideologia atea e materialistica è incompatibile con la fede cristiana” (5).
È possibile esprimersi in termini più equivoci? Come si può immaginare la collaborazione, dichiararla anzi “doverosa“, con una prassi che deriva da una ideologia, con cui l’opposizione è radicale, e che tra l’altro si definisce proprio come una prassi?
Dove trovare cattolici che votino per cattolici, che lottino quando sono in gioco la fede e le anime, se la predicazione è di questo tipo?
Ha ancora senso parlare di una responsabilità condizionata da un “forse“?
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Qualcuno potrebbe farci notare che, nel tentativo di trovare espressioni equivoche, abbiamo citato l’affermazione di mons. Pellegrino, che è un caso isolato, ecc. ecc.
Purtroppo non è così. Che dire della recentissima lettera pastorale di mons. Cesare Pagani, vescovo di Città di Castello e di Gubbio, dal titolo attraentissimo e promettente, Noi cristiani e la “questione comunista”, dove si dichiara preventivamente che “”questo” Partito Comunista, “oggi”, con le esperienze che va “concretamente” facendo, non può accordarsi ancora con la fede cristiana” (6)?
Non si tratta chiaramente di formule che obiettivamente favoriscono la collaborazione con il Partito Comunista di “oggi“, per quello che in esso è di “domani“, nella speranza di farlo concordare con la fede cristiana, con cui – è vero – non si accorda “ancora“, ma con cui evidentemente potrebbe e potrà accordarsi?
Come sono diverse, Eminenza, le espressioni della Vostra esortazione “Il comunismo è anche oggi – come sempre è stato e sarà – il materialismo marxista ecc.”, dove passato, presente e futuro non servono ad attenuare il contrasto radicale, ma, anzi, a rafforzarlo!
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Ma non è ancora tutto, purtroppo. Perché non mancano neppure dichiarazioni che oggettivamente favoriscono non diciamo il comunismo, ma le forme più spinte della prassi comunista, come per esempio il terrorismo.
Di recente, l’ultima domenica di settembre, nell’omelia della messa episcopale, in cattedrale, mons. Enrico Manfredini, vescovo di Piacenza e membro della commissione della CEI per l’università Cattolica del Sacro Cuore – nonché, al dire della stampa di informazione, alto protettore di Comunione e Liberazione – ha commentato i più recenti fatti spagnoli con queste testuali espressioni: “A che cosa porti la religiosità esteriore e il proclamarsi cristiani-cattolici mentre con i fatti si calpestano i comandamenti di Dio, è visibile da ciò che è accaduto in questi giorni in Spagna. Dicono che si tratti di un regime cattolico, o almeno lo si è detto in passato: noi siamo terrorizzati sapendo che alcune persone sono state fucilate solo perché il loro pensiero politico non è come quello del regime!” (7).
Le affermazioni così crude e notoriamente non rispondenti ai fatti, sono veramente terrorizzanti. Dunque, uccidere proditoriamente poliziotti, magari assaltando banche, è espressione di dissenso ideologico? Dopo la tristemente famosa “teologia della rivoluzione”, che ha prodotto tanti lutti in America Latina, si sta preparando una macabra “teologia del terrorismo”, espressione legittima di dissenso? Non una parola di condanna del terrorismo; non l’apprezzamento del fatto che la stessa richiesta di clemenza avanzata dal Sommo Pontefice presso le competenti autorità spagnole era appunto un appello alla clemenza e non alla giustizia; non un cenno agli orfani, ai familiari delle vittime dell’odio terroristico. Piuttosto, scandalo ancora maggiore, nella stessa omelia mons. Manfredini mette sullo stesso piano i terroristi spagnoli giustiziati dal governo e il sacerdote ucraino Michele Luckj, assassinato dalla polizia sovietica “perché diceva la Messa, faceva catechismo e amministrava i sacramenti” (8). Come dimenticare così apertamente che “martyres non facit poena sed causa“? (9). Dunque, assassinare poliziotti, dire messa, fare il catechismo e amministrare i sacramenti sono gesti equiparabili? Ricordiamo bene la liceità morale della resistenza alla legge ingiusta, in casi gravissimi perfino della insurrezione, ma non ci risulta assolutamente la legittimità del terrorismo, espressione, tra l’altro, di vigliaccheria anche sul piano puramente umano.
Ma, da fedeli deformati da una predicazione di questo tipo, come aspettarsi amministratori che lottino contro l’instaurazione della Città senza Dio?
