Oscar Sanguinetti, Cristianità 333 (2006)
Se la lettura del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) ha risentito — nel bene e nel male — della rivoluzione massmediatica dei primi decenni del secolo XX, esplosa in Italia all’incirca negli anni 1960, si può dire che anche la ricezione del Concilio di Trento (1542-1563) è stata condizionata e modulata dal medium di allora: la stampa. Grazie ai torchi di stampa hanno viaggiato non solo la Bibbia riformata e i testi con cui si propagava la Rivoluzione Protestante, ma anche le letture attraverso le quali, all’indomani dell’assise tridentina, ha preso corpo la Riforma Cattolica.
Già in quest’epoca il libro si rivela uno strumento d’importanza vitale per ogni sforzo di comunicazione e di persuasione del prossimo, per cui la produzione libraria cresce con ritmo vertiginoso.
Da parte cattolica ci si accorge che la diffusione della dottrina non avviene più solo attraverso la predicazione e la catechesi “orale” dei parroci e dei religiosi, più facilmente governabili dalla Gerarchia. Perciò nasce ben presto, qui come un poco in tutti i generi di trasmissione culturale, l’esigenza di discernere fra le numerose proposte e d’individuare gli autori ortodossi e garantirsi che ai fedeli — quelli in grado di leggere e di studiare, che per la maggior parte sono allora il clero e le classi alte della società — arrivi una dottrina incorrotta o non inficiata da ambiguità.
Se da un lato la Curia romana si sente in dovere d’iniziare a redigere un registro, un Indice dei libri proibiti o sconsigliati a diverso titolo, dall’altro s’impone come nuovo genere letterario, anche in campo religioso, il repertorio, ovvero l’elenco più o meno ragionato di opere a stampa raccomandate.
L’esigenza di discriminare si fa sempre più acuta a mano a mano che, con la rivoluzione scientifica e con il diffondersi delle dottrine illuministiche, la battaglia delle idee si estende a nuovi fronti: dalla teologia alle scienze naturali, dalla filosofia alle dottrine politiche. E contemporaneamente si amplia la tipologia delle stampe — libri, catechismi, opuscoli, guide, trattati, periodici, manifesti, racconti e testi teatrali — e aumenta la quantità dei titoli e delle tirature.
Nell’epoca che precede la Rivoluzione Francese del 1789 — che ha una lunga gestazione nelle tendenze e nelle idee lungo tutto il secolo XVIII e che è non solo Rivoluzione politica, ma catalizzatore anche d’istanze di rivoluzione religiosa ed ecclesiale — il libro diventa il veicolo privilegiato — poi, con Napoleone Bonaparte (1769-1821), cederà il passo alle baionette — per invitare a lottare contro lo status quo, per diffondere l’incredulità e il libertinismo e per convertire al nuovo credo democratico e ugualitario fasce sempre più ampie della popolazione. I circoli enciclopedisti e le logge massoniche daranno a quest’opera di “apostolato” un carattere sistematico e “industriale”, moltiplicando gli effetti di sforzi già da tempo intrapresi.
Se questa forma d’impollinazione culturale si rivela alla lunga vincente, non mancano altresì tentativi di ostacolarne il percorso e arginarne gli effetti.
Esemplare a questo riguardo è l’opera svolta dall’Amicizia Cristiana, fondata dal gesuita svizzero ed ex ufficiale sabaudo Niklaus Albrecht von Diessbach (1732-1798) e dal cuneese — ora venerabile — Pio Bruno Lanteri (1759-1830) nell’ultimo quarto del secolo XVIII e proseguita clandestinamente nei decenni rivoluzionari e napoleonici, destinata a estinguersi — ma con copiosi frutti e filiazioni, come la congregazione degli Oblati di Maria Vergine, tuttora esistente —, anche se contro la sua volontà, nel 1827.
Si trattava di un’associazione di chierici e di laici, che si prefiggevano di diffondere una cultura opposta a quella — razionalista, secolarizzante, giansenista, individualista e falsamente democratica —, che si vedeva allora prevalere, se non trionfare, nelle corti, nei parlamenti, nei circoli aristocratici, nei reggimenti, nei salotti, nelle curie, nei seminari e nei collegi ecclesiastici. Era un’opera d’intonazione fondamentalmente apologetica, non casuale né sporadica, bensì ordinata, organizzata, sistematica, che si appoggiava in toto, almeno operativamente, sulla carta stampata. Il libro — di autori prima di tutto dottrinalmente “sicuri” e poi anche prestigiosi, efficaci e piacevoli da leggere —, da questi autentici pionieri dell’azione dei cattolici in campo culturale, che maturerà nel secolo successivo, era visto come un medicinale, come un antidoto ai veleni che lo “spirito del secolo” veniva spargendo a piene mani fra la popolazione colta, seminando confusione, propiziando la ribellione alla Chiesa e alle autorità legittime, diffondendo disorientamento spirituale e demoralizzazione in interiore homine. In quest’ottica ciascun nucleo dell’associazione, presente in varie città dell’Italia Settentrionale con propaggini anche Oltralpe, a fianco di altre forme di propaganda libraria, doveva creare una biblioteca circolante chiamata la “spezieria”, ossia la farmacia, il luogo dove si preparavano e si distribuivano le “medicine” per la salute intellettuale della gente.
