Un documento importante, che aiuta a fare chiarezza sul valore sacro della vita ma anche sulle conseguenti scelte pastorali.
di Chiara Mantovani
La Congregazione per la Dottrina della Fede ha emesso in data 14 luglio 2020, ma pubblicato il 22 settembre 2020, la Lettera Samaritanus bonus dedicata alla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita. Viene affrontato il «tema così delicato, che riguarda i malati più deboli negli stadi maggiormente delicati e decisivi della vita di una persona» poiché oggi, si dice già nell’introduzione, «si percepisce ovunque, infatti, il bisogno di un chiarimento morale e di indirizzo pratico su come assistere queste persone, giacché “è necessaria una unità di dottrina e di prassi”», citando in proposito l’esortazione apostolica Amoris laetitia di Papa Francesco. È un compito preciso, decisamente delicato e al tempo stesso bisognoso di coraggio, quello che ha motivato la compilazione della lettera: «l’assistenza spirituale e i dubbi emergenti, in determinate circostanze e particolari contesti, circa la celebrazione dei Sacramenti per coloro che intendono porre fine alla propria vita, richiedono oggi un intervento più chiaro e puntuale da parte della Chiesa, al fine di: ribadire il messaggio del Vangelo e le sue espressioni come fondamenti dottrinali proposti dal Magistero […]; fornire orientamenti pastorali precisi e concreti[…]».
Lo sguardo del documento è dunque estremamente realistico: con l’approvazione, in molte legislazioni, dell’eutanasia e del suicidio assistito si sono approfondite quelle voragini di non-senso sulla vita umana e sul suo valore che rendono difficile discernere quali comportamenti siano coerenti con l’annuncio evangelico dell’amore di Dio e della salvezza ottenuta dalla morte e resurrezione del suo Divin Figlio.
A ben guardare, la preoccupazione della Chiesa resta sempre la stessa nei secoli: ridire agli uomini di ogni tempo che esiste un modo buono e tanti modi cattivi di vivere nel mondo, ma che mai la Misericordia che si è fatta inchiodare sulla croce si stancherà di cercarli e di abbracciarli, se solo lo vorranno.
Riconoscere il valore della vita umana quando è ferita e fragilissima è impresa difficile, che genera dubbi e domande angosciose. La risposta a ogni interrogativo di senso «non potrà mai essere offerta solo alla luce del pensiero umano, poiché nella sofferenza è contenuta la grandezza di uno specifico mistero che soltanto la Rivelazione di Dio può svelare». L’arte medica, così indispensabile, non esaurisce il suo compito con la scienza, ma necessita di integrare un «orizzonte antropologico e morale più ampio». Per questo la sfida si sposta sul fronte culturale: per affrontare sofferenza, dolore e morte bisogna sapere, riconoscere e rispettare chi è l’essere umano. Così come è necessario usare parole adeguate, non equivoche: “morte degna”, “qualità di vita”, “benessere”, “autodeterminazione” non possono essere grimaldelli per imporre una visione riduttiva, relativistica ed efficientistica dell’uomo.
Nella parte in cui vengono affrontati i passaggi più delicati, torna uno stile letterario solenne e non fraintendibile: «la Chiesa, nella missione di trasmettere ai fedeli la grazia del Redentore e la santa legge di Dio, già percepibile nei dettami della legge morale naturale, sente il dovere di intervenire in tale sede per escludere ancora una volta ogni ambiguità circa l’insegnamento del Magistero sull’eutanasia e il suicidio assistito, anche in quei contesti dove le leggi nazionali hanno legittimato tali pratiche». Si giunge ad affermare che, «per tali ragioni, la Chiesa ritiene di dover ribadire come insegnamento definitivo che l’eutanasia è un crimine contro la vita umana perché, con tale atto, l’uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente. La definizione di eutanasia non procede dalla ponderazione dei beni o valori in gioco, ma da un oggetto morale sufficientemente specificato, ossia dalla scelta di “un’azione o un’omissione che di natura sua o nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore”». Il testo prosegue: «l’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati». E ancora: «valore della vita, autonomia, capacità decisionale e qualità della vita non sono sullo stesso piano. […] L’eutanasia, pertanto, è un atto intrinsecamente malvagio, in qualsiasi occasione o circostanza. […] Aiutare il suicida è un’indebita collaborazione a un atto illecito».
A queste affermazioni corrispondono, devono corrispondere, comportamenti adeguati. Uno dei grandi meriti di questo documento è di non limitarsi ad una semplice enunciazione di principi, seppur fondamentali e perenni: alla diagnosi segue la giusta terapia, per restare in tema. E pazienza se sembra una medicina amara: chi avrà la pazienza di affrontarla senza pregiudizio ideologico potrà riconoscerne la schiettezza. «A coloro che propagandano queste pratiche direi che la falsa compassione non è giusta, non è retta, perché non rispetta il diritto del malato ad essere accompagnato in tutte le fasi della vita», ha affermato il prefetto della Congregazione, il card. Luis Ladaria S.I., nella conferenza stampa di presentazione del documento.
Sulla rivista Cristianità avremo modo di compiere un’analisi più dettagliata di un testo che merita attenzione, non solo per la sua attualità, ma anche per le implicazioni di dottrina sociale che si possono scorgere già a una prima lettura.
Giovedì, 24 settembre 2020