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Come vedete, Eminenza Reverendissima, non ci siamo appoggiati ai misfatti dei soliti traditori in talare che scorrazzano dal Nord al Sud a manifestare ambigue solidarietà, sostenuti da una stampa partigiana, ma purtroppo, abbiamo fondato i nostri interrogativi su episodi di portata gerarchica ben maggiore. Ed elencandoli abbiamo lasciato per ultimo un avvenimento senza autore personale noto, ma per questo non meno grave.
Il 28 giugno, sull’Osservatore Romano compariva la seguente notizia: “Il Santo Padre, accogliendo il desiderio espresso da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Antonio Santin, Arcivescovo-Vescovo di Trieste e Capodistria, ha accettato la sua rinuncia alle diocesi a motivo dell’avanzata età.
“Il governo pastorale della diocesi di Trieste e delle parrocchie di Muggia e Caresana della diocesi di Capodistria è stato affidato a S.E. Rev.ma Mons. Pietro Cocolin, Arcivescovo Metropolita di Gorizia, in qualità di Amministratore Apostolico “sede vacante” “ad nutum Sanctae Sedis”” (10).
Questa nota, ripresa in prima pagina dal Piccolo di Trieste di domenica 29 giugno, poteva essere messa a confronto con il messaggio ai fedeli di mons. Santin, pubblicato a pagina quattro dello stesso giornale, nel quale si diceva a chiare lettere: “Mi avvio agli ottant’anni, e si pensò che avevo bisogno di riposo. Non lo chiesi, lo accetto con gratitudine” (11).
Creda, Eminenza, non siamo spinti da ubbie patriottarde, né mossi da miraggi nazionalistici. Ci chiediamo soltanto – come molti se lo sono chiesto dopo gli avvenimenti politico-diplomatici favoriti dall’allontanamento di mons. Santin – se è stata valutata appieno la portata “pedagogica” dell’avere avvallato la consegna di cattolici ai persecutori del cardinale Stepinac – ricordando il pastore per il gregge -, e quali conseguenze può avere avuto su quanti hanno seguito da vicino o con attenzione questi avvenimenti. Su molti il cedimento ha senza dubbio prodotto avversione agli uomini di Chiesa e forse alla Chiesa stessa, predisponendoli allo scetticismo nei confronti di prese di posizione come la Vostra; in altri, ha alimentato la convinzione di una marcia irreversibile in una direzione nella quale vale forse la pena di mettersi all’avanguardia.
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Eminenza, veniamo a conclusione di un testo forse troppo lungo, ma che avrebbe potuto, senza difficoltà documentarie, essere di mole ancora maggiore.
Le parole da Voi pronunciate sono certamente diverse da quelle pure riferite e implicite in comportamenti diplomatici – ed esplicitabili senza forzare i fatti -, ma dobbiamo chiederci: l’anticomunismo radicale, serio, fondato, dottrinale e non viscerale, che si evince da quanto avete detto, è velleitario o reale?
Perdonate l’audacia, ma ci pare doverosa. Velleitario è colui che vuole il fine, ma non vuole con la corrispondente, indispensabile energia i mezzi. Orbene, Voi avete chiaramente enunciato il fine, l’opportunità indilazionabile e inderogabile di un risveglio anticomunista per ostacolare l’instaurazione della Città senza Dio, a difesa della fede e delle anime. Attendiamo con ansia i mezzi.
Sì, Eminenza, dopo le parole abbiamo il diritto di aspettarci i fatti, cioè, ancora più concretamente, i mezzi per passare ai fatti. Perché le dichiarazioni di anticomunismo non siano velleitarie, è necessario che si traducano in una organica e tematica pastorale anticomunista, che investa anzitutto i parroci e i predicatori, per quindi interessare tutto il popolo cattolico, globalmente e articolatamente.
Si tratta, certamente, di rendere noti in modo circostanziato, costante e metodico tutti e singoli i misfatti dei regimi comunisti, dalle violenze personali e di massa ai fallimenti economici clamorosi, ma soprattutto di mostrare la irrazionalità strutturale e la fondamentale in naturalità del progetto sociale comunista, di illustrare i suoi metodi talora demagogici e talora sanguinari, e di indicare la sua tragica sostanza utopistica, dell’utopismo aggressivo del nihilum armatum, del relativismo totalitario.