Nella logica del discernimento accennata, una delle prime cose che i fondatori suggerivano agli associati era di redigere un catalogo alfabetico, in genere molto ampio — di cui non è finora stata trovata copia — e poi tanti cataloghi parziali quante si presumeva fossero le “classi”, ossia i tipi umani e le condizioni spirituali, dei destinatari e, infine, terzo tipo, un elenco per materia. Il tutto non era rigido, ma veniva adattato alle specifiche esigenze locali: a Torino le “classi” saranno così otto, a Firenze tre e così via.
Di una di queste “farmacopee” — probabilmente, essendo divisa in otto “classi”, quella di Torino — è rimasta traccia negli archivi della congregazione degli Oblati di Maria Vergine a Pinerolo, in provincia di Torino. Si tratta di sei elenchi manoscritti senza data, rubricati con i numeri dal 188 al 193, di titoli di opere senza indicazioni ulteriori.
Fondendo i sei codici si ottiene un elenco inedito di oltre un migliaio di testi che restituisce l’immagine di quella che può essere assunta come il modello di ciò che fu la “biblioteca delle Amicizie”.
Roberto de Mattei, docente di Storia Moderna presso l’università di Cassino, in provincia di Frosinone, nonché vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, da diversi anni studioso del fenomeno delle Amicizie — su cui ha pubblicato l’opera Idealità e dottrine delle Amicizie (Bibliotheca Romana, Roma 1981) —, ha ripreso e arricchito questo repertorio, integrandolo con altri elenchi parziali pubblicati e affiancando a ciascun elemento in lista una nota esplicativa, più o meno estesa a seconda delle informazioni disponibili e dell’importanza del testo, sull’autore e sul contenuto di ciascuna opera — per mantenere il gergo caro agli amici cristiani, una sorta di “bugiardino”, il foglietto che si trova allegato ai farmaci —, fornendone altresì un’indicazione bibliografica completa, anche se limitata al 1827, quando l’Amicizia Cattolica — nome con cui l’associazione rinasce dopo la clandestinità nel periodo napoleonico — viene soppressa dal governo sabaudo.
Il volume si articola in un’Introduzione (pp. 7-44), in cui de Mattei dà collocazione logica al lavoro svolto e fornisce una sintesi articolata e ragionata dei vari testi facenti parte del repertorio. A essa segue una bibliografia dei testi informativi e critici consultati e citati nelle note (pp. 45-58) e, infine, il repertorio critico vero e proprio (pp. 59-411).
Dei contenuti di questa sorta di “canone” culturale cattolico-conservatore fra i secoli XVIII e XIX non è possibile dare un resoconto neppure approssimativo.
Basti dire che spazia dai “dottori” come san Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274), san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) e san Bonaventura da Bagnoregio (1217-1274) — meno, ma per evidenti ragioni anti-giansenistiche, sant’Agostino d’Ippona (354-430) —, ai classici dell’apologetica teologica secentesca, alle migliori opere anti-protestanti, anti-giansenistiche, anti-gallicane, anti-illuministiche e anti-“giacobine” — fra cui non mancano le Mémoires pour servir à l’histoire du jacobinisme del gesuita francese Augustin Barruel (1741-1820) —, alla storia ecclesiastica, alla storia delle missioni, agli scritti spirituali, ai testi di predicazione — dal vescovo francese Jacques-Bénigne Bossuet (1627-1704) al gesuita romano Giovanni Battista Scaramelli (1687-1752) —, a opere letterarie e alla “soda” teologia morale di sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), particolarmente avversata dai giansenisti e dai teologi lassisti.
Consistente — anche se non esclusiva — è la presenza di autori della Compagnia di Gesù, soprattutto intorno ai temi forti della spiritualità gesuitica: la devozione al Sacro Cuore, la mariologia, gli esercizi spirituali, elemento dal quale traspare la germinazione delle Amicizie dal ceppo ignaziano.
Né mancano i classici della scuola contro-rivoluzionaria, allora recente, come il conte savoiardo Joseph de Maistre (1753-1821) — che fu membro dell’Amicizia torinese —, il visconte francese Louis-Gabriel-Ambroise de Bonald (1754-1840) e lo storico e giurista svizzero Karl Ludwig von Haller (1768-1854), cui si affiancano anche figure d’italiani, come il polemista empolese Giovanni Marchetti (1753-1829).
Il taglio generale non è quello di un repertorio per studiosi o per intellettuali, ma rivela intenti decisamente apologetici ed è orientato alla formazione di un clero e di un laicato robustamente cattolici.
Alla luce di queste considerazioni, l’opera si presenta come un importante strumento per conoscere la cultura che allora si situava nella scia della Riforma tridentina e voleva mantenersi in continuità — senza mummificarvisi — con la tradizione, per la qual cosa doveva giocoforza confrontarsi e spesso scontrarsi con quella causticamente e aspramente critica del passato, che intendeva invece rompere con tutto un mondo di valori e credenze, considerato superato e spurio. Un universo culturale, religioso e laico, che qui appare “coagulato” in forma di elenco di autori e di opere considerati il meglio per la formazione delle classi intellettuali dell’epoca, un’epoca in cui — occorre tenerlo presente — il “motore” della restaurazione cattolica, i gesuiti, sono al bando e lo sforzo di veicolare buone idee era affidato agli ordini religiosi sopravvissuti e nuovi, ma cadeva anche sulle spalle di semplici persone di buona volontà come gli “amici cristiani”, la cui memoria il lavoro di de Mattei contribuisce meritoriamente a rinverdire.
Oscar Sanguinetti