In questa prospettiva trovano la loro legittima ed equilibrata inserzione le critiche a quanti offrono troppi appigli alla demagogia rossa; così come trova il suo posto non irenico la grande e inascoltata lezione della dottrina sociale della Chiesa, che ricorda le indispensabili riforme di mentalità, di costume e di morale, per quindi indicare le inseparabili linee di una azione politico-sociale, pur senza scendere nel dettaglio delle soluzioni tecniche.
La Vostra esortazione, Eminenza Reverendissima, deve essere interpretata come il primo passo di questo ordinato risveglio anticomunista; e la denuncia delle imminenti conseguenze, tragiche per Roma, per l’Italia e per il mondo intero, di colpevoli silenzi, indica una precisa volontà di agire sulle cause?
Ce lo auguriamo di tutto cuore, anche se, per esempio, ci ha fatto fremere l’introduzione redazionale alla pubblicazione delle Vostre parole sull’Osservatore della Domenica del 2 novembre, nel quale si lascia intendere abbastanza chiaramente che esse sono diventate di pubblico dominio “per un semplice caso” (12).
Nell’attesa, ricordiamo le pertinenti indicazioni del capitolo IV del decreto Apostolicam actuositatem, sull’apostolato dei laici, che conferma la provvidenzialità di “quelle libere istituzioni in cui stabiliranno di riunirsi” (13), a proposito delle quali il regnante Pontefice si è espresso in modo opportunissimo nella lettera apostolica Octogesima adveniens, dove, al n. 25, si può leggere: “È compito dei raggruppamenti culturali e religiosi, nella libertà di adesione che essi presuppongono, di sviluppare nel corpo sociale, in maniera disinteressata e per le vie loro proprie, […] convinzioni ultime sulla natura, l’origine e il fine dell’uomo e della società” (14).
Libero raggruppamento civico-culturale, costituito da persone che si onorano della professione pubblica della fede cattolica, Vi ringraziamo, Signor Cardinale, per aver ricordata la dottrina tradizionale della Chiesa a tutti e in modo speciale a chi della diffusione di questa dottrina si fa volontariamente strumento. Se le Vostre parole, come ci auguriamo, intendono tradursi in fatti apostolici e in precise direttive pastorali, ci dichiariamo fin da ora disponibili “operai della restaurazione sociale” (15), e quindi di un razionale, legittimo, sostanziale risveglio anticomunista in difesa della fede e dell’Italia.
Diversamente, liberamente opereremo, nel lecito, traendo le conseguenze delle parole da Voi pronunciate come se vivessimo in una di quelle regioni del mondo “nelle quali la libertà della Chiesa è gravemente impedita” (16).
Dopo le Vostre parole, Eminenza, se non seguono i fatti, come non dubitare seriamente che sia “impedita“?
Di nuovo comunque esprimendovi i sensi della nostra filiale gratitudine e chiedendo la Vostra paterna benedizione, ci confermiamo di Vostra Eminenza devotissimi.
In Jesu et Maria
per ALLEANZA CATTOLICA
Giovanni Cantoni
Piacenza, 4 novembre 1975
Festa di san Carlo Borromeo
Note:
(1) L’Osservatore Romano, edizione settimanale in lingua italiana, 23-10-1975, anno XXVIII, n. 43, p. 8.
(2) Ibidem.
(3) Ibidem.
(4) Ibid., p. 6.
(5) Nuova Società, Torino 1-10-1975, anno III, n. 64, inserto Cristianesimo e marxismo, p. 24.
(6) MONS. CESARE PAGANI, vescovo di Città di Castello e di Gubbio, Noi cristiani e la “questione comunista”, a cura dell’Ufficio Evangelizzazione, Città di Castello s.d., p. 1.
(7) il Nuovo Giornale, Piacenza 4-10-1975, n. 35, p. 4.
(8) Ibidem.
(9) SANT’AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos 34, 13.
(10) Il Piccolo, Trieste 29-6-1975.
(11) Ibidem
(12) L’Osservatore della Domenica, 2-11-1975.
(13) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decreto Apostolicam actuositatem, cap. IV, n. 18.
(14) PAOLO VI, Lettera apostolica Octogesima adveniens, del 14-5-1971, n. 25.
(15) SAN PIO X, Lettera apostolica Notre charge apostolique, del 25-8-1910, in AAS, vol. II, p. 631.
(16) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decreto Apostolicam actuositatem, cap. IV. n. 